Crollo della Cina: l’onda d’urto scuote i mercati di tutto il mondo

Da tempo i mercati azionari di tutto il mondo sono sopravvalutati e gli speculatori hanno usato il margine a debito per acquistare azioni. Per questo, difficilmente l’attuale ‘correzione’ della Borsa cinese può sorprendere. E quello che più è interessante, è che è la Cina stessa ad aver dato inizio a un cambiamento di opinione.

Nel 2015 la Cina ha sperimentato lo scoppio di una bolla immobiliare, un violento rallentamento economico, il crollo del mercato azionario e una svalutazione a sorpresa della moneta. In realtà, considerata questa situazione, stupisce che i mercati globali stiano reagendo solo da pochi giorni: esattamente, da quando la settimana scorsa la Cina è entrata in zona di correzione.

Forse la gente credeva che la Cina, grazie al suo sistema finanziario chiuso, non avrebbe esportato la sua volatilità interna. Naturalmente, ci sono diverse ragioni per la svendita nei mercati azionari occidentali (il possibile rialzo dei tassi della Fed, i livelli di sopravvalutazione estremi, il margine di speculazione e il rallentamento della crescita), ma vale la pena dare un’occhiata più da vicino alla connessione che la seconda più grande economia del mondo ha con il resto degli altri Paesi.

CONSIDERAZIONI ECONOMICHE

In sintesi, quando il valore delle azioni aumenta, il mondo vive una crescita economica e le aziende la crescita degli utili. È vero che la Cina ha effettivamente sperimentato per decenni una crescita, grazie al disavanzo commerciale con altri Paesi, ma è anche vero che – nello stesso periodo – ha acquistato ogni anno più della metà del minerale di ferro e del cemento del mondo per utilizzarli in progetti d’investimento discutibili.

Questo ha beneficiato gli esportatori di materie prime come l’Australia, gran parte del Sudamerica, il Canada e persino gli Stati Uniti (semi di soia). La Cina inoltre consuma fino al dieci per cento del petrolio mondiale: una manna per i produttori del Medio Oriente.

Dall’altra parte, i Paesi che non esportano materie prime, hanno tratto benefici indiretti attraverso l’esportazione di beni strumentali. Per buona misura, i produttori di auto e di beni di lusso hanno goduto della crescente classe media e ricca di consumatori cinesi, oltre che della corruzione endemica.

Ma la ‘festa’ è finita quando l’indice delle materie prime Bloomberg è crollato ai livelli che non si vedevano dal 1999. Le materie prime sono un settore molto importante e quindi un crollo dei prezzi fa male a tutti quelli che hanno continuato a investire in progetti che facevano affidamento sulla crescita della Cina. È sufficiente prendere in considerazione l’industria mineraria mondiale, che dal 2009 ha investito 460 miliardi di euro in progetti d’espansione.

Quindi molto probabilmente nei prossimi anni non ci sarà più crescita in alcuni settori chiave a livello globale, e forse ci saranno alcune perdite pesanti derivanti da investimenti sbagliati collegati alla sovracapacità produttiva. Non c’è da stupirsi quindi che le scorte industriali siano sempre colpite duramente e che altre aziende risentano di un effetto a catena.

CONSIDERAZIONI FINANZIARIE

E’ vero che la Cina ha certamente dei conti capitali piuttosto chiusi e quindi c’è chi sostiene che i problemi all’interno del suo sistema finanziario dovrebbero avere un impatto limitato sui mercati mondiali. In teoria. Ma, nella pratica, la Banca Popolare della Cina ha ancora 3700 miliardi di dollari in riserve valutarie (ha venduto più di 300 miliardi di dollari nel corso degli ultimi 12 mesi per soddisfare la domanda privata di dollari). Data la vastità, qualsiasi azione intraprenda la Banca Popolare della Cina, ha un impatto sul mercato, e di recente le vittime sono stati i venditori.

Inoltre, la Cina ha circa ben 500 miliardi di dollari di obblighi commerciali pendenti, che vengono utilizzati dalle aziende per prendere in prestito dollari al fine di acquistare le materie prime nei mercati mondiali. «Le aziende cinesi che esportano negli Stati Uniti (Foxconn) non sono le stesse aziende che importano risorse per la produzione e l’assemblaggio. Gli importatori devono prendere a prestito dollari sia da banche estere onshore che dalle banche cinesi del posto, che a loro volta prendono a prestito i dollari», ha scritto Jeffrey Snider di Alhambra Investment Partners.

Gran parte di questo finanziamento del commercio è garantito proprio dalle materie prime, il cui prezzo è andato in caduta libera (vedi rame e acciaio) provocando di conseguenza delle perdite per l’importatore.

Oltre a questo, la bilancia commerciale della Cina si è ridotta piuttosto bruscamente e il flusso di dollari in Cina è sensibilmente calato. Questo significa che gli importatori sono alla disperata ricerca di dollari per pagare gli interessi sul loro debito commerciale. Questa è un’altra ragione della svalutazione dell’11 agosto: la Cina ha appena permesso ad alcune aziende di fare incetta di dollari sul mercato aperto.

In questo modo il commercio si blocca, gli importatori cinesi stanno pagando gli interessi sul debito – o stanno anche finendo di comprare – cosa che spinge i prezzi al ribasso. Questo forza gli speculatori che investono a leva a liquidare anch’essi questi contratti, portando a un ulteriore riduzione del prezzo e mettendo ulteriore pressione alle aziende cinesi: la solita bolla a circolo vizioso che porta a una diminuzione della leva. Inoltre, le perdite sulle materie prime costringono gli investitori a vendere posizioni redditizie: le azioni, per soddisfare le richieste a margine e gli spread sulla vendita.

LE RISERVE POTREBBERO ESAURIRSI RAPIDAMENTE

Le riserve estere della Cina possono essere vendute per diminuire la carenza di liquidità e alcune sono già state liquidate. Tuttavia, la maggior parte di questi investimenti sono molto difficilmente convertibili in contanti. Come sottolinea l’Heritage Foundation, la Cina ha versato più di mille miliardi di euro in investimenti esteri illiquidi, per lo più nel settore minerario ed energetico.

La sostanza, è che in questo momento questi sono investimenti sotto pressione che sarà difficile vendere, poiché la maggior parte di loro non sono quotati in Borsa.

Certamente la Cina ha ancora una fetta d’investimenti liquidi, come i buoni del Tesoro degli Stati Uniti (1300 miliardi di dollari), ma Jeff Snider avverte che queste riserve possono esaurirsi più velocemente di quanto possa fare una corsa agli sportelli: «I deflussi sono stati enormi. Non vi è alcuna garanzia di stabilità. E se le condizioni peggiorano, potrebbe crescere in modo esponenziale una corsa [alla vendita, ndr]».

Fino a un anno fa, la situazione era diversa perché il credito in dollari era subito disponibile. Tuttavia, poiché la Fed ha smesso di pompare denaro sui mercati nel 2014, la liquidità in dollari a livello mondiale è stata drasticamente ridotta per tutti, non solo per la Cina.

Sarebbe normalmente già abbastanza grave se la Turchia e il Brasile lottassero per ottenere un finanziamento in dollari, la vendita di attività e una riduzione dei prezzi delle materie prime. Aggiungere la Cina in questo è come aggiungere un elefante in una vasca da bagno già affollata. Cosa succeda ‘all’acqua’ può essere osservato nel mercato di oggi.

         Per saperne di più:

Articolo in inglese: ‘How the China Crash Influences World Markets

 
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