Marino fuori dai giochi. La patata bollente passa al M5S

Ignazio Marino si dimette. Che siano i fuochi d’artificio in festa a risuonare, o la cornamusa degli eroi morti in battaglia, è questione di punti di vista.

Tra strade sporche e dissestate, mezzi disastrati, verde pubblico abbandonato, immondizia, mafia capitale, il «non ho invitato il sindaco Marino, chiaro?» del Papa, e – ultime – le spese nei ristoranti, Marino era stato attaccato su tutti i fronti. Per motivi a volte importanti a volte no, ma era chiaro che prima o poi dovesse cadere. «Mi vogliono far fuori perché siamo andati a toccare i poteri forti», ha ripetuto più volte.

Se a Marino va giustamente riconosciuta – fino a prova contraria – l’estraneità ai fatti di Mafia Capitale che hanno coinvolto buona parte del resto del Pd romano, gli viene comunque lamentata una certa incapacità nei compiti basilari di un sindaco, a giudicare dalla situazione di una città che tanti romani definiscono ‘abbandonata a se stessa’. E poco conta che questa situazione non sia stata creata da lui: il peggioramento è stato obiettivamente continuo durante i due anni e mezzo della sua gestione.

«Ci sono delle responsabilità individuali rispetto all’amministrazione Marino – commenta Vera Capperucci, politologa della Luiss Guido Carli di Roma – e ci sono però, da un’altra parte, una serie di problematiche legate a come la città è stata gestita negli ultimi 30 anni». Proprio partendo dai problemi già esistenti, Marino aveva vinto le primarie ed era stato eletto proponendosi come una forza di cambiamento. In parte, però, la capacità di incidere di Marino è stata inibita da «un sistema burocratico, colluso, sclerotizzato».

Il Pd ha provato a salvarlo, inizialmente, ma poi la relazione tra partito e persona è andata sempre peggiorando. Dopo gli scandali, il Pd locale ha dovuto rinnovarsi, con l’incarico dato a Orfini di «cercare di mettere mano sul partito romano». Da qui un processo di distacco del Pd da Marino si è concretizzato sempre più, assieme alla valutazione che il Sindaco abbia mostrato «capacità amministrative piuttosto dubbie», afferma la Capperucci.

I famosi scontrini, delle cene che Marino avrebbe addebitato al Comune per presunti motivi istituzionali (che però, apparentemente, tali non erano) sarebbero solo la «punta di un iceberg, uno specchietto per le allodole», una scusa per costringere un sindaco non più voluto, alle dimissioni, secondo la politologa.

E, ora, dopo le dimissioni tanto volute da Renzi, forse dalla Chiesa, e probabilmente dalla grande maggioranza dei romani, la situazione non diventa più facile, soprattutto per il Pd. Chi sostituirà Marino? È probabile che il Pd non riesca a trovare facilmente un’alternativa di così grande appeal sufficiente a far dimenticare lo scandalo di Mafia Capitale e la malagestione.

Per la Capperucci, il Pd «proporrà una figura che non passerà per le primarie» e che possa ‘rubarsi’ una parte dell’elettorato che sarebbe tentato di votare il Movimento 5 Stelle. Il Pd ha due strade: recuperare una figura del passato di prestigio, come Rutelli, oppure tentare di trovare un homo novus con cui ripartire da zero. Ma in entrambi i casi la strada è in salita.

L’ago della bilancia potrebbe essere la competizione tra destra e M5S. In particolare il Movimento potrebbe proporsi come di fatto l’unica forza politica di primo piano mai che non sia mai stata coinvolta in scandali relativi a clientelismo, illeciti finanziari o legami presunti mafiosi.

Tuttavia un principio importante del M5S è la coerenza verso gli impegni presi. Alessandro Di Battista – che se si candidasse a Roma vincerebbe probabilmente a occhi chiusi, vista la popolarità (c’è chi dice che potrebbe competere con Renzi stesso) – ha più volte negato di potersi candidare, dal momento che è stato eletto come deputato e da deputato intende svolgere il suo compito. E lo stesso, quindi, varrebbe per tutti i volti noti del Cinque Stelle, sebbene Daniela Lombardi abbia rilasciato dichiarazioni in tal senso opposte.

La Capperucci ritiene che se il Movimento volesse vincere, ci riuscirebbe facilmente, candidando un volto noto. La politologa si chiede però se i ‘grillini’ siano disposti a farsi carico dell’amministrazione di una città così importante, grande e complessa come Roma.

L’appeal del Movimento cadrebbe parecchio senza la candidatura delle sue star, non godendo, in molte città, di sufficiente fiducia dei cittadini. Una cosa sono le elezioni politiche, un’altra quelle amministrative. Il Movimento è ancora visto come una forza di protesta a livello locale, complice il lascito dei toni di Grillo e delle prime campagne elettorali: sarebbe in grado di vincere, e soprattutto di governare bene Roma?

 
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