Sacra Sindone, nuovi interrogativi

di Nicole James
28 Febbraio 2025 14:58 Aggiornato: 28 Febbraio 2025 14:58

La Sindone di Torino è tornata a far parlare di sé, animando i social media e scatenando un nuovo dibattito sulla sua autenticità.

Su questo pezzo di lino, a lungo venerato come il telo funerario di Gesù Cristo, è visibile una misteriosa immagine “fotografica” di un uomo che sembra aver subito le ferite della crocifissione. Per secoli, è stato oggetto di attenti esami, di fede e di controversie.

Perché oggi la Sindone torna ancora ad attirare l’attenzione? Sono due le ragioni principali.

In primo luogo è entrata in scena anche l’intelligenza artificiale, che ha creato un’immagine dell’uomo la cui impronta è impressa sul telo. Che si tratti del vero volto di Gesù o di un’altra vittima della crocifissione di quel tempo, il risultato rende realisticamente l’idea di un uomo che cammina, sorride e si acciglia, riportando in modo sorprendente nel presente un antico enigma.

In secondo luogo, la Sindone, che sottoposta nel 1988 alla prova del carbonio 14 venne fatta risalire al periodo medievale – tra il 1260 e il 1390 – ora subisce una sorta di resurrezione, perché dalle nuove ricerche emerge che non era la Sindone a essere falsa, ma la datazione al carbonio.

I risultati, al tempo dichiarati definitivi, ora vengono messi in discussione da analisi scientifiche all’avanguardia, portando molti a chiedersi perché l’origine questo grande telo sia stata così frettolosamente archiviata.

Il primo atto della Sindone

La documentazione storica della Sindone ha inizio intorno al 1354, quando il cavaliere Goffredo di Charny ne fece dono alla chiesa del villaggio francese di Lirey, sostenendo che fosse il lenzuolo di lino che avvolgeva il corpo di Cristo, ma non dicendo come ne fosse venuto in possesso, e la prima ostensione  avvenne nel 1355 o 57.

In un’epoca in cui il commercio di reliquie in Europa era in piena espansione – apparvero schegge della Vera Croce, frammenti del Santo Graal e persino dubbie reliquie del prepuzio di Cristo – la Sindone fu accolta con fervente devozione. I pellegrini accorrevano per vederla, desiderosi di una prova tangibile del divino.

Ma il fatto non passò sotto silenzio: nel 1390, il vescovo Pietro d’Arcis dichiarò che fosse falsa, sostenendo che un artista aveva confessato di averla dipinta. Tuttavia, non esiste un documento ufficiale che attesti la confessione dell’autore e il d’Arcis non ne rivelò il nome. Le notizie sulla confessione erano piuttosto controverse, in quanto il vescovo disse che gli era stata riferita dal suo predecessore, il vescovo Henri de Poitiers, il quale avrebbe indagato a sua volta sulla sindone intorno al 1355.

Papa Clemente VII, in bilico tra scetticismo ecclesiastico e pietà popolare, con un compromesso autorizzò l’ostensione della Sindone, con l’avvertenza di venerarla come immagine devozionale e non come reliquia riconosciuta autentica.

La controversia avrebbe potuto finire lì, eppure la Sindone è rimasta nel tempo, con intatta la sua aura di mistero, passando da curiosità a icona.

La datazione al carbonio fallisce

Arriviamo al 1988, quando la scienza moderna cerca di risolvere la questione con la fredda precisione della datazione al carbonio-14: tre laboratori eseguono dei test che collocano con sicurezza le origini della Sindone tra il 1260 e il 1390, confermando apparentemente la sua origine medievale. Il caso era chiuso, o almeno così sembrava.

Ma entra in scena l’ingegnere nucleare americano Robert Rucker, uomo particolarmente attento alle inesattezze metodologiche. La sua analisi scientifica del rapporto del 1988, descritta in The Carbon Dating Problem for the Shroud of Turin (La questione della datazione del carbonio della Sindone di Torino), ha messo in luce evidenti incongruenze ed errori procedurali.

