Orienteering, correre senza perdere la rotta

L’orienteering è uno sport che si pratica correndo a stretto contatto con la natura e, sebbene non sia molto conosciuto, esiste ormai da quasi un secolo. Molti lo intendono come una qualche forma di corsa campestre, ma la parole chiave è ‘orientamento’.
Lo scopo dell’orienteering è di arrivare per primi al traguardo, ma a volte non è sufficiente essere i più veloci. Soprattutto quando si parla di orientarsi in un percorso nella natura e trovare dei punti di contatto prestabiliti.

Per conoscere meglio questa disciplina sportiva, Epoch Times ha intervistato Matteo Dini, fotografo, guida ambientale escursionistica e formatore di II livello di orienteering riconosciuto dalla Federazione italiana Sport Orientamento. Dini pratica l’orienteering da circa tre anni ed è anche presidente di una associazione sportiva marchigiana che si occupa di promuovere questa pratica.

Che cos’è l’orienteering?

Consiste nell’effettuare un percorso predefinito caratterizzato da punti di controllo chiamati ‘lanterne’, con l’aiuto esclusivo di una bussola e di una carta topografica molto dettagliata a scala ridotta: disegnata secondo norme stabilite a livello internazionale, contiene particolari del luogo da percorrere. Il luogo di svolgimento sono i boschi, ma possono essere utilizzati gli ambienti naturali in generale; sempre più spesso accade di gareggiare nei centri storici delle grandi città.

Quando e dove è nato?

Nel 1919, nei dintorni di Stoccolma, venne organizzata la prima gara ufficiale di orienteering, in cui presero parte oltre duecento concorrenti. In realtà le vere origini di questo sport risalgono al 1887 quando a Bergen, in Norvegia, fu organizzata una prova di sci orientamento, ovvero l’orienteering fatto con gli sci di fondo.

È necessario avere un particolare equipaggiamento?

Per i principianti basta un semplice abbigliamento da corsa, meglio ancora se da trail in caso di gare boschive. Poi servono cartina, bussola e SPORTident, un sistema di punzonatura digitale utilizzato dagli orientisti durante le competizioni. Ma quest’ultimo può essere fornito dall’organizzazione.

In Italia quando è stato introdotto?

Nel 1967 al Cnen (ora Enea) di Casaccia, vicino Roma. Sergio Grifoni e Valerio Tosi, ricercatori di ritorno dalla Scandinavia, hanno poi deciso di importare questo sport in Italia. E così, il 6 dicembre 1967 Grifoni organizza la prima gara a cui partecipano cinque persone, utilizzando una carta dell’Istituto geografico militare.

L’orienteering raggruppa diverse discipline sportive?

Sì. Oltre all’orienteering di corsa (c-o), esistono lo ski-o (l’orienteering con gli sci di fondo), il mtb-o in mountain bike e il trail-o, un orienteering di precisione.

Esistono anche competizioni per disabili?

Si tratta proprio del trail-o, una disciplina sviluppata per offrire a chiunque, comprese quindi le persone con disabilità fisiche, la possibilità di partecipare a una gara di orienteering perfettamente alla pari con tutti gli altri concorrenti. La velocità di movimento non è determinante nella gara. Gli atleti di trail-o devono identificare sul terreno, attraverso dei punti di osservazione agibili per le carrozzelle, alcuni punti segnati sulla cartina e distinguerli da punti fasulli a essi vicini, o addirittura stabilire se tra le lanterne presenti sul terreno si è in presenza o meno di quella che si sta cercando.

Nel trail-o sono due le categorie con medesimo percorso: Open e Paralimpici. La prima comprende concorrenti, normodotati e disabili; la seconda è riservata a concorrenti con una disabilità fisica.

Come ci si allena?

Nell’orienteering servono gambe e testa. Per le gambe basta allenarsi regolarmente, ad esempio con la corsa campestre. Per la testa serve un allenamento specifico: lettura della carta e della descrizione dei punti, uso della bussola, eccetera. Solitamente le società organizzano delle uscite nelle zone dove si pratica questo sport, ovvero nelle aree cartografate secondo i principi dell’orienteering. La ricerca finale per l’orientista è di trovare l’equilibrio tra lo sforzo fisico e mentale, per sapere quanto velocemente si può andare, per essere ancora in grado di interpretare il terreno intorno ed eseguire continuamente scelte di percorso.

Molti praticanti provengono dalla corsa?

Sicuramente chi ha fatto gare di fondo, mezzofondo, trail e corsa campestre parte avvantaggiato, ma pochi orientisti provengono da altre discipline. Molti invece sono partiti direttamente dalle gare di orientamento perché avere le gambe veloci serve, ma non è tutto.

Quali benefici apporta?

L’orienteering tiene allenati gambe, vista e cervello. Insegna l’autosufficienza, migliora le competenze decisionali, insegna a pensare e ad agire sotto pressione, aumenta i livelli di fitness, la capacità cardiovascolare e allunga il tempo di comunione con la natura. Provoca anche un aumento dell’autostima e può persino essere utile come salvavita. Infine permette di socializzare con altri orientisti o appassionati e può essere fatto ovunque a livello globale.

Cosa consiglia a una persona che vuole provarlo?

Di farlo subito, l’orienteering è davvero per tutte le età! Si pensi che esistono i mondiali per le categorie senior, dai 35 anni in su. È uno sport a stretto contatto con la natura, totalmente ecocompatibile e dove vige il fair play. Esistono Paesi in cui fin dalle scuole materne la simbologia dell’orientamento viene insegnata come secondo linguaggio.

Nell’orienteering vince sempre la persona più veloce?

Vince chi taglia prima il traguardo senza fare errori (lanterne mancate o sbagliate).

Si può praticare anche per divertimento?

In ogni competizione ci sono categorie per principianti e non agonisti. La differenza maggiore rispetto agli agonisti sta nella difficoltà e nella lunghezza dei percorsi.

Esistono dei rischi connessi alla sua pratica?

Quelli di chi corre abitualmente.

Quanti praticanti ci sono in Italia?

I tesserati alla Federazione italiana Sport Orientamento (Fiso) sono diverse migliaia. Nel 2017 le società affiliate sono 165, ma sono destinate ad aumentare poiché le affiliazioni sono aperte tutto l’anno.

Sarà inserito alle Olimpiadi?

Sono oltre vent’anni che la Federazione Internazionale di Orienteering sta cercando di far ammettere questo sport alle Olimpiadi. Tuttavia si prevedono novità a breve per tutte le discipline. Per ora le chances migliori sono per lo ski-o, probabilmente per la presenza di un numero minore di sport nelle Olimpiadi invernali.

Attualmente gli orientisti si devono ‘consolare’ con i World Games, che comprende competizioni che non sono inserite nel programma dei Giochi olimpici; sono patrocinati dal Comitato Olimpico Internazionale e i mondiali si terranno tra poco in Estonia.


Per approfondire:

 
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