Usa e Cina vanno verso la guerra commerciale

di Redazione ETI/Terri Wu
31 Gennaio 2025 21:09 Aggiornato: 31 Gennaio 2025 21:10

Secondo gli analisti, grazie al potere del mercato statunitense Trump utilizzerà i dazi come uno strumento per guidare la crescita economica mondiale. Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, i dazi sono tornati a essere uno strumento di negoziazione, soprattutto con la Cina. Trump aveva nel suo primo mandato usato i dazi per risolvere gli squilibri commerciali. O,ra ha intenzione di utilizzarli in modo più ampio.

Il 20 gennaio, nonappena entrato in carica, Trump ha firmato un memorandum in cui ordina alle agenzie federali di indagare sulle pratiche commerciali sleali messe in atto dai Paesi stranieri, e di proporre delle adeguate politiche commerciali. Il memorandum si concentra sulla Cina, chiedendo un maggiore rispetto dell’accordo commerciale della “fase uno” del 2020, un contrasto all’elusione dei dazi tramite Paesi terzi e il controllo dei flussi di fentanyl negli Stati Uniti.

Trump ha inoltre ordinato una valutazione sull’impatto del trasferimento forzato di tecnologie da parte della Cina sulle filiere industriali statunitensi, e una revisione dello status commerciale “privilegiato” di Pechino con gli Stati Uniti. Il giorno seguente, il Presidente ha minacciato di imporre un dazio del 10% sui prodotti cinesi già dal 1° febbraio.

William Lee, economista capo del Milken Institute crede che Trump stia utilizzando i dazi in modo diverso nel suo secondo mandato, usandoli come «strumento di politica non solo economica, ma anche di politica estera e sicurezza nazionale». Ha poi continuato dicendo che le imposte sono ora «uno strumento più grande con degli obbiettivi maggiori».

Il recente scontro diplomatico tra Stati Uniti e Colombia incarna il successo di questa strategia. Grazie alla minaccia di Trump di applicare un dazio del 25% su tutti i prodotti colombiani, la Colombia ha quasi immediatamente accettato di riprendersi i colombiani immigrati illegalmente negli Stati Uniti.

Trump ha anche avanzato l’idea di imporre un dazio del 25% sulle importazioni da Messico e Canada. Secondo Lee, questa mossa mira a bloccare il flusso di prodotti cinesi negli Stati Uniti, che spesso passano attraverso questi due Paesi.

La Cina ha goduto di decenni di crescita economica continua e, durante la pandemia, ha sfruttato il suo rigido lockdown, usandolo come simbolo di forza del proprio  sistema autoritario, mettendo in mostra la sua influenza nelle filiere industriali di tutto il mondo, dalle mascherine ai chip. Ora però, l’economia cinese è malata e sempre più dipendente dalle esportazioni. La Cina è quindi più vulnerabile alle imposte, e Trump lo sa: «Abbiamo un grande potere sulla Cina, rappresentato dai dazi. Pechino non li vuole , e io preferirei non applicarli. Ma è un potere formidabile che noi abbiamo nei confronti della Cina», ha detto il Presidente in un’intervista a Fox News il 23 gennaio.

Secondo Lee, le dichiarazioni di Trump sollecitaranno gli altri Paesi a fare delle concessioni: «Trump sta utilizzando la politica economica come leva per influenzare le loro decisioni diplomatiche».

I dazi sono stati molto meno discussi negli ultimi quattro anni: Biden aveva mantenuto tutte le imposte sulla Cina introdotte durante il primo mandato di Trump, e ne aveva introdotte di nuove lo scorso anno. Il nuovo gabinetto di Trump è molto più favorevole ai dazi rispetto al passato, specialmente il ministro del Tesoro, Scott Bessent, e il ministro del Commercio, Howard Lutnick.

IL POTERE DEI DAZI

Le entrate dovute ai dazi sono state minime, meno del 2% delle entrate fiscali del governo nell’ultimo anno fiscale, conclusosi a settembre. Ma secondo gli esperti il potere delle imposte non risiede nel generare entrate quanto nell’influenzare e determinare l’accesso delle aziende straniere al mercato. Gli Stati Uniti continuano a essere uno dei mercati più redditizi e trainanti per la crescita, in un’economia mondiale che sta invece rallentando, segnata da inflazione e conflitti geopolitici.

Il Fondo monetario internazionale, a gennaio ha previsto una crescita economica americana del 2,7% per il 2025, rispetto all’1% dell’Ue, in contrasto con le previsioni di crescita dello scorso anno, che prevedevano l’1,7% per entrambe le economie.

Secondo il professor Yeh Yao-Yuan, docente presso l’Università di St. Thomas a Houston, i dazi potrebbero spingere ulteriormente le filiere ad allontanarsi dalla Cina, riducendo l’influenza di Pechino.

Il regime cinese ha affermato che la propria economia ha raggiunto il suo obiettivo di crescita del 5% lo scorso anno, ma molti esperti economisti sono scettici a riguardo. Rhodium Group, una delle principali società di ricerca sull’economia cinese, stima un tasso di crescita effettivo compreso tra il 2,4 e il 2,8%; un tasso di crescita per la Cina dal 3 al 4,5% quest’anno sarebbe possibile solo stimolando pesantemente la domanda interna e aumentando il debito pubblico, un compito arduo per il tradizionale modello di crescita basato sull’offerta.

Trump crede fermamente nel potere dei dazi come strumento per realizzare il programma “Make America Great Again”: «Se non producete in America, dovrete pagare un dazio”, ha detto il Presidente ai leader politici e imprenditoriali al summit di Davos del 23 gennaio. Secondo Lee, Trump «riconosce, in quanto uomo d’affari, che il mercato americano è molto prezioso», e ritiene che le dichiarazioni del Presidente sui dazi doganali creino una pressione crescente sui partner commerciali, in particolare la Cina.

LA PRESSIONE SULLA CINA

Il sistema economico cinese, per come è strutturato, dipende fortemente dalle esportazioni ed è particolarmente vulnerabile ai dazi, secondo Li Shaomin, professore di Commercio internazionale presso la Old Dominion University in Virginia. Il regime di Pechino opera come un’enorme azienda, indirizzando le risorse verso settori chiave e dominando la filiera produttiva. Ma questo approccio ha portato inevitabilmente a una sovracapacità produttiva, rendendo la Cina dipendente dalle esportazioni; per cui il modello economico cinese crollerebbe se gli Stati Uniti e le altre democrazie occidentali iniziassero a sganciarsi dalla sua economia.

In quest’ottica, la massima priorità del Partito Comunista Cinese e del suo capo Xi Jinping, è quella di mantenere un dominio assoluto e duraturo del proprio potere. Per questo motivo, Xi considera la classi imprenditoriali forti e indipendenti e le figure influenti, come Jack Ma, una minaccia: perché potrebbero volere maggiore libertà da un momento all’altro. E se l’Occidente dovesse staccarsi dalla Cina, continua il professor Shaomin, a pagarne le conseguenze sarebbero soprattutto i cittadini comuni cinesi. Nei momenti di crisi, il Pcc tende ad accumulare ricchezza e potere a spese del popolo cinese, e un eventuale conflitto tra il Partito e il popolo cinese metterebbe Xi sotto forte pressione, evidenziando come Xi non possa permettersi decisioni che potrebbero mettere in discussione il dominio del regime

XI JINPING IN UN VICOLO CIECO

Trump punta all’indipendenza della filiera produttiva, riducendo le importazioni di beni essenziali dalla Cina. Vuole inoltre che Pechino rispetti gli impegni presi nell’accordo commerciale della “fase uno”, limitando il flusso di precursori del fentanyl negli Stati Uniti tramite Messico e Canada. La Cina mira ad appropriarsi dell’alta tecnologia americana.

Gli esperti concordano sul fatto che né Washington né Pechino siano disposte a cedere, visti i precedenti di limitata cooperazione della Cina sull’acquisto di prodotti americani e sul contenere i flussi di fentanyl, nonché la costante escalation da parte degli Stati Uniti dei controlli sulle esportazioni legate alla tecnologia.
Pertanto, si ritiene improbabile un accordo commerciale tra i due Paesi. Trump potrebbe imporre quindi dazi del 10% sulle importazioni cinesi, per far capire a Xi che non scherza.

La società di consulenza Capital Economics informa i propri clienti che, nonostante Trump non abbia imposto nuovi dazi il primo giorno del suo mandato, c’è da aspettarsi che arrivino nel secondo trimestre dell’anno. E considerando gli effetti dei dazi del primo mandato di Trump, è improbabile che un’imposta universale del 10% sulle importazioni di Pechino causi difficoltà rilevanti per gli americani.

Xi, d’altra parte, ha alimentato un forte nazionalismo e veicolato uno smaccato antiamericanismo attraverso la propaganda e il sistema educativo cinese, rendendosi ormai praticamente impossibile ogni concessione a Trump. Che, a sua volta, è altamente improbabile che faccia marcia indietro. A questo punto, non è difficile immaginare come andrà a finire.

 

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