Ma, quel che è peggio, i dati originali non elaborati sono stati tenuti nascosti per quasi trent’anni, per poi essere rivelati a malincuore sotto pressione.

Il giornalista australiano William West, nel suo successivo libro La Sindone risorge, la datazione al carbonio viene seppellita, ha contribuito alla demolizione di questa teoria, definendo il risultato della datazione come un’impresa affrettata e profondamente difettosa: quella che un tempo era presentata come prova inconfutabile, ora sembrava sempre più un errore scientifico.

Secondo West, nella Sindone sono rilevabili al microscopio prove che la collegano direttamente a Gerusalemme, in particolare alla primavera, la stagione in cui Gesù fu crocifisso. Tracce di polline, polvere e terra uniche di quella regione indicano che il telo si trovasse nell’antica città. Anche le prove scientifiche sono eloquenti: l’analisi chimica del sangue è coerente con un grave trauma, i segni rivelatori della flagellazione, della crocifissione e dell’agonia riportati nei Vangeli.

Da ulteriori dati risulta che la Sindone ha trascorso secoli nell’Europa orientale prima di venire  trasferita in  Occidente, un percorso corroborato da prove fisiche e storiche.

Un risveglio scientifico

L’avanzare della tecnologia offre nuovi spunti di riflessione. L’esame tramite WAXS, Diffusione a raggi X ad ampio raggio, condotto dal cristallografo italiano Liberato de Caro, ha prodotto risultati che mettono in discussione l’ipotesi della falsificazione medievale. L’analisi del suo gruppo di ricercatori ha datato la Sindone a circa 2.000 anni fa, allineandosi perfettamente con la cronologia del Vangelo.

Nel frattempo, il professor Giulio Fanti dell’Università di Padova ha utilizzato tecniche avanzate di datazione meccanica e chimica, giungendo a una conclusione simile: il lino ha probabilmente avuto origine intorno al 33 a.C., con un margine di errore di 250 anni. Questi risultati, pur non essendo una prova definitiva, minano fortemente l’idea che la Sindone sia un’invenzione medievale.

Ma è l’immagine stessa a rimanere il mistero più grande.

A differenza di qualsiasi dipinto medievale conosciuto, non è formata da pigmenti, inchiostro o coloranti, (che normalmente impregnano la tela) ma è presente solo sulla superficie delle fibre.

Una delle teorie più suggestive ipotizza che l’immagine sia stata impressa da un’esplosione di radiazioni ultraviolette, evento di una potenza tale da superare le tecnologie conosciute in qualsiasi periodo prima dell’era moderna.

Paolo Di Lazzaro, capo della ricerca dell’Agenzia nazionale per la ricerca energetica, e il suo team hanno testato questa ipotesi utilizzando laser a eccimeri ad alta energia.

Sono riusciti a riprodurre alcune caratteristiche peculiari della Sindone, ma solo in condizioni che fanno pensare a un’esplosione di energia straordinariamente potente e breve.

Le implicazioni sono sconcertanti: un evento del genere o è al di là della tecnologia umana del passato o forse si tratta di qualcosa di completamente diverso.

La fede al di là della prova

Ma i cristiani hanno bisogno della Sindone per credere? La fede, dopo tutto, non si basa su artefatti ma sulla fiducia nel divino. Il cristianesimo non si è mai basato su prove fisiche, ma sulla convinzione, quella che non richiede prove ma accetta la verità per effetto della Grazia. La Sindone può essere una reliquia straordinaria, che continua a lasciare perplessi e a ispirare ma, in definitiva, il cristianesimo non ha bisogno di un pezzo di stoffa per convalidare la Risurrezione. Il messaggio di Cristo resiste a prescindere, perché la fede non consiste nel vedere. Si tratta di credere.

 

 

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