La Cina ha ufficialmente aderito alle guerre di valuta

L’unica cosa che la Cina ha dovuto attendere è stata l’inserimento ufficiale nel paniere di valute di riserva del Fondo monetario internazionale (Fmi). Adesso può svalutare la propria moneta come vuole. Non che abbia scelta. Secondo Diana Choyleva, capo economista del Lombard Street Research, c’è infatti la possibilità che il deprezzamento dello yuan sia ragguardevole. «potrebbe verificarsi una svalutazione anche del 20 per cento rispetto al dollaro statunitense, poiché in termini di cambio effettivo reale lo yuan è attualmente sopravvalutato di circa il 15 per cento».

Stando a un’analisi del Westpac Strategy Group, dalla metà del 2014 lo yuan ha guadagnato il 15 per cento rispetto alle principali valute. Ma il 9 dicembre la Cina ha fissato il suo valore a 6,414 rispetto al dollaro americano, il minimo da agosto 2011 e in calo del 3,4 per cento rispetto alla mini-svalutazione di agosto.

La Choyleva ritiene che l’inclusione nel Fmi possa avere anche impedito alla Cina una singola svalutazione più brusca: «non sono così desiderosi di diventare responsabili», ha detto, aspettandosi un’ulteriore svalutazione graduale. Gli analisti di Macquarie credono invece che Pechino probabilmente non «rischierà la sua credibilità svalutando ancora bruscamente lo yuan».

Ma sebbene ci sia chiarezza su come (con gradualità) e di quanto (15-20 per cento) la Cina svaluterà, ancora non è chiaro perché debba farlo.

Gli osservatori di mercato di solito citano le esportazioni come ragione principale per una valuta più conveniente. In questo caso, in teoria, i prezzi delle merci cinesi diventano meno costosi sui mercati internazionali, per cui i volumi aumentano.
Ma nella realtà questa dinamica funziona raramente: le importazioni diventeranno più costose, dal momento che la Cina è anch’essa un grande importatore, e il solo commercio non contribuisce più di tanto all’economia cinese.

Inoltre, come ricorda Richard Vague, autore del libro The Next economic disaster, la Cina nelle esportazioni non è messa bene: «Avevano raggiunto il picco, solo pochi anni fa; le loro esportazioni nette ammontavano all’8 per cento del Pil. Ora sono solo un paio di punti percentuali».

Oltre a questo, nella crescita del Pil, le esportazioni non hanno un ruolo primario: piuttosto, sono i consumi e gli investimenti a fare la parte del leone. E Per stimolare i consumi e non far crollare gli investimenti, nel 2015 la Cina ha abbassato i tassi d’interesse per sei volte.

«Ci sono stati sei tagli dei tassi d’interesse nel corso dell’anno passato. Era programmato che l’economia facesse un buon sette per cento [di crescita, ndr] o giù di lì. Ma questo non sta accadendo: l’economia sta avendo una crescita molto più lenta», ha spiegato Fraser Howie, autore di Red Capitalism.

A ben vedere, è la combinazione di bassa crescita e di denaro facile che mette pressione sulla valuta, perché il regime ha creato una bolla del debito di proporzioni epiche e ora gli investitori si rendono conto che non otterranno i rendimenti promessi; di conseguenza il capitale sta uscendo dal Paese a un ritmo record.

Fino a quando la Cina perderà capitali, gli squilibri si sistemeranno in qualche modo e prosegue la politica del denaro facile, i deflussi continueranno e il regime affronterà continue pressioni per svalutare lo yuan.
Finora, il regime ha gestito il declino vendendo le riserve in valuta estera. Da un punto di vista puramente economico, e trascurando la politica della forza del Fmi, sarebbe meglio correggere questi squilibri attraverso un’unica svalutazione. La storia ci insegna che i Paesi che spendono le riserve in valuta estera per difendere la propria valuta, normalmente sono costrette alla svalutazione. Il rublo russo è stato un buon esempio nel recente passato, e le valute asiatiche e la sterlina inglese sono stati esempi negli anni 90.


Per saperne di più:

Inarrestabile fuga illegale di capitali dalla Cina

Goldman Sachs: riserve di capitale cinese minori di quanto dichiarato

Crisi del debito in Cina, un riequilibrio è sempre più difficile

Alla Cina mancano oltre 770 miliardi di euro

Articolo in inglese: ‘China Has Officially Joined the Currency Wars

 
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