Garry Kasparov sfida le dittature

Garry Kasparov, spesso considerato il più grande giocatore di scacchi di tutti i tempi, vede la vita come una battaglia fra opposti: bene e male, libertà e totalitarismo.

Da quando si è ritirato dagli scacchi nel 2005, Kasparov si è dedicato a una guerra a tutto campo contro chiunque consideri appartenere alle «forze del male», ad esempio regimi totalitari come Cina, Iran e Corea del Nord, i quali minacciano le «forze del bene».

Secondo Kasparov, il più grande nemico del mondo libero è il leader russo Vladimir Putin, il soggetto del suo libro pubblicato nel 2015 dal titolo Winter Is Coming. Dalla sua prospettiva, non esiste una zona grigia: «Se non stai dalla parte del bene, appartieni al ‘Lato Oscuro’».

Nel 2011, Kasparov ha preso il posto del defunto Vaclav Havel a capo della Fondazione Diritti Umani di New York. Da questo avamposto, Kasparov combatte per le forze della libertà e dei diritti umani, portando alla battaglia una logica strategica finemente affinata dalla sua esperienza di gran maestro degli scacchi e campione del mondo.

IL LATO OSCURO DELLA FORZA

Fin dalla giovane età, Kasparov ha mostrato il suo carattere di combattente. All’età di 17 anni, ha partecipato ad una competizione mondiale con il team di scacchi dell’Unione Sovietica. Durante una sosta a Roma, mentre il resto del team era andato a visitare il Vaticano, il giovane Garry ha deciso di andare a vedere Star Wars: L’impero colpisce ancora.

Una scena del film è rimasta scolpita nella sua memoria, quella nella quale il maestro Yoda guida Luke Skywalker e gli dice: «Rabbia, paura, aggressività: il lato oscuro della Forza». Questo consiglio suonava inutile e noioso, alle orecchie del giovane Garry. Pensava che il giovane Skywalker avesse dovuto prendere una strada diversa: un’iniziativa inflessibile e aggressiva contro Darth Vader, il nemico, con l’obiettivo di salvare i suoi amici.

Questo in sintesi rispecchia la filosofia di Kasparov, negli scacchi come nella vita: «Credo, negli scacchi come nella vita, a quello che chiamo ‘il vantaggio di chi attacca’. Essere aggressivi e muovere battaglia all’avversario. Questa strategia è buona non solo perché generalmente funziona, ma anche perché puoi imparare da essa se non dovesse andare a buon fine. Perdere passivamente ti permette di imparare poco sulla situazione e su te stesso. Si impara solo agendo, provando, prendendosi dei rischi. Come puoi sapere se sei in grado di scalare una montagna, di iniziare una nuova attività o fare qualsiasi altra cosa se non ti prendi dei rischi? Che cosa imparerai non provandoci? Niente».

Negli scacchi, per essere in grado di imporre il proprio ritmo all’avversario, Kasparov si sottoponeva a un rigoroso regime di allenamento. Esplorava a fondo molte aperture di gioco e si creava sempre nuove sfide, così da non smettere di fare progressi. Questo allenamento ha fornito al campione gli strumenti concettuali per ragionare in politica.

Se lei stesse giocando una partita a scacchi con Putin, come descriverebbe la sua filosofia di gioco?

«Putin non è affatto un giocatore di scacchi. È un giocatore di poker. Gli scacchi sono un gioco completamente trasparente, entrambi i giocatori hanno tutte le informazioni nello stesso momento. Questo non rispecchia il modo in cui Putin opera. Nel suo cuore, lui è un uomo del Kgb, tiene nascosto quanto più possibile. Nel poker la maggior parte delle carte sono segrete e tu hai la possibilità di bluffare quando possiedi una cattiva mano.

«Leggere il tuo avversario non è meno importante che calcolare le percentuali di successo. I leader del mondo libero hanno molte migliori ‘carte’ rispetto a lui – militarmente ed economicamente – ma Putin bluffa ottenendo da loro un fold [nel poker, il ‘lasciare’, durante una mano ndr]». 

Kasparov afferma che Putin è un «tattico opportunista»: salta da luogo a luogo e causa problemi con l’obiettivo di promuovere i suoi interessi. Così, per esempio, prova ad interferire in Siria per causare un’ondata migratoria che potrebbe indebolire l’Unione Europea, la principale minaccia al suo ruolo e alla sua influenza.

Kasparov continua: «Oggi, il problema è che le nazioni del mondo libero aspettano passivamente e reagiscono affrettatamente alle mosse di Putin, giocando tatticamente meglio, ma con lentezza e con debolezza».

