I magistrati cinesi ‘hanno paura’ di condannare i praticanti del Falun Gong

Nel corso di un’udienza tenutasi di recente in un tribunale cinese, il pubblico ministero ha dichiarato indirettamente di non essere riuscito a trovare alcuna base giuridica a sostegno della proibizione del Falun Gong, sancendo quindi – seppur in maniera implicita – l’illegalità della persecuzione di questa disciplina spirituale. La dichiarazione è alquanto singolare, se si considera che i praticanti del Falun Gong sono perseguitati da quasi due decenni in un Paese oppresso da quasi settant’anni di dittatura comunista.

Il 23 dicembre il praticante del Falun Gong Zhang Jun e il suo avvocato difensore, secondo quanto riferisce Minghui.org (uno dei principali organi di informazione su questa persecuzione), sono comparsi presso il tribunale distrettuale di Ba’nan, nella città di Chongqing. Zhang era stato arrestato il 24 maggio per il solo fatto di aver parlato del Falun Gong e di come venga perseguitato dal regime di Pechino.
Dopo che l’avvocato di Zhang, il cui nome non è stato rivelato per tutelarne la sicurezza personale, aveva energicamente difeso e contestato le accuse contro il suo assistito, il pubblico ministero gli ha infatti risposto: «Non abbiamo alcuna prova che possa dimostrare che il Falun Gong sia una ‘religione eretica,’ e non abbiamo trovato alcuna legge o norma secondo cui il Falun Gong sia qualificabile ‘religione eretica’ [etichetta imposta dal Partito Comunista Cinese nell’ottobre 1999, a quattro mesi dall’inizio della persecuzione, ndr]».
La dichiarazione, secondo Minghui, è stata verbalizzata, firmata dal pubblico ministero e messa agli atti.

L’affermazione della pubblica accusa è significativa poiché sembra essere la prima ammissione ufficiale, dell’illegalità della persecuzione perpetrata dal regime cinese contro il Falun Gong.
‘Utilizzo di una religione eretica per minare l’applicazione della legge’, ai sensi dell’articolo 300 del Codice penale cinese, è il pretesto con cui i praticanti del Falun Gong vengono perseguitati. Ma questo, obiettivamente, è il meno, poiché la maggior parte delle pratiche persecutorie contro il Falun Gong viene da sempre perpetrata al di fuori del sistema giudiziario; si tratta di violenze e abusi di ogni genere: licenziamento, confisca illegale di proprietà, sequestro di persona, lavaggio del cervello a scopo ‘rieducativo’, torture fisiche e mentali inimmaginabili. Fino ad arrivare prelievo forzato di organi umani.

Tornando sul piano giuridico, gli avvocati cinesi sostengono che l’articolo 300 sia «fumoso» e persino incostituzionale, e per anni ne hanno messo in discussione la legalità nelle loro strategie difensive. Ad esempio, nel caso di Zhang Jun, il Pm si è servito dei suoi hard disk e delle penne Usb sequestrate al domicilio come prove a carico; l’avvocato difensore ha invece sostenuto che i dispositivi di memorizzazione digitali nel diritto cinese non possono essere utilizzati come prova, poiché il loro contenuto può essere facilmente alterato; il difensore ha poi aggiunto che i materiali del Falun Gong «esortano le persone a comportarsi benevolmente, e fanno chiarezza sui fatti» riguardanti la persecuzione a favore dell’intera società cinese, e che quindi queste cosiddette ‘prove’ dimostrano, al contrario, che Zhang non è colpevole di alcun reato.

