Variabilità della frequenza cardiaca, un prezioso parametro che pochi monitorano

di Redazione ETI/Sheramy Tsai
7 Aprile 2025 16:49 Aggiornato: 7 Aprile 2025 16:49

Monitorare la frequenza cardiaca è una pratica diffusa, ma esiste un parametro meno noto e più rivelatore dello stato di salute: la variabilità della frequenza cardiaca o Hrv. In passato associata alla medicina alternativa, oggi si afferma come indicatore sempre più riconosciuto del benessere fisico e mentale, soprattutto in un contesto segnato dall’aumento delle malattie croniche.

La variabilità della frequenza cardiaca «era considerata marginale, quasi ignorata, ma ora è pienamente accettata, utilizzata in studi su larga scala e in contesti clinici» spiega il neuropsicologo e ricercatore J.P. Ginsberg. La variabilità della frequenza cardiaca ha assunto un ruolo rilevante anche nel trattamento della depressione, dell’ansia e del disturbo da stress post-traumatico. La sua capacità di fornire informazioni immediate sullo stato del corpo e della mente la rende uno strumento accessibile a tutti.

COS’È LA VARIABILITÀ DELLA FREQUENZA CARDICACA

La variabilità della frequenza cardiaca misura le minime variazioni temporali tra un battito e l’altro. A differenza della frequenza cardiaca, che ne registra semplicemente il numero, questo parametro analizza il ritmo e le fluttuazioni tra i battiti, come se si osservasse il respiro del cuore. Una certa irregolarità rappresenta un segnale positivo di salute.

Nei momenti di rilassamento, il battito risulta più variabile, mentre sotto stress, ansia o affaticamento diventa più regolare. Una variabilità della frequenza cardiaca bassa indica che il corpo sta impiegando maggiori risorse per far fronte a una difficoltà, segnalando una minore capacità di recupero.

A determinare queste variazioni è il sistema nervoso autonomo, che regola funzioni involontarie come battito e digestione. È suddiviso in due componenti: il sistema simpatico, che attiva la risposta di allerta, e quello parasimpatico, che favorisce rilassamento e recupero. La variabilità della frequenza cardiaca riflette l’equilibrio tra queste due forze, offrendo un quadro immediato della gestione dello stress.

Di fronte a uno stimolo stressante, il sistema autonomo riduce l’attività parasimpatica, alterando il ritmo cardiaco. «Offre uno sguardo su come l’organismo risponde allo stress, si riprende e rimane resiliente — spiega Marco Altini, scienziato e fondatore di Hrv4Training — Che si tratti di pressioni lavorative, impegni familiari o forma fisica, la variabilità della frequenza cardiaca apre una finestra sulla capacità di far fronte alle esigenze della vita».

PERCHÉ È IMPORTANTE

La variabilità della frequenza cardiaca non è solo un parametro utile in ambito sportivo: rappresenta una chiave di lettura della salute generale. Un valore elevato suggerisce un sistema cardiovascolare flessibile, pronto ad affrontare e superare le sfide. Al contrario, una variabilità bassa può essere il primo segnale di un rischio futuro.

Uno studio pubblicato su EP Europace ha rilevato che una ridotta variabilità della frequenza cardiaca può aumentare del 45% il rischio di un primo evento cardiaco, anche in assenza di patologie pregresse. Si ipotizza inoltre che la variabilità della frequenza cardiaca rifletta la capacità del nervo vago di modulare l’infiammazione.

Nel caso del diabete di tipo 2, la variabilità della frequenza cardiaca assume un valore diagnostico importante. I pazienti presentano spesso valori più bassi, indicativi di un sistema nervoso autonomo indebolito, con conseguente aumento del rischio di ipertensione e complicanze cardiache.

Anche la longevità appare correlata alla variabilità cardiaca. Uno studio condotto su 38.008 individui ha mostrato che una variabilità della frequenza cardiaca bassa si associa a un rischio di mortalità maggiore del 56% rispetto a chi presenta valori più alti. «Una variabilità della frequenza cardiaca alta è segno di resilienza e salute — spiega il neuropsicologo Ginsberg — Un valore cronicamente basso, invece, spesso indica fragilità e maggiore esposizione a malattie».

Dal punto di vista emotivo, la variabilità della frequenza cardiaca si è rivelata un indicatore utile: valori ridotti sono frequentemente legati ad ansia, depressione e declino cognitivo. Una variabilità stabilmente bassa può riflettere gli effetti dello stress cronico su umore, attenzione e salute mentale.

