Xi Jinping, verso la fine della persecuzione del Falun Gong?

Il Partito Comunista Cinese ha una lunga lista di giorni ‘sensibili’: anniversari di eventi che ritiene politicamente problematici. In questi giorni e in quelli che li precedono, l’apparato di sicurezza del Partito diventa particolarmente vigile e spesso mette in atto retate e attività repressive di vario genere.

Gli obiettivi sono ad esempio gli attivisti democratici, quando è l’anniversario del 4 giugno 1989 (Tiananmen); o, quando si tratta del 25 aprile, i praticanti del Falun Gong (una pratica di auto-miglioramento spirituale che comprende esercizi lenti per il corpo e insegnamenti basati su ‘verità, compassione e tolleranza’).

Ma quest’anno, nel 17esimo anniversario della manifestazione pacifica del Falun Gong a Pechino, il capo del Partito Xi Jinping ha deviato rispetto al solito copione: con una serie di atti politici insoliti, Xi sembra aver accennato a un cambiamento di politica, rispetto alla persecuzione della disciplina spirituale, praticata da un grande numero di persone, prese poi di mira per l’eliminazione completa; la persecuzione era cominciata subito dopo che, il 25 aprile 1999, i praticanti del Falun Gong si erano appellati al governo centrale a seguito di maltrattamenti e diffamazioni da parte di alcuni apparati dello Stato.

Ora, per la prima volta in 17 anni, diverse recenti azioni di Xi Jinping, per quanto tra le righe, indicano – sia per tempistica (la vicinanza al 25 aprile) che per quantità – un potenziale cambiamento nella posizione del Partito.

PECHINO, 1999

Il 23 aprile 1999, 45 praticanti del Falun Gong erano stati assaliti e arrestati dalla polizia mentre protestavano pacificamente vicino all’Università Normale di Tianjin, una città a 145 km da Pechino. I praticanti chiedevano che un professore (tale He Zuoxiu) ritrattasse un articolo in cui diffamava il Falun Gong.

He Zuoxiu, allora nemico giurato del Falun Gong, è il cognato di Luo Gan, l’allora capo della Pubblica Sicurezza, un personaggio che per anni ha avuto come obiettivo l’eliminazione del Falun Gong.

La pratica spirituale si era diffusa a macchia d’olio – spesso con il sostegno di vari enti statali – nella Cina degli anni 90, nel quadro del revival della cultura tradizionale cinese in atto al tempo, e un gran numero di membri del Partito Comunista erano diventati dei praticanti della disciplina: accoglievano di buon grado il ritorno alle tradizioni antiche, che in qualche modo il Falun Gong reintroduceva e rinnovava nel contesto della Cina moderna.

Ma alcuni esponenti politici radicali, tra cui Luo Gan, vedevano tutto questo come una minaccia alla sicurezza politica e ideologica del regime.

A seguito della diffusione della notizia degli arresti del 23 aprile, un numerosi praticanti decisero di appellarsi alle autorità centrali di Pechino, presso l’Ufficio Appelli a Zhongnanhai, il ‘Cremlino cinese’. Il 25 aprile, la polizia di Pechino bloccava la strada che portava all’Ufficio e scortava i praticanti – più di 10 mila – portandoli a disporsi attorno a Zhongnanhai, un complesso che, essendo la residenza ufficiale dei massimi capi del Partito, è naturalmente un luogo sensibile. Nel primo pomeriggio, il premier Zhu Rongji si presentava accettando di parlare con dei rappresentanti, e al tramonto la questione sembrava già risolta.

Ma il capo del Partito Comunista, Jiang Zemin, era furioso. L’appello pacifico, per lui, era stato «l’incidente politico più grave dopo il 4 giugno» [cioè la manifestazione studentesca di piazza Tiananmen del 1989, repressa con i carri armati, ndr].

In una nota diramata dal Politburo quella notte, Jiang Zemin dichiarava: «Può mai essere possibile che noi membri del Partito Comunista, armati del marxismo e di una fede nel materialismo e nell’ateismo, non possiamo sconfiggere questo Falun Gong? Se così fosse, non sarebbe la cosa più ridicola della Terra?».

In quell’estate, il 20 luglio, Jiang ordinava quindi all’apparato di sicurezza del regime, e alla magistratura, di sopprimere il Falun Gong: «Rovinate la loro reputazione, rovinateli finanziariamente e distruggeteli fisicamente»: questi erano gli ordini dati alla polizia, secondo le testimonianze che numerosi agenti di polizia hanno poi riportato ai praticanti del Falun Gong.

Secondo Minghui.org, che raccoglie informazioni sulla persecuzione, più di 3.900 praticanti sono stati perseguitati a morte (si tratta solo delle morti certe e documentate) e centinaia di migliaia di altri sono in detenzione.
Diversi studi, inoltre, stimano che centinaia di migliaia di praticanti siano stati uccisi per poter utilizzare i loro organi, nell’ambito dell’orrendo e lucroso business dei trapianti.

