Stati Uniti e Cina competono per costruire la prima centrale nucleare a fusione, una gara che potrebbe decidere il futuro dell’energia nel XXI secolo e forse dotare il regime cinese delle armi più avanzate mai viste.
Un reattore a fusione genera energia replicando il processo nucleare che alimenta il sole: unisce nuclei atomici leggeri, come l’idrogeno, sotto calore e pressione estremi. A differenza della fissione, che divide gli atomi, la fusione non emette gas serra e produce molta più energia con scorie radioattive minime a lungo termine.
Il potenziale della fusione è rivoluzionario: energia pulita praticamente infinita, capace di sconvolgere i mercati mondiali. Spesso chiamata il santo graal dell’energia verde, offre una potenza immensa, senza emissioni o scorie che durano per millenni, con un mercato che potrebbe valere mille miliardi di dollari entro il 2050.
Gli Stati Uniti hanno sfruttato la fusione nel test della bomba a idrogeno del 1952, ma controllare il plasma per produrre energia è un processo molto complesso. Nel frattempo, gli investimenti privati americani nelle startup di fusione nucleare superano gli 8 miliardi di dollari, supportati da colossi come Amazon, Google e Meta.
Dall’altra parte invece la Cina domina, grazie ai fondi pubblici, nella costruzione di reattori. Pechino stanzia circa 1 miliardo e 500 mila dollari l’anno per la fusione, quasi il doppio della spesa americana, secondo l’Ufficio per le Scienze dell’Energia da Fusione del ministero dell’Energia. Pechino domina la gara ai brevetti sulla fusione: sforna in media dieci volte più dottorati in scienze della fusione e mette le mani su materiali essenziali, come metalli speciali, magneti superconduttori e semiconduttori. La sua strategia punta a una rapida costruzione di reattori con dei design sperimentali, che spesso non rispettano le norme sul nucleare imposte degli Stati Uniti.
Le immagini satellitari di Planet Labs mostrano che nel 2024 la Cina ha avviato la costruzione di un’enorme struttura a fusione laser nelle montagne di Mianyana, nel sud-ovest del Paese, con una cupola di contenimento doppia rispetto all’impianto Usa National Ignition Facility. Gli esperti ritengono che possa essere un ibrido tra fusione e fissione nucleare, una tecnologia fattibile nel contesto del sistema statale cinese.
Chi conquisterà per primo la fusione dominerà l’economia mondiale. I senatori statunitensi e gli esperti stanno infatti chiedendo un investimento di 10 miliardi di dollari per tenere il passo, ma con il secondo mandato di Trump che punta a tagliare la spesa pubblica, il futuro dei fondi resta in dubbio. Se la Cina vince la sfida, potrebbe dominare il mercato energetico del futuro, come già fa attualmente con pannelli solari, batterie per auto elettriche e minerali rari.
Oltre all’economia, la fusione porta implicazioni geopolitiche e di sicurezza nazionale, se il Pcc riuscisse a controllarla, avrebbe un potere diplomatico enorme, permettendogli di dettare legge ai Paesi dipendenti dall’energia, proprio come fa ora con i minerali rari.
Il vantaggio cinese nella fusione nucleare potrebbe alimentare le infrastrutture militari del futuro: navi, sistemi spaziali e armi a energia diretta. Produrre energia illimitata sul posto rivoluzionerebbe la logistica militare, rendendo basi, portaerei e stazioni spaziali autosufficienti, senza filiere produttive vulnerabili.
I reattori ibridi di fusione-fissione cinesi sollevano timori sulle nuove capacità nucleari, sfiorando il confine tra energia civile e uso militare. La fusione pura non è considerata una tecnologia bellica dai trattati attuali. Dall’altra parte, le nuove tecnologie nucleari ibride potrebbero invece aggirare gli accordi sul nucleare. Pechino potrebbe integrare questa nuova tecnologia nell’esercito del regime cinese, già avanti su armi a fusione pura, testate termonucleari potenziate, armi a energia diretta, propulsione navale avanzata, sistemi spaziali, bombe a neutroni, armi a impulsi elettromagnetici, tecnologia ipersonica e guerra sottomarina.
Le armi nucleari di quarta generazione, come quelle a fusione pura, cambiano le carte in tavola. Diversamente dalle bombe tradizionali, che usano reazioni termonucleari innescate dalla fissione, queste sfruttano processi alternativi che non sono considerati dai trattati sul controllo nucleare, come il Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty. Non richiedono un innesco a fissione, ma usano laser ad alta potenza o confinamento magnetico per una fusione controllata, riducendo le scorie radioattive. Questo le rende militarmente praticabili e politicamente accettabili, con radiazioni neutronali intense e danni minimi da esplosione.
Queste armi vantano anche un’efficienza energetica superiore, concentrando più potenza sul bersaglio e risultando devastanti nonostante le dimensioni ridotte. Possono causare radiazioni neutronali con effetti minimi da esplosione, stravolgendo la guerra moderna.
La Cina punta a controllare la filiera militare per la fusione, componenti di reattori, superconduttori, armi energetiche avanzate, dando alle proprie forze armate un vantaggio asimmetrico incredibile.
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