Alla Cina mancano oltre 770 miliardi di euro

Secondo una stima approssimativa, il totale del deflusso di capitali dalla Cina dall’inizio del 2015 alla fine di settembre potrebbe raggiungere la cifra di 770 miliardi di euro.

Questa stima porta a presupporre che la Cina debba vendere le riserve di valuta estera (299 miliardi di euro circa alla fine di settembre, per lo più in buoni del Tesoro degli Stati Uniti) per mantenere il tasso di cambio stabile.
Normalmente, una fuga di capitali porta al deprezzamento del tasso di cambio: i venditori privati di dollari, prima di accettare di acquistare nei mercati internazionali la quantità in eccesso di yuan, richiedono un prezzo più elevato della valuta americana, e con la vendita delle riserve di valuta estera, la Cina stabilizza artificialmente il tasso di cambio. Tuttavia è possibile quantificare i deflussi, considerando la quantità delle riserve vendute.

La quantità finale delle riserve vendute per sostenere il tasso di cambio è data dalla somma totale di tutti i movimenti dei cambi in entrata e di quelli in uscita della Cina. Se la cifra è negativa, significa che il denaro sta fluendo in uscita, se è positiva significa che il denaro è in entrata.
A questo punto, è importante fare una distinzione tra flussi di capitale e flussi commerciali: i flussi commerciali mostrano il grado di competitività di un’economia nella produzione di beni e servizi; i flussi di capitale mostrano come gli investitori vedono i rischi e i guadagni in un determinato Paese.

Quindi, se c’è una grande quantità di denaro in entrata per mezzo del commercio e la Cina continua a vendere le sue riserve per sostenere il tasso di cambio, significa che per ogni dollaro guadagnato nel commercio, molti dollari ‘speculativi’ stanno lasciando il Paese. In passato, la situazione era opposta: i dollari derivanti dall’attivo della blancia commerciale rimanevano in Cina.

Il surplus commerciale fino alla fine di settembre 2015 è di 387 miliardi di euro circa. Durante lo stesso periodo sono entrati, tramite gli investimenti stranieri diretti, altri 85 miliardi di euro circa. Inoltre, se vi è un dollaro derivante dagli investimenti stranieri diretti in entrata e la Cina vende le riserve per mantenere il tasso di cambio stabile, questo significa che un altro dollaro derivante da investimenti ha lasciato il Paese.

Quindi, persino la gigantesca somma di oltre 450 miliardi di euro non è sufficiente a contrastare i deflussi, e mette la moneta cinese sotto pressione. Sebbene in precedenza la banca centrale della Cina abbia dovuto stampare e vendere yuan per assorbire questi deflussi, il fatto che adesso stia vendendo le riserve per stabilizzare il tasso di cambio significa che c’è una maggior quantità di denaro in uscita rispetto a quella in entrata; questa cifra si riflette nella quantità di riserve di valuta estera vendute. Quindi, sommando questi tre elementi, si arriva a stimare approssimativamente che i deflussi di quest’anno si aggirino intorno ai 770 miliardi di euro.

Perché questa cifra è approssimativa? Un motivo è che la stima ignora alcuni importi perché datati: la Cina ha aggiornato la sua bilancia dei pagamenti per il secondo trimestre del 2015 (i dati sono fino al 30 giugno) solamente il 22 ottobre. Quindi non vi sono aggiornamenti su ‘altri investimenti’ avvenuti in Cina, che comunque ha riportato un negativo di 175 miliardi di euro circa per i primi due trimestri.
Inoltre, altri importi come la categoria degli ‘errori netti’ e delle ‘omissioni nette’, sono difficili da interpretare e anch’essi datati. Questa categoria ha riportato un negativo di 82 miliardi di euro circa per i primi sei mesi dell’anno e potrebbe rappresentare qualunque cosa. L’intero conto capitale ha registrato un deficit di 55 miliardi di euro circa per i primi due trimestri del 2015, compresi gli investimenti esteri diretti (positivi) e le riserve di valuta estera (negative).

Considerato che alla fine del secondo trimestre del 2015, gli altri fattori del conto capitale sono stati negativi, se si ignorano questi dati e si lavora con quelli più aggiornati (gli investimenti stranieri diretti, i dati commerciali e le vendite di valuta estera), è persino lusinghiero per i deflussi presupporre che la tendenza sia continuata. In realtà, l’unica cosa esclusa nella stima riducendo il conto capitale, sarebbe il deficit dei servizi. Quest’ultimo è stato fino alla fine di giugno di oltre 86 miliardi di euro, e la logica funziona al contrario di quella per il surplus commerciale.

Inoltre, la stima non tiene conto delle fluttuazioni valutarie, che sono impossibili da quantificare in quanto la Cina non divulga l’esatta composizione delle sue riserve. Quindi la cifra finale potrebbe essere inferiore, così come potrebbe essere superiore. Qualunque possa essere la cifra finale, è più alta che mai. E troppo alta perché la transizione verso una economia di consumo possa essere reale.

 

Articolo in inglese: www.theepochtimes.com

 
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