Il presidente degli Stati Uniti torna a chiarire che l’intento commerciale dei suoi dazi è controbilanciare i dazi subiti dalle esportazioni statunitensi: «quello che altri Paesi addebitano agli Stati Uniti d’America, noi l’addebiteremo a loro. Né più né meno».
«Per molti anni, gli Stati Uniti sono stati trattati ingiustamente da altri Paesi, sia amici che nemici. Questo sistema riporterà immediatamente equità e prosperità in un sistema commerciale precedentemente complesso e ingiusto», ha poi spiegato Trump parlando dall’Ufficio Ovale. Il 10 febbraio Trump ha aumentato i dazi su tutto l’acciaio e l’alluminio al 25 percento e ha imposto un ulteriore dazio del 10 percento sulle importazioni cinesi all’inizio di febbraio.
Trump ha sottolineato la disuguaglianza nelle barriere commerciali tra gli Stati Uniti e le altre nazioni. Gli Stati Uniti hanno generalmente dazi bassi e scarse barriere all’ingresso, ha spiegato Trump: «Se andate a vedere quanto ci sta facendo pagare ogni Paese, nella maggior parte dei casi è molto di più di quanto noi facciamo pagare a esso» ma ora basta, dice Trump.
Al momento di quantificare l’introduzione di ogni dazio doganale reciproco (probabilmente a partire dal prossimo aprile), l’Amministrazione esaminerà le diverse barriere commerciali, dazi e non, imposte alle merci americane da ogni Paese: politiche sui tassi di cambio, normative, tasse e altre pratiche che il rappresentante del commercio degli Stati Uniti riterrà ingiuste.
I membri del governo responsabili dell’implementazione dei dazi comprenderanno il ministro del commercio Howard Lutnick, quello del Tesoro Scott Bessent e degli Interni Kristi Noem. Saranno coinvolti anche i principali consiglieri economici di Trump: Peter Navarro e Kevin Hassett.
Russ Vought, direttore dell’Ufficio del Bilancio, valuterà l’impatto fiscale di queste imposte entro 180 giorni. L’amministrazione si aspetta una valutazione positiva, poiché prevede che questi dazi genereranno maggiori entrate fiscali per il governo federale: «Per ogni Paese verrà impostata una correzione delle pratiche commerciali sleali che sta attuando».
L’IVA DELL’UNIONE EUROPEA
Peter Navarro, il primo consigliere per il commercio del presidente, ha spiegato il motivo per cui l’azione esecutiva è necessaria: «perché le principali nazioni esportatrici del mondo attaccano i nostri mercati con dazi penalizzanti e altre barriere ancora più penalizzanti». Sotto i riflettori è in questo momento l’imposta sul valore aggiunto dell’Unione Europea, che la Casa Bianca descrive come «emblematica» di queste barriere commerciali.
L’Iva europea è un’imposta sui consumi applicata a praticamente tutti i beni e servizi, nazionali o importati, acquistati e venduti. Ed è diversa dall’imposta sulle vendite che si paga in America, poiché l’Iva europea viene riscossa in ogni fase di produzione e distribuzione, mentre l’imposta sulle vendite viene addebitata solo al consumatore finale quando compra in negozio. L’aliquota Iva media nell’Ue è del 21,8 percento.
I funzionari della Casa Bianca affermano che l’Iva dell’Ue ha l’effetto complessivo di quasi triplicare il valore dei dazi sulle importazioni provenienti dagli Usa, e la chiamano «doppia sberla» perché tra l’altro, spiegano, l’Ue sovvenziona le proprie esportazioni, per cui «non c’è da stupirsi che i tedeschi ci vendano otto volte più auto di quante noi ne vendiamo a loro». Inoltre, l’Ue mette sulle importazioni di auto statunitensi un dazio del 10 percento, mentre il dazio americano sulle auto europee è del 2,5 percento.
Ma secondo un’analisi degli economisti della Tax Foundation pubblicata il 12 febbraio, l’effetto complessivo di questo sistema di tasse e dazi sarebbe neutrale: «una tassa adeguata al confine, porta a un apprezzamento della valuta per il Paese imponente, il che rende più economico importare beni e più costoso esportare beni. E quindi annulla gli apparenti benefici della tassa sulle importazioni e dello sconto sulle esportazioni».
È però corretto sottolineare come l’economia non sia una scienza esatta, tutt’altro: la componente politica e quella emotiva hanno spesso un peso determinante nell’effetto complessivo di determinati provvedimenti. E questo è specialmente vero quando si analizzano le dinamiche dei prezzi: la critica fondamentale che il pensiero “liberista” muove al concetto stesso di dazio, è infatti quella di creare delle inefficienze nel sistema economico. Inefficienze che, fra i vari effetti, causano anche un aumento dei costi di produzione per le aziende e dei prezzi al consumo per le famiglie (qui il “liberismo” non tiene però conto del beneficio portato da un dazio che permette a un’azienda nazionale di restare competitiva, di non chiudere e di continuare a pagare stipendi e produrre valore).
Insomma: i dazi farebbero salire l’inflazione. Ma nessun economista è veramente in grado di dire quale sia il tasso di inflazione ottimale per una determinata economia, in un determinato momento storico; il consenso generale (e generico) è solo sul fatto che l’inflazione debba essere “né troppo alta né troppo bassa”.
Senza dubbio, un dazio rende una certa merce più costosa. Ma le vere politiche inflattive, alla prova dei fatti devastanti, sono ad esempio quelle che fanno aumentare a dismisura i costi dell’energia; oppure le politiche monetarie eccessivamente espansive, cioè “stampare denaro” per miliardi e miliardi in eccesso rispetto al valore dei beni e i servizi realmente scambiabili sul mercato. E queste due politiche non sono state messe in atto dall’Amministrazione Trump. Ma da quella precedente.