Regime cinese campione di persecuzione nel mondo

18 Febbraio 2025 16:33 Aggiornato: 18 Febbraio 2025 18:36

Il regime comunista cinese si è confermato tra i principali responsabili della repressione in tutto il mondo anche nel 2024, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’organizzazione statunitense per i diritti umani Freedom House. L’organizzazione no profit con sede a Washington ha registrato, nel 2024, 160 episodi di repressione transnazionale fisica perpetrati da 23 governi e regimi in 34 Paesi, secondo un comunicato del 6 febbraio. Tra i metodi utilizzati dalle autorità figurano assassini, rapimenti, aggressioni, detenzioni e deportazioni illegali.

Secondo Freedom House, il regime cinese è stato uno dei principali responsabili, insieme a Uganda, Cambogia, Russia e Iran. Le repressioni transnazionali hanno preso di mira attivisti politici in esilio, giornalisti, ex funzionari del regime e membri di minoranze etniche o religiose.

Il rapporto ha documentato 1.219 episodi di repressione transnazionale diretta e fisica tra il 2014 e il 2024. Il regime cinese «resta il più prolifico con 272 episodi, pari al 22% dei casi registrati nell’ultimo decennio», affermano i ricercatori di Freedom House.

«La repressione transnazionale continua a minacciare la democrazia, la libertà e la sicurezza a livello globale» ha dichiarato in un comunicato Yana Gorokhovskaia di Freedom House.

IL CASO TAIWAN

Lai Rongwei, presidente della Taiwan Inspirational Association, un’organizzazione no profit per la democrazia, ha dichiarato che il rapporto di Freedom House è «molto realistico e credibile» e «poiché Taiwan è in prima linea di fronte alle minacce della Cina, i vari metodi di infiltrazione di Pechino sono attualmente in atto e stanno diventando sempre più gravi». Dopo la violenta repressione del movimento filodemocratico di Hong Kong e delle proteste contro la legge sull’estradizione tra il 2019 e il 2020, molti abitanti di Hong Kong sono fuggiti a Taiwan per sottrarsi alla sorveglianza e alla persecuzione del Partito Comunista Cinese.

«Durante eventi organizzati da associazioni di Hong Kong a Taiwan e commemorazioni del massacro di piazza Tiananmen del 4 giugno, si possono vedere molti gruppi sostenuti dal Pcc arrivare per creare disordini». La repressione transnazionale del Pcc prevede metodi sia formali che informali: «I metodi formali utilizzano mezzi diplomatici ed economici, come sanzioni commerciali, sanzioni economiche e aiuti finanziari, per costringere i governi di altri Paesi ad allinearsi alla posizione della Cina».

Il regime cinese utilizza anche mezzi informali: strumenti tecnologici per colpire i dissidenti all’estero, come il monitoraggio delle loro attività online e l’hackeraggio dei loro telefoni. Inoltre, invia agenti per rintracciare quelli che considera suoi nemici fuori dai confini, ma «usa anche agenti locali all’interno di organizzazioni filocinesi nei vari Paesi, compresi spie e informatori. Questi agenti possono essere anche semplici cittadini  corrotti dal Pcc», persone che «aiutano il Pcc ad aumentare la sua influenza a livello locale. Partecipano a eventi e manifestazioni per molestare e contrastare chiunque ritengano ostile alla Cina. Molti individui, dai politici ai semplici cittadini, sono stati oggetto di queste intimidazioni».

Nel 2022 è emerso che il Pcc ha istituito stazioni di polizia segrete in Occidente, alcune a New York, per attuare repressioni transnazionali contro dissidenti, attivisti per i diritti umani e minoranze religiose.

Sono stati inoltre segnalati episodi in cui agenti del Pcc hanno inviato minacce, inclusi allarmi bomba, a teatri di tutto il mondo, nel tentativo di dissuaderli dall’ospitare gli spettacoli della compagnia Shen Yun Performing Arts.

L’ESPANSIONE DELLA REPRESSIONE TRANSNAZIONALE

«Per attuare la repressione su larga scala, la Cina impiega ogni mezzo possibile, compresi i servizi di sicurezza e intelligence, per colpire queste persone» ha dichiarato Yeau-Tran Lee, docente associato alla National Chengchi University di Taiwan, riferendosi a chi ha lasciato la Cina negli ultimi anni, tra cui vittime di persecuzioni e dissidenti politici. «Il Pcc dispone di un’enorme rete di agenti di intelligence e sicurezza. Dopo la soppressione del movimento per la democrazia di Hong Kong nel 2019, un gran numero di agenti del Pcc è stato trasferito all’estero, intensificando così la repressione transnazionale».

Yao-Yuan Yeh, docente di scienze politiche e studi internazionali presso l’Università di St. Thomas a Houston, sottolinea che la repressione transnazionale del Pcc ha l’effetto di diffondere la paura tra i dissidenti all’estero: «Questa repressione crea la sensazione che le spie cinesi non siano solo in Cina, ma ovunque all’estero» e questo può «generare un effetto a catena, inducendo al silenzio chi potrebbe essere insoddisfatto del regime cinese, siano cittadini cinesi o stranieri, impedendo loro di esprimersi su internet. Si crea così un meccanismo di autocensura attraverso la paura causata dalle azioni di repressione transnazionale».

LA NECESSITÀ DI UNA RISPOSTA INTERNAZIONALE

Il dissidente cinese Wang Yonghong, intervenuto a una conferenza stampa a New York il 25 febbraio 2023 per denunciare la repressione transnazionale di Pechino, chiede una maggiore attenzione internazionale su questo fenomeno. Yeh ha dichiarato che ogni Paese deve «contrastare e respingere consapevolmente la repressione transnazionale del Pcc» sul proprio territorio. A livello internazionale, Yeh ha affermato che le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali dovrebbero condannare fermamente le tattiche repressive del Pcc: «Nelle relazioni internazionali, quando si verifica una violazione dei diritti umani, la cosa più importante da fare è denunciarla pubblicamente, informando tutti gli altri Paesi su quanti crimini ha commesso questo regime».

 

Redazione Eti/Alex Wu

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