Discutendo delle tattiche passive del mondo libero, Kasparov ha fatto un’analogia con le leggi della fisica: «Così come l’energia non può essere distrutta, anche il potere non è distruttibile: per esempio, una volta che gli Stati Uniti abbandonano una regione, gli altri ci entreranno ed agiranno; come Putin, Assad e l’Iran, che sognano di prendere il potere nel Medio Oriente che gli Stati Uniti hanno volontariamente ceduto». 

Perché pensa che una strategia passiva, che non prenda posizione, sia sbagliata?

«Ci sono dei nemici che vale la pena avere. Rimanere neutrali in un conflitto fra bene e male significa favorire il male. Possiamo chiaramente vederlo al giorno d’oggi. Il Global Freedom Index è sceso per nove anni consecutivi e una buona parte della motivazione è che gli ex campioni della democrazia e della libertà globale, gli Stati Uniti, si sono dichiarati neutrali, degli osservatori passivi.

«Così, gli Stati aggressori hanno rapidamente approfittato di questo vuoto di potere. La neutralità può salvare i tuoi soldati nel breve periodo, ma, alla lunga, renderà il mondo meno sicuro. Tutte le battaglie che il mondo libero sta cercando di evitare adesso, dall’Ucraina alla Siria, risulteranno più difficili e più sanguinolente in futuro.

«Nel mondo degli scacchi noi diciamo che il lato con l’iniziativa è obbligato ad attaccare o il vantaggio passerà all’avversario. È così: devi sfruttare il vantaggio o lo perderai. Da quando è crollata l’Unione Sovietica nel 1991, il mondo libero si è trovato in una posizione di vantaggio in tutti i campi: militarmente, economicamente, culturalmente. Hanno deciso di celebrare, invece che di utilizzare questa opportunità per esercitare pressione sui rimanenti regimi dittatoriali. Ora stiamo pagando il prezzo di questa accondiscendenza».

Nell’ambito della sua battaglia contro i regimi dittatoriali, h raggiunto il confine della Corea del Nord e ha liberato un pallone con all’interno dei volantini che erano destinati a far prendere coscienza ai nordcoreani della loro situazione. È un fatto noto, però, che la Corea del Nord è un’estensione del Partito Comunista Cinese. Non pensa che strategicamente, per risolvere il problema della Corea del Nord alla radice, si dovrebbe fare i conti con il Partito Comunista Cinese?

«La mia lotta contro la Corea del Nord è solo una battaglia di una grande guerra. È importante fare tutto il possibile in ogni dove. Strategicamente, un assalto frontale al punto più forte del nemico ha raramente successo. Uno deve cercare un punto vulnerabile e spingere. La caduta dello spietato regime nordcoreano sarebbe una perdita dolorosa per i leader comunisti cinesi. Hong Kong è un luogo con una tradizione democratica: un altro potenziale punto debole del regime cinese.

SCEGLIERE I BERSAGLI

Nel 2013, Kasparov ha pranzato con David Keyes, direttore esecutivo della Ong Advancing Human Rights, nominato a marzo portavoce del primo ministro israeliano per la stampa estera.

Keyes ha fatto sua la missione di disturbare i regimi dittatoriali del mondo. Ha già avuto il privilegio di essere il protagonista di un post di Facebook di un arrabbiato ministro degli esteri iraniano, dopo averlo messo in imbarazzo durante un pranzo, con una domanda sui prigionieri politici in Iran.

In un’intervista di novembre 2014 ad Epoch Times, Keyes ha dichiarato: «Ogni crepa conta. Ogni volta che disturbo un regime dittatoriale, si tratta di una crepa. Penso che l’occidente sia titubante e che questo sia dovuto alla precarietà dei valori del mondo libero, all’insicurezza circa il nostro enorme potere e alla mancanza di discernimento fra bene e male, democrazia e dittatura».

Durante il meeting, un’idea interessante è emersa fra Kasparov e Keyes. Kasparov ha ricordato a Keyes che nel 1984 il nome della strada di Washington D.C. dove l’Ambasciata Sovietica era allocata era stato cambiato in Piazza Sakharov, dopo le azioni dell’attivista dei diritti umani Andrei Sakharov. Dopo questa mossa, l’Unione Sovietica permise a Sakharov e a sua moglie di ritornare a Mosca dopo molti anni di esilio. 

Keyes era entusiasta e insieme hanno pubblicato un articolo sul Wall Street Journal: «Ogni volta che i sovietici entravano o uscivano dalla loro ambasciata – hanno scritto –  veniva loro ricordato il costo umano della propria tirannia. È semplic,  ma questo ha ispirato una misura del Congresso che ha aiutato a metter al centro i diritti umani nella relazione fra Stati Uniti e Unione Sovietica».