Secondo Yiyang Xia, direttore della sezione ricerca e politica presso la Human Rights Law Foundation (un’istituzione legale di Washington che ha presentato diverse denunce contro numerosi funzionari cinesi per crimini contro l’Umanità), l’ammissione del pubblico ministero secondo cui non esiste alcuna base giuridica per la qualifica di ‘religione eretica’ del Falun Gong, rappresenta l’impossibilità di accusare Zhang ai sensi dell’articolo 300: «Il pubblico ministero, nei fatti, ha dimostrato che la persecuzione non è in linea con lo Stato di diritto, ma è piuttosto una campagna persecutoria di tipo politico, che i praticanti del Falun Gong in questo senso contestano fin da quando è iniziata la persecuzione stessa». Comunque, Xia ha precisato che la dichiarazione della pubblica accusa ha avuto mero titolo personale, e che quindi non costituisce ancora la prova di un cambiamento nella politica ufficiale.

L’inizio di questa sangiunosa persecuzione risale al 20 luglio 1999, quando Jiang Zemin (allora leader del Partito Comunista Cinese) ordinò la persecuzione del Falun Gong in risposta a un appello pacifico di diecimila praticanti a Pechino, che nell’aprile di quell’anno si erano radunati pacificamente attorno agli edifici governativi per chiedere la liberazione di alcuni praticanti e la libertà stessa di poter praticare, già messa in discussione. Jiang, etichettando questo evento come una minaccia per la stabilità del potere del Partito, soprattutto per l’alto numero dei praticanti di questa disciplina (tra i 70 e i 100 milioni di persone in tutta la Cina, secondo le stime del Pcc stesso), ordinò l’inizio della persecuzione contro il Falun Gong nel timore che i suoi insegnamenti soppiantassero l’ideologia marxista professata dal regime.

Xie Weidong, ex giudice della Corte Suprema cinese ora residente in Canada, ritiene che il procuratore abbia agito sia secondo coscienza che per una forma di auto-tutela, poiché Xi Jinping ha varato diverse riforme legislative secondo le quali i magistrati sono considerati responsabili in caso di sbagliata applicazione della legge.

La campagna contro il Falun Gong ha sempre avuto una forte caratterizzazione politica, e se un giorno la situazione in Cina cambierà, i funzionari che l’hanno attuata rischiano di essere ritenuti responsabili. Xie ha infatti fatto notare che i giudici in Cina attualmente si rifugiano nella «insufficienza di prove» come scappatoia per evitare di condannare i praticanti del Falun Gong; e siccome, dall’altra parte, i funzionari di pubblica sicurezza non hanno alcuna base giuridica su cui basare un’incriminazione, i praticanti vengono alla fine liberati. Un  modo di procedere confermato anche da Minghui.org in numerosi casi del 2016.

Yu Wensheng, avvocato per i diritti umani di Pechino che si è occupato di molti casi del Falun Gong, aggiunge che ormai i magistrati comprendono meglio il Falun Gong e la sua legalità secondo l’ordinamento cinese, dopo anni di arringhe in aula e memorie difensive di ‘non colpevolezza’ presentate degli avvocati cinesi. Così, alcuni funzionari, agendo secondo la propria coscienza, si sono pronunciati favorevolmente nei casi del Falun Gong.

Ma Yu Wensheng ha anche precisato che questi pochi di casi positivi non sono indicativi che il regime comunista cinese abbia allentato la sua morsa sui chi in Cina pratica il Falun Gong. L’avvocato ha infatti citato diversi arresti di massa avvenuti negli ultimi anni tra cui quello del 7 dicembre 2016, quando la polizia di Tianjin ha arrestato circa 20 praticanti: «Finché esiste il Partito Comunista Cinese non ci sarà vera libertà di credo», è stata l’osservazione finale di Yu.

E in effetti, il calvario di Zhang Jun non è finito, nonostante le insolite dichiarazioni del procuratore: il giudice ha rinviato l’udienza per la seconda volta al 23 dicembre, senza ancora assolverlo. Zhang è tuttora detenuto nel Centro di detenzione del distretto di Ba’nan e attende il verdetto finale.

Per approfondire:

Articolo in inglese: ‘Chinese Public Prosecutor Admits ‘No Laws Against Falun Gong

Traduzione di Massimiliano Russano

 
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