Scattano i dazi contro la Cina

di Emiliano Serra
12 Marzo 2025 7:41 Aggiornato: 12 Marzo 2025 8:53

Oggi, 12 marzo 2025, scattano i dazi decisi dal presidente Trump su acciaio e alluminio. I dazi mirano a colpire la sovrapproduzione di metalli a basso costo di Pechino, che da anni danneggia le economie di tutto il mondo, non solo quella degli Stati Uniti.

Il 10 febbraio Trump aveva reintrodotto un dazio del 25% sull’acciaio e alzato quello sull’alluminio dal 10% al 25%. L’11 marzo la Casa Bianca ha dichiarato che i dazi si applicano a tutti, ma è evidente come il primo nemico delle economie occidentali sia il regime comunista cinese.

Da decenni il regime comunista inonda i mercati con esportazioni sovvenzionate dal settore pubblico, agendo in modo sleale verso i produttori del resto del mondo.

Nel 2024 la Cina è il maggior produttore mondiale di acciaio: ha prodotto quasi un miliardo di tonnellate, pari a 10 volte la domanda annua americana, secondo l’Istituto americano del ferro e dell’acciaio (Aisi). In 20 anni la sua quota di produzione a livello mondiale è salita dal 23% al 53%, causando un crollo dei prezzi. La Cina domina anche l’alluminio: è passata dall’8% al 58% della produzione mondiale in vent’anni, sempre grazie a sussidi pubblici e lavoro sottopagato (e a volte schiavista).

Questa, oltre a essere una politica disumana per i lavoratori, è anche una nota condotta sleale chiamata dumping, che consiste nel vendere sotto il prezzo di mercato (e spesso sottocosto) per distruggere la concorrenza, e poi rimanere l’unico a vendere un determinato prodotto. Una dinamica divenuta ormai evidente nel mercato delle auto elettriche o dei pannelli fotovoltaici.

La Cina si è più volte impegnata a tagliare la propria produzione, ma non lo ha mai fatto. Nel 2024 ha esportato 111 milioni di tonnellate di acciaio, il 22% in più dell’anno prima. Con la Nuova via della seta, poi, il Partito comunista cinese ha finanziato infrastrutture all’estero, specie in Indonesia, distorcendo ulteriormente i mercati.

CONSENSO BIPARTISAN

Sia Trump che Biden hanno accusato la Cina di dumping nel mercato dell’acciaio. Entrambi i presidenti hanno usato i dazi ai sensi della legge americana che consente restrizioni commerciali per motivi di sicurezza nazionale.

Nel 2018 Trump aveva imposto il 25% sull’acciaio e il 10% sull’alluminio. Ma successivamente, Trump stesso aveva concesso delle esenzioni a Messico e Canada,  e Biden aveva introdotto quote e eccezioni. Ma questa volta Trump ha deciso di usare il pugno duro.

Grazie ai dazi esistenti, l’acciaio tecnicamente importato dalla Cina è meno del 2% delle importazioni Usa. Ma il Pcc aggira la restrizione facendo triangolazioni con altre nazioni, come il Vietnam e altri Paesi del Sud del mondo, America Latina inclusa.

LE CONSEGUENZE

La raffica di dazi imposti da Donald Trump ha scatenato molte critiche e altrettanta approvazione. Per gli economisti in generale, i dazi sono sempre “un male”, perché causano aumenti dei prezzi (cioè dell’inflazione) e inefficienze nel sistema produttivo.

D’altra parte, i dazi sono senz’altro uno strumento efficace di difesa e protezione della propria economia, perché rappresentano una barriera d’entrata alla concorrenza sleale.

Come sempre in economia, quello che conta è l’effetto complessivo, nel medio e nel lungo periodo, ovvero la somma algebrica dei costi e dei benefici di una determinata strategia economica. Se i dazi servono a difendere, magari temporaneamente, un settore economico (o un’intero sistema economico) più debole, non nell’ottica del miope protezionismo ma del permettere alle proprie industrie più deboli di crescere o di rimettersi in sesto dopo i danni subiti dalla concorrenza (sleale) estera, a quel punto sono misure utili a rafforzare il sistema economico e a riequilibrare la bilancia commerciale. Quale sarà l’effetto dei dazi di Trump, per ora, non è dato saperlo. Lo dirà il tempo.

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