L’Unione Europea ha dichiarato il 9 aprile che non farà alcuna concessione sulle normative digitali e tecnologiche durante eventuali negoziati commerciali.
La dichiarazione arriva come una risposta secca alle provocazioni di Peter Navarro, consigliere del presidente Donald Trump per il commercio. In un editoriale sul Financial Times del 7 aprile, Navarro ha puntato il dito contro l’Ue, accusandola di scatenare una «guerra legale» contro i giganti tecnologici americani. Per lui, il sistema commerciale internazionale è «rovinato» e va riformato. «Tra gli strumenti utilizzati vi sono manipolazioni valutarie, distorsioni fiscali, dumping, sussidi alle esportazioni, furti di proprietà intellettuale, standard discriminatori, quote, divieti, licenze opache, procedure doganali complesse, obblighi di localizzazione dei dati e, sempre più, tattiche legali come quelle dell’Ue per colpire le big tech Usa», ha dichiarato Navarro.
Rispondendo alle sue accuse, Olof Gill, portavoce della Commissione europea, ha precisato l’8 aprile: «La nostra regolamentazione digitale e tecnologica riguarda questioni separate. Non mescoleremo questi aspetti nei nostri negoziati con gli Stati Uniti».
Il botta e risposta si inserisce in un clima teso. L’Ue, con i suoi 27 Paesi, si trova a fare i conti con i dazi di Trump: 25% su acciaio, alluminio e auto, più un nuovo 20% su quasi tutto il resto. Una mossa, quella del presidente, per punire chi i Paesi che pongono barriere eccessive alle importazioni americane. L’Europa aveva provato a giocare la carta dell’azzeramento dei dazi per auto e prodotti industriali, ma Trump ha detto no. E non è un mistero che sull’agenda ci sia anche uno scontro sulle regole per le grandi aziende tecnologiche
A Bruxelles, intanto, si va avanti con il Digital Services Act (Dsa) e il Digital Markets Act (Dma), un pacchetto di norme valido in tutta l’Ue: il primo frena i colossi che dominano il web, il secondo obbliga i social a eliminare contenuti illegali, valutare rischi, fermare attività dannose e arginare la disinformazione. Sempre l’8 aprile, Teresa Ribera, responsabile antitrust dell’Ue, ha detto al Parlamento Europeo che Apple e Meta sapranno presto se hanno violato il Dma. Le indagini sono in dirittura d’arrivo, e le multe potrebbero essere salate: fino al 10% del fatturato annuo internazionale per la prima infrazione, addirittura il 20% se ci ricascano. Meta non l’ha presa bene. «Qui non si parla solo di multe», ha ribattuto un portavoce. «La Commissione vuole ostacolare le aziende americane di successo solo perché sono americane, mentre chiude un occhio su concorrenti cinesi ed europei».
A complicare le cose c’è il sistema dell’Ue, centralizzato e rigido, come sottolinea Christine Anderson, europarlamentare tedesca di Alternative für Deutschland. Per lei, il Digital Services Act è intoccabile dai singoli Stati. In un’intervista a The Epoch Times, aveva già chiarito che il Parlamento Europeo non propone leggi, le approva e basta. In sostanza è la Commissione Europea, che decide cosa si fa e cosa no.
«Noi parlamentari ci limitiamo a votare risoluzioni», ha spiegato Anderson. Risoluzioni che, però, non vincolano nessuno: «È come scrivere una letterina di richieste alla Commissione, tipo ‘sarebbe carino se faceste così’. Ma loro non devono ascoltarci. Il vero potere ce l’hanno loro, sono il governo dell’Ue». E, a quanto pare, non intendono cedere di un millimetro.