Trump toglie il segreto di Stato sull’assassinio Robert Kennedy

di Redazione ETI/Chase Smith
19 Aprile 2025 15:50 Aggiornato: 19 Aprile 2025 17:21

A quasi sessant’anni da quella notte all’Ambassador Hotel di Los Angeles, l’assassinio di Robert Kennedy, fratello di John e padre dell’attuale ministro della Sanità americano, continua a essere una ferita aperta nella storia americana.

Oggi, grazie alla decisione del presidente Donald Trump di rendere pubblici sul sito degli archivi nazionali oltre 10 mila documenti finora secretati, la vicenda torna la centro dell’attenzione, gettando nuova luce su un caso che ha segnato un’epoca e che solleva interrogativi profondi sul rapporto tra governo e cittadini, sulla trasparenza delle istituzioni e sul peso delle verità nascoste.

Per decenni, i documenti relativi alla tragica morte di Robert Kennedy, avvenuta il 5 giugno 1968, sono rimasti sigillati in archivi federali, inaccessibili al pubblico. A differenza dei materiali sull’assassinio del presidente John Kennedy, regolati da una legge del 1992 che ne imponeva la divulgazione, quelli riguardanti Robert non erano mai stati digitalizzati né elaborati per la consultazione. Questo silenzio, protrattosi per quasi sessant’anni, ha alimentato teorie alternative, sospetti e una diffusa sfiducia verso le istituzioni.

La decisione di Trump di rendere pubblici questi fascicoli e restituirli alla collettività, coordinata dal direttore dell’Intelligence Nazionale, Tulsi Gabbard, appare quindi non solo come un atto di coraggio politico, ma come un segnale di rottura con un passato di opacità. Tulsi Gabbard, nel presentare l’iniziativa, ha sottolineato l’importanza di «fare luce sulla verità», un’espressione che risuona con forza in un contesto storico in cui la fiducia degli americani verso il governo è spesso messa alla prova.

I documenti, frutto di un lavoro congiunto tra l’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale, gli archivi nazionali e altre agenzie federali, contengono informazioni inedite: discussioni internazionali, messaggi circolati all’epoca e dettagli che, secondo la Gabbard, potrebbero mettere in discussione la versione ufficiale dei fatti. Sebbene non emerga una prova definitiva, l’apertura di questi archivi invita a riconsiderare un caso che, fin dal principio, ha suscitato perplessità. «A quasi sessant’anni dall’assassinio del senatore Robert F. Kennedy, gli americani potranno finalmente esaminare l’indagine condotta dal governo federale», ha dichiarato la Gabbard, sottolineando l’impegno personale del presidente Trump nel voler fare chiarezza su quella tragedia.

La cronaca, ormai nota, racconta che Robert Kennedy, già ministro della Giustizia durante la presidenza del fratello John e poi senatore di New York, si era candidato alla Casa Bianca nel 1968. La notte del 5 giugno, dopo aver celebrato una vittoria elettorale in California, veniva raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco esplosi da Sirhan Sirhan, un immigrato palestinese. Kennedy morirà il giorno seguente. Sirhan ammetterà l’omicidio durante il processo del 1969, salvo poi dichiarare di non ricordare nulla. In un’intervista del 1989, ha detto di essersi sentito tradito dal sostegno di Kennedy a Israele. Ma gli interrogativi hanno continuato ad aleggiare sulla dinamica di quell’agguato: l’autopsia aveva rivelato che i colpi mortali erano partiti da distanza ravvicinata alle spalle, mentre il presunto attentatore si trovava di fronte alla vittima.

Tra le persone che da anni contestano la versione ufficiale c’è Robert F. Kennedy Jr., che in una nota congiunta con Tulsi Gabbard, ha ringraziato il «coraggio» di Trump e la «tenacia» della Gabbard, sottolineando l’importanza di questo passo per ricostruire un rapporto di fiducia con le istituzioni. Nel 2017, Kennedy Jr. ha dichiarato di ritenere Sirhan estraneo all’omicidio chiedendo di riaprire le indagini. Più recentemente, nel 2021, ha sostenuto persino la scarcerazione del detenuto, concessa inizialmente e poi revocata dal governatore della California Gavin Newsom.

L’apertura degli archivi, quindi, non è solo un gesto amministrativo ma un invito a riflettere sul valore della verità, per quanto scomoda o complessa, come fondamento della democrazia. L’annuncio che altre 50 mila pagine, rinvenute nei magazzini dell’Fbi e della Cia, saranno presto rese pubbliche rafforza questa convinzione. La storia americana, segnata da traumi come gli assassini dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King Jr., ha bisogno di trasparenza per sanare ferite mai del tutto rimarginate.

In un’epoca in cui viene a mancare la fiducia verso le istituzioni, iniziative come questa dimostrano che il dialogo tra governo e popolo è ancora possibile. Resta ora da vedere se le nuove rivelazioni porteranno a una revisione della storia o, almeno, a un dibattito più aperto e onesto. Per Robert Kennedy, per la sua famiglia e per tutti coloro che credono nella giustizia, questo è un inizio.

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