Keyes, nell’intervista a Epoch Times ha dichiarato: «A quel meeting abbiamo ‘scelto i bersagli’. Vogliamo iniziare con le nazioni meno democratiche, come Cina, Russia, Siria e Iran». Gli sviluppi di quest’idea hanno portato a una proposta presso la Commissione Affari Esteri della Camera del Parlamento americano di nominare la strada dove è allocata l’ambasciata cinese con il nome di un dissidente cinese.

«L’idea è di fare questo con ogni Paese non democratico che perseguita chi vi si oppone: Russia, Cina, Paesi arabi e le dittature del Nord Africa. Sebbene questo sia solo un atto simbolico, il simbolismo è solitamente una cosa molto importante nelle guerre ideologiche». 

Andrei Sakharov ha detto che le politiche morali estere si rivelano lontane dall’essere le più efficaci. Affermava che preservare i valori e i principi è un’efficace politica a lungo termine, mentre le applicazioni della moralità e dei principi in maniera selettiva e ipocrita porta scarsi risultati e confusione. Che cosa ne pensa di questa posizione?

«Questa intuizione è vera oggi come lo era durante la Guerra Fredda. Sacrificare una posizione morale per della cortesia politica e per della realpolitik, spesso si rivela conveniente al limite solo nel breve termine: un castello costruito sulla sabbia. Se tu hai una posizione forte e limpida, i tuoi alleati e i tuoi nemici conoscono dove ti posizioni e cosa aspettarsi. L’ipocrisia e la flessibilità della moralità confonde gli alleati e incoraggia i nemici. Questo porta inoltre a politiche incoereti, dondolando avanti e indietro da un estremo all’altro senza gli orientamenti delle missioni e dei valori nazionali, come è accaduto in Occidente dalla fine della Guerra Fredda».

Può fornirci un esempio?

«Il miglior esempio dell’applicazione di politiche morali estere di successo è stata la relazione di Ronald Reagan con l’Unione Sovietica: ha criticato apertamente la leadership sovietica per gli abusi dei diritti umani e ha chiesto un cambiamento. Contemporaneamente è stato solidale con il popolo sovietico, sostenendoci moralmente contro i nostri governanti, anziché demonizzarci come nemici.

«Reagan trattava con Gorbachev, se necessario, ma non concedeva nulla e non dimenticava di porre la lista dei prigionieri politici sul tavolo delle discussioni. Questo è quello che ha abbattuto la cortina di ferro e l’Urss, così come il ristagno economico. Se l’occidente avesse avuto dei leader deboli, questi avrebbero fatto accordi e compromessi con Gorbachev in cambio di piccole concessioni che avrebbero esteso la vita dell’Urss per anni, forse decadi». 

Una volta Kasparov perse una partita a scacchi contro la macchina Deep Blue, di Ibm. In quella occasione affermò: «Se non puoi batterli, unisciti a loro» e iniziò a sviluppare varianti per i giochi di scacchi per computer. Epoch Times, scherzando, gli ha quindi chiesto: 

Se questa è una buona strategia, perché non si unisce a Putin?

«Questo è un paragone senza senso. Gli uomini possono competere con le macchine, così come possono lavorare insieme alle macchine, utilizzandole come strumenti. Non c’è un fattore morale in gioco qui, solo metodi di lavoro e prestazioni.

«Ho inventato ‘Advanced Chess’ nel 1998 per vedere se un giocatore umano insieme all’assistenza del computer avrebbe giocato nel miglior modo possibile. È stata un’esperienza affascinante ed educativa, che è resistita per molti anni nella comunità degli scacchi, con risultati significativi per quello che io chiamo collaborazione uomo-macchina.

«Ma aderire ad una dittatura dopo aver ‘perso’ sarebbe semplicemente una capitolazione morale. Non ci sono collaborazioni con i dittatori, niente da imparare o sviluppare. Ovviamente semplificando, il ‘bene’ è la libertà individuale, qualsiasi cosa che infrange questo è ‘male’.

«È vero che la democrazia è un qualcosa di disordinato e che il libero mercato produce alcune disuguaglianze, ma allo stesso tempo, è la migliore strada che abbiamo scoperto per garantire la pace e la prosperità». 

Intervista rivista per brevità e chiarezza.

Articolo in inglese: http://www.theepochtimes.com/n3/2090744-chess-grandmaster-garry-kasparov-fights-the-worlds-dictators/

Per saperne di più:

 
Articoli correlati