Il governo italiano non ha ricevuto alcuna forma di pressione indebita per la liberazione e il rimpatrio del generale libico Osama al Najem, conosciuto come Almasri, le cui modalità e la cui rapidità sono state determinate piuttosto dal profilo di pericolosità del soggetto e dai rischi che la sua permanenza in Italia avrebbe comportato. E i ritardi imputati al ministero della Giustizia nella trasmissione delle carte, che hanno portato di fatto alla mancata convalida dell’arresto e alla scarcerazione di Almasri, sono stati causati dalle molteplici «criticità e incertezze» nel mandato di arresto trasmesso dalla Corte penale internazionale, che hanno richiesto più di una riflessione da parte del titolare della Giustizia.
Queste le principali argomentazioni messe in campo dai ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, intervenuti oggi prima nell’Aula della Camera e poi in quella del Senato per far luce sul caso Almasri, il generale libico accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, arrestato su mandato dalla Cpi e poi rilasciato e riportato in Libia con un volo di Stato italiano. L’atto della Corte penale internazionale «è arrivato in lingua inglese senza essere tradotto, e sin dalla prima lettura il sottoscritto ha notato una serie di criticità che avrebbero reso impossibile l’immediata adesione del ministero alla richiesta arrivata dalla Corte d’appello di Roma», ha spiegato Nordio, che ha sottolineato in particolar modo «l’incertezza assoluta sulla data dei delitti commessi», dato che «nell’atto si prospettava, da un lato, con inizio nel febbraio 2011 e, dall’altro, nel febbraio 2015».
«In questo atto – ha rimarcato Nordio – si oscillava dal 2011 al 2015, il che non è una cosa di poco conto». Per questo, ha proseguito il ministro, «la trasmissione da parte mia prima di aver risolto queste discrasie sarebbe stata non solo inopportuna ma prima ancora illegittima, perché fondata su un arresto che era irrazionale e contraddittorio nel tempo del delitto commesso». Una discrasia, ha aggiunto, che è stata notata dalla stessa Cpi, che «si è riunita cinque giorni dopo il primo provvedimento per dire che il primo mandato d’arresto era sballato perché aveