«Per una volta, senza saperlo, Giorgia Meloni è stata sincera: non crede nel progetto europeo. E infatti l’Italia sta pagando un prezzo enorme. A luglio ha votato contro il programma di Ursula von der Leyen e a novembre ha votato a favore della commissione che dovrebbe attuarlo. L’Italia paga questa contraddizione, e io ho sempre pensato che non c’è alcun avvicinamento all’Europa da parte di Meloni, che piuttosto sembra svolgere la funzione di cavallo di Troia per entrare in Europa a scopo di sabotaggio».
Nicola Zingaretti, che commenta così – in una intervista al Sole 24 Ore – le parole della premier sull’Europa di Ventotene, è reduce da un difficile confronto nella delegazione del Pd all’Europarlamento sul ReArmEu: come capogruppo non è riuscito a portare tutti sulla posizione dell’astensione indicata dalla segretaria Elly Schlein, visto che 10 su 21 hanno votato a favore del Piano, ma rivendica il risultato inizialmente non scontato di nessun voto contrario. «Ursula von der Leyen – osserva – è presidente della Commissione Ue grazie al Pd: è stata eletta per 9 voti e noi ne abbiamo garantiti 19. E anche sul dossier Difesa la nostra posizione, con l’astensione, non è mai stata una fuga. Nessuno ha votato no. La nostra è stata una posizione di critica per una via diversa e migliore. Il principale problema dell’Europa non è paradossalmente la quantità della spesa ma la qualità: se come ha detto Romano Prodi l’effetto del frazionamento è deleterio, occorre spingere per l’avvio di una vera difesa comune. E dopo pochi giorni dal voto di Strasburgo l’indirizzo sta andando verso la giusta direzione. Noi – continua – abbiamo parlato di forme straordinarie per l’interoperabilità dei comandi, Mario Draghi al Parlamento italiano ha parlato addirittura – cito testualmente – di ‘catena di comando di livello superiore che coordini gli eserciti nazionali’. E oggi tutto il Pse dice che servono difesa comune, debito comune e acquisti congiunti. Con soddisfazione possiamo dire che è anche un nostro risultato, di Elly a livello politico e di noi a livello parlamentare».
Ma a sinistra, tra gli alleati del Pd, c’è chi dice no tout court: «L’Europa purtroppo è stretta tra le lame di una forbice: c’è chi dice no e frena perché vorrebbe più Europa, penso appunto alla nostra sinistra, e chi dice no e frena perché di Europa ne vede troppa. Ma sempre di no si tratta, e se si sommassero porterebbero alla fine dell’Europa. Noi siamo parte di quell’Europa che vuole andare avanti. Oggi la grande questione riguarda il bilancio europeo. Non solo per la sicurezza ma anche per la casa, per le questioni sociali, per la transizione ecologica e dell’automotive: serve una nuova emissione di debito europeo».
Zingaretti spiega che «al momento il ReArmEu è frammentato, per acquisti nazionali e praticamente tutto sulle spalle dei debiti nazionali. Per questo è importante stare dentro il processo che si è aperto, per condizionarlo, e non fuori». Quanto al chiarimento nel Pd sulla politica estera: «Io mi permetto di dire che ci sono stati troppi riflettori sul necessario chiarimento nel Pd, perché noi in realtà siamo gli unici che questo chiarimento lo hanno fatto, arrivando nelle scorse ore nel Parlamento nazionale ad una posizione comune e condivisa: dentro il processo, appunto, ma rivendicando radicali cambiamenti. La vera tragedia italiana – conclude Zingaretti – è un governo che non ha una politica estera, bensì tre: quella di Fi filo europea, quella della Lega contro l’Europa e una posizione ibrida della presidente Meloni che qui a Bruxelles è considerata più la rappresentante di Trump che non la rappresentante di un grande Paese come l’Italia che ha sempre fatto la differenza. A me dispiace dirlo, ma la tragedia che sta vivendo l’Europa non è colpa dell’Europa ma dei governi nazionalisti, in primis dell’Italia».