A partire dal 1999, gli anniversari del 25 aprile e del 20 luglio sono sempre stati occasione di irruzioni e arresti nelle case dei praticanti.

LE RICHIESTE DI DIRITTI  E IL CAMBIO DI ATTEGGIAMENTO DI XI JINPING

Questo contesto è fondamentale per capire il significato dei recenti gesti politici di Xi Jinping. Il primo mezzo che i praticanti del Falun Gong hanno usato per appellarsi al regime è stato il cosiddetto petizionamento, ossia la presentazione sistematica e in massa di rimostranze ufficiali agli alti livelli del governo. Ma una volta appurato che la risposta del governo consisteva solo in violente rappresaglie, il fenomeno si è notevolmente ridotto.

I molti petizionisti che hanno resistito finora, sono persone private dei diritti civili e spesso trattate illegalmente dalle forze di sicurezza cinesi.

Il 21 aprile, secondo una dichiarazione riportata dall’agenzia Xinhua, portavoce statale, Xi Jinping ha affermato che è nell’interesse del regime «risolvere amichevolmente gli appelli delle masse, quando sono ragionevoli e coerenti con la legge». Il premier cinese Li Keqiang ha aggiunto che il regime dovrebbe «sforzarsi di eliminare i conflitti e proteggere i diritti legali» dei petizionisti.

Nei giorni precedenti il 25 aprile, Xi Jinping ha poi preso di mira l’apparato di sicurezza del regime.

Sotto l’ex capo della sicurezza Luo Gan, la Commissione per gli Affari Politici e Legali (Plac), che è un piccolo ma potente organo del Partito che controllava polizia, prigioni e tribunali, ha giocato un ruolo cruciale nella creazione del cosiddetto ‘assedio di Zhongnanhai’ e nella persecuzione del Falun Gong (la polizia di Pechino, sotto il controllo del Plac, aveva diretto di proposito i praticanti del Falun Gong in modo che circondassero Zhongnanhai). E anche l’Ufficio 610, una struttura fuorilegge voluta da Jiang specificamente per gestire la persecuzione, rientra sotto la supervisione del Plac.

Alla vigilia del 25 aprile di quest’anno, quattro grandi funzionari della sicurezza sono stati purgati. Tra di loro Zhang Yue, il segretario del Partito provinciale dell’Hebei, considerato il responsabile delle torture inflitte al praticante del Falun Gong Liu Yongwang (l’uomo è stato legato a un’asse, frustato con cinte di pelle e folgorato con bastoni elettrici).

Il giorno dopo, l’attuale capo del Plac Meng Jianzhu, in una riunione in cui erano presenti il capo della sicurezza, il procuratore generale, e altri burocrati legati alla sicurezza nazionale, ha riferito che Xi Jinping richiede un apparato di sicurezza professionale e disciplinato: una dichiarazione che esprime implicitamente una rottura con la direzione corrotta e personalistica promossa dai rivali politici di Xi (ovvero gli scagnozzi di Jiang Zemin, ideatore e massimo responsabile della persecuzione).

RELIGIONE

Il gesto forse più importante di Xi Jinping è stato l’aver presieduto a una conferenza sulla religione tenuta il 22 e il 23 aprile: è stato il primo meeting di alto livello sull’argomento dopo 15 anni, ed è avvenuto proprio nell’anniversario del giorno dei primi arresti su larga scala dei praticanti del Falun Gong.

I capi del Partito usano spesso gli incontri di lavoro per lanciare messaggi di cambiamento nella direzione politica: in mezzo alla retorica ufficiale vuota e polverosa, vengono spesso inseriti dei messaggi chiave, che possono essere individuati analizzando con attenzione il linguaggio e il tono usati.

L’ultima volta che un leader massimo del Partito aveva presieduto una conferenza sulla religione, era stato nel 2001 con Jiang Zemin. Jiang aveva reso chiaro che il regime doveva dominare completamente i gruppi religiosi che rappresentavano, diceva lui, una minaccia esistenziale alla «stabilità» del dominio comunista.

Jiang aveva anche aggiunto che le «religioni deviate» dovevano essere soppresse, arrivando alla logica conclusione che le cinque religioni ‘riconosciute’ in Cina (Taoismo, Buddismo, Islam, Protestantesimo, Cattolicesimo) dovevano unirsi contro il Falun Gong; fino alla messa in scena dell’auto immolazione di piazza Tienanmen, in cui alcuni soggetti che si fingevano praticanti del Falun Gong si erano dati fuoco (con la polizia pronta a salvarli) allo scopo di diffamare la pratica.

Nel recente incontro sugli affari religiosi, Xi Jinping ha detto che gli insegnamenti religiosi possono «arricchire» e dovrebbero essere «armonizzati» alla cultura cinese. Ha aggiunto poi che il Partito dovrebbe «guidare» i gruppi religiosi, e che questo lavoro dovrebbe essere fatto nel rispetto della legge. Dal discorso di Xi erano assenti riferimenti a «religioni malvagie», e il tono complessivo era manifestamente conciliatorio rispetto ai tempi di Jiang Zemin.

Alcuni degli interventi di Xi alla conferenza non rappresentano una novità. Per esempio il «guardarsi risolutamente dalle infiltrazioni estere che usano mezzi religiosi» è un esempio di posizione standard e radicale. Ma questo genere di frasario, in realtà, appartiene a un certo contesto di retorica del Partito che va inserito per forza nel piatto.

Persino nell’ateismo della ristretta ideologia ufficiale del Partito Comunista Cinese, è possibile un certo grado di tolleranza.

Va anche osservato che l’articolo del Quotidiano del Popolo sull’incontro ha occupato tre quarti della prima pagina, mentre quello sull’incontro che aveva presieduto Jiang nel 2001 occupava solo un terzo di pagina. Questo indica che Xi vuole che le sue parole vengano prese sul serio.

I titoli del Quotidiano del Popolo e dell’agenzia Xinhua esortano a «migliorare in modo complessivo, sotto nuove condizioni, gli standard del lavoro sulla religione».

SEGNI DI CAMBIAMENTO?

Da quando Xi Jinping ha preso il potere nel 2012, molte sue azioni hanno avuto l’effetto – intenzionale o no – di ridurre il peso della persecuzione sofferta dai praticanti del Falun Gong.

Questi ultimi costituiscono il più grande gruppo di prigionieri di coscienza in Cina, e l’unico gruppo sociale specificamente preso di mira da un’agenzia segreta di massimo livello (con l’incarico di eliminarli). Sono da anni il più numeroso gruppo di persone illegalmente recluse nei campi di lavoro e in altri luoghi di detenzione. E costituiscono anche il più numeroso gruppo di persone soggette a tortura, secondo il Relatore Speciale dell’Onu sulla Tortura.

A dicembre 2013 il sistema dei campi di lavoro, che si è ‘dedicato’ al Falun Gong per così tanto tempo, è stato formalmente abolito. Naturalmente il suo posto è stato preso dai ‘centri di educazione legale’ (colloquialmente noti come centri di lavaggio del cervello). Ma rimane il fatto che uno dei maggiori strumenti di persecuzione del Falun Gong sia stato abolito.

Xi ha anche coordinato la promozione di riforme legali che hanno dato maggiore responsabilità ai tribunali nella gestione di certi casi, tra cui quelli del Falun Gong; inoltre i praticanti in Cina hanno potuto presentare le loro denunce penali contro Jiang Zemin senza dover subire violenze in modo sistematico e diretto. Vari denuncianti sono stati in effetti incarcerati e hanno subito violenze, ma molti altri sono stati lasciati del tutto in pace.

Entrambi questi aspetti sono in contrasto con la situazione di un decennio fa, quando chi cercava di portare davanti alla giustizia Jiang veniva brutalmente ucciso mediante tortura.

La campagna di Xi Jinping contro la corruzione ha anche portato alla caduta in disgrazia e all’arresto di molti funzionari di alto livello del Partito che avevano fatto carriera perseguitando il Falun Gong. Persino gli altissimi quadri che erano ritenuti intoccabili – come lo zar della sicurezza Zhou Yongkang, il capo dell’Ufficio 610 Li Dongsheng e l’ambizioso governatore di Chongqing Bo Xilai – tutti implicati nella persecuzione, sono stati purgati.

La persecuzione del Falun Gong ha portato enormi costi monetari e d’immagine al Partito Comunista: l’esistenza stessa di decine di milioni di cittadini perseguitati che rifiutano di abbandonare la loro fede e insistono nel pretendere giustizia, ha formato un gruppo sociale deciso a influenzare le decisioni di funzionari e responsabili di governo.

Vi è anche un grande gruppo di cinesi all’estero che praticano il Falun Gong e che – inviando lettere, fax, e-mail e telefonando direttamente – prendono di mira i funzionari del Partito con l’obiettivo di portare l’attenzione sulla persecuzione.

Xi Jinping non ha mai nominato pubblicamente il Falun Gong, ma è impossibile ignorare quanto il fattore Falun Gong sia presente in molte delle sue mosse politiche da quando è salito al potere.

I suoi atti più recenti, tutti avvenuti attorno al 25 aprile, sono quelli che più che mai potrebbero essere interpretati come dei segnali. Che cosa tuttavia segnalino di preciso e a cosa porteranno, ancora non è chiaro.

 

Articolo in inglese: Xi Jinping Hints at Shifting Regime Stance Towards Falun Gong

 

 
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