COME SI MISURA

Non è consuetudine misurare la variabilità della frequenza cardiaca durante una visita medica ordinaria, sebbene alcuni specialisti, come cardiologi o chiropratici, possano includerla in esami specifici. Il metodo più preciso resta l’elettrocardiogramma (Ecg), in particolare nella sua versione Holter, che registra con accuratezza gli intervalli R-R tra i battiti.

I dispositivi indossabili, come smartwatch o fitness tracker, permettono oggi un monitoraggio quotidiano tramite sensori ottici. «Sono abbastanza affidabili, a patto che non ci sia movimento durante la misurazione» sottolinea Altini, consigliando la rilevazione notturna.

Il dottor Ginsberg ha aggiunto che questi strumenti hanno contribuito a diffondere la variabilità della frequenza cardiaca, pur senza raggiungere la precisione clinica. «Sono utili per osservare i cambiamenti individuali nel tempo» spiega l’esperto, pur evidenziandone i limiti dovuti a perdite di contatto o battiti mancanti.

Secondo uno studio della West Virginia University, i wearable che rilevano le pulsazioni differiscono dagli strumenti basati su segnali elettrici. I sensori applicati a dita o lobi auricolari, grazie a un contatto più costante, offrono risultati più stabili. Una fascia toracica abbinata a un’app rappresenta un’alternativa affidabile per il monitoraggio domestico.

QUAL È IL VALORE IDEALE

Non esiste un valore universale per la variabilità della frequenza cardiaca. Età, genetica, forma fisica e stile di vita influenzano le misurazioni. Più che inseguire un numero fisso, è utile conoscere il proprio intervallo di riferimento.

La variabilità della frequenza cardiaca si misura in millisecondi e può essere rilevata con controlli giornalieri o su 24 ore. Uno studio del 2017 pubblicato su Frontiers in Public Health ha evidenziato che una media superiore ai 100 millisecondi su base giornaliera si associa a buona salute, mentre valori più bassi potrebbero indicare criticità. Rilevazioni più brevi, comprese tra 30 e 50 millisecondi, possono comunque essere normali, purché stabili.

«Una variabilità della frequenza cardiaca ideale resta costante nel tempo, entro il tuo intervallo normale», ha osservato Altini. Calo improvviso o declini graduali possono segnalare un bisogno di recupero o un eccesso di stress. Una misurazione regolare aiuta a distinguere tra fluttuazioni fisiologiche e segnali rilevanti.

L’obiettivo non è aumentare la variabilità della frequenza cardiaca a tutti i costi, ma mantenerla stabile entro il proprio range. Il monitoraggio consente di valutare l’effetto di sonno, alimentazione e attività fisica sul benessere, trasformando i dati in strumenti per ottimizzare la salute.

COME MIGLIORARLA

Non si può regolare direttamente il sistema nervoso autonomo, ma il respiro intenzionale regola la variabilità della frequenza cardiaca. Infatti, una respirazione lenta e profonda stimola il sistema parasimpatico, favorendo rilassamento e resilienza.

Praticare una respirazione ritmica, con sei atti respiratori al minuto, ha effetti benefici sulla variabilità della frequenza cardiaca. Anche l’attività fisica moderata contribuisce positivamente, migliorando la variabilità nel tempo, purché non si ecceda.

Il sonno di qualità è fondamentale: regolarità, ambienti tranquilli e riduzione dell’esposizione agli schermi prima di dormire favoriscono il recupero e sostengono la salute cardiaca. Mindfulness, yoga e meditazione completano il quadro, riducendo lo stress in modo complementare alle terapie cognitive.

Una dieta equilibrata, ricca di alimenti naturali e povera di zuccheri, rafforza il sistema cardiovascolare. Idratazione adeguata e limitazione della caffeina, specie nel pomeriggio, migliorano ulteriormente il quadro. Piccoli cambiamenti quotidiani possono trasformare la variabilità della frequenza cardiaca in uno strumento utile e duraturo per il benessere.

IL BIOFEEDBACK PER LA SALUTE


Il biofeedback della variabilità della frequenza cardiaca rappresenta uno degli impieghi più promettenti di questo parametro. Permette di monitorare in tempo reale lo stato del sistema nervoso, gestendo lo stress e potenziando la resilienza.

A differenza di terapie farmacologiche o percorsi psicologici complessi, il biofeedback offre un approccio semplice e autonomo. Regolando il respiro sulla base delle variazioni osservate, si stimola il sistema parasimpatico e si favorisce il recupero.

«È ideale per gestire stress cronico, ansia, disturbo da stress post-traumatico e ipertensione — spiega il neuropsicologo Ginsberg — Il suo punto di forza è l’autonomia che offre. Regolando il respiro, si gestisce lo stress, si potenzia la mente e si alleviano sintomi cronici. È una competenza accessibile a tutti, utile a corpo e psiche».

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.

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