Nel corso dei secoli, gli elementi alla base di una buona istruzione non variano. La natura umana non cambia e il processo attraverso il quale un insegnante riesce a far fiorire l’animo umano resta, per molti versi, intatto. E a ben guardare, per quanto riguarda lo studio dei classici e il metodo tradizionale di apprendimento delle discipline umanistiche, gli studiosi dei secoli passati avevano probabilmente una conoscenza e un metodo migliori di quelli di molti insegnanti e formatori di oggi.
Tommaso Moro, o Sir Thomas More, statista, umanista e politico inglese vissuto tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, fu uno di questi studiosi. E dopo 500 anni, possiamo ancora avvalerci della sua saggezza.
Moro ricevette un’eccellente istruzione presso la St. Anthony’s di Threadneedle Street e come paggio nella casa dell’arcivescovo John Morton, a quel tempo cancelliere d’Inghilterra, che divenne suo mecenate, e lo fece studiare a Oxford, dove il giovane studioso approfondì la conoscenza di materie come il latino e la logica. In seguito studiò Legge e, nel 1501, divenne avvocato praticante.
Oltre al lavoro nella carriera legale e politica, Moro si guadagnò la stima di studioso ricco di talento. Attinse profondamente dalle fonti della letteratura classica, delle Sacre Scritture e dei primi scrittori cristiani. Contribuì anche alla tradizione letteraria del suo tempo, scrivendo propri trattati teologici, storici e politici, il più famoso dei quali è Utopia, una descrizione semi-satirica di una repubblica ideale. Scrisse anche poesie in latino e in inglese.
Moro, insieme a numerosi amici eruditi partecipò al movimento umanistico cristiano, una corrente di pensiero che cercò di integrare i rapidi sviluppi intellettuali dell’epoca – come il rinnovato interesse per il mondo classico, la rinascita artistica e il progresso scientifico – all’interno della fede cristiana.
Intorno al 1504 Tommaso Moro sposò Jane Colt dalla quale ebbe quattro figli e che morì nel 1511; poco tempo dopo prese una seconda moglie, la vedova Alice Middleton, che aveva già una figlia. I due accolsero in casa in qualità di tutori altri due ragazzi.
Nel 1529, grazie alla sua erudizione, al carattere amichevole, ai suoi servizi diplomatici e all’eccellente lavoro come avvocato e giudice, Tommaso Moro salì alla prestigiosa posizione di Lord Cancelliere, una carica molto vicina al re stesso, in quegli anni Enrico VIII. Purtroppo, il re e il cancelliere si scontrarono in seguito alla decisione di Enrico di divorziare dalla moglie Caterina d’Aragona e di istituire una Chiesa inglese indipendente da Roma e dal papato. Quando Enrico VIII si autoproclamò capo della Chiesa d’Inghilterra, Moro si dimise dall’incarico, rifiutandosi di prestare un giuramento col quale avrebbe dovuto negare l’autorità del papa e accettare il divorzio di Enrico. Per questo, nel 1535, venne imprigionato e infine giustiziato. Nel 1935 è stato canonizzato da papa Pio XI.

Tre punti dell’istruzione di Moro.
1. Il fine ultimo dell’istruzione è educare alla virtù
Intorno al 1518, Moro scrisse una lettera al precettore dei propri figli, William Gunnell, in cui ribadiva il medesimo principio: il fine dell’istruzione non è quello di ottenere il consenso degli altri, ma di promuovere la saggezza e la virtù. Insisteva sul fatto che «la vanagloria è una cosa spregevole e da disprezzare» e sottolineava come una buona istruzione migliorasse il carattere di uno studente più della ricchezza, del potere o dell’ammirazione.
L’apprendimento da solo, separato dalla virtù, è pericoloso. Moro scriveva: «Benché preferisca l’apprendimento unito alla virtù a tutti i tesori dei re, tuttavia la fama derivante dall’apprendimento, quando non è unita a una buona vita, non è altro che una splendida e nota infamia».
Sosteneva inoltre che l’istruzione dovrebbe portare naturalmente alla virtù. Elencava i frutti propri dell’apprendimento: integrità della propria condotta, capacità di affrontare la morte senza paura, ottenere gioia e forza di carattere per evitare di essere esaltati dalle lodi o depressi dalle critiche. Sperava che i propri figli, grazie all’istruzione di Gunnel, arrivassero «a mettere la virtù al primo posto, l’apprendimento al secondo; e che nei loro studi stimassero maggiormente tutto quello che poteva insegnare loro la devozione a Dio, la carità verso tutti, e la modestia e l’umiltà cristiana in se stessi».
Moro spiegava che lo scopo ultimo dell’essere istruiti non era il denaro, le lodi o l’intelligenza fine a se stessa, ma piuttosto l’acquisizione dei mezzi per vivere bene.
2. Una buona istruzione per tutti
Rispetto alla sua epoca, le idee di Thomas More sull’istruzione erano insolite. Insisteva sulla necessità di far seguire alle figlie gli stessi studi rigorosi del figlio, in un tempo in cui molti non credevano che le donne avessero bisogno di insegnamenti umanistici. Contrastando l’opinione prevalente, Moro scrisse a Gunnell: «Né credo che il raccolto [di una vera istruzione] sarà molto influenzato dal fatto che sia un uomo o una donna a seminare il campo. Entrambi hanno la medesima natura umana, che si distingue da quella delle bestie grazie alla ragione; entrambi, quindi, sono ugualmente adatti a quegli studi con i quali si coltiva la ragione».
Il principio enunciato da Moro è che tutti possiedono la medesima natura umana: al di là dei diversi temperamenti e delle abilità naturali di ogni individuo, tutti hanno la capacità di trarre profitto da una buona e nobilitante istruzione.
Sosteneva quindi che una buona istruzione sarebbe stata per le figlie un tesoro maggiore della bellezza o della ricchezza: «se una donna… alla esemplare virtù aggiungerà un’opera anche moderata di abilità letteraria, credo che ne avrà un beneficio reale, che non riuscirebbe a ottenere neanche con le ricchezze di Creso e la bellezza di Elena».
La convinzione di questo umanista si fondava sull’idea che non fossero la gloria e le lodi l’aspettativa del sapere, ma che la saggezza fosse il bene duraturo a cui gli uomini o le donne potevano attingere senza limiti o scadenze, a differenza della bellezza o della ricchezza.
3. Rispettare la saggezza del passato
Moro voleva che Gunnell formasse i propri figli all’amore per la virtù e all’odio per il vizio e credeva che lo studio degli autori classici fosse un aiuto prezioso per raggiungere questo obiettivo. Scriveva: «A questo scopo, niente sarà più utile che leggere loro le lezioni degli antichi Padri, che, come sanno, non possono arrabbiarsi con loro; e, poiché li onorano per la loro santità, devono essere molto commossi dalla loro autorità».
Per Tommaso Moro, il rispetto e l’amore per la saggezza degli antenati erano considerati parte integrante dell’istruzione. Oggi non è più così, purtroppo.
I consigli di Tommaso Moro andrebbero presi in seria considerazione: i suoi figli sono diventati adulti intelligenti, saggi e virtuosi, con delle buone vite. Attraverso il modo sapiente di trasmettere gli insegnamenti, auspicava che «la pace e la calma avrebbero albergato nei loro cuori e non sarebbero stati disturbati né dalle lusinghe, né dalla stupidità di quegli analfabeti che disprezzano l’apprendimento».
Sembra che il desiderio di Moro per i propri figli si sia realizzato, forse potrebbe essere un buon esempio per gli educatori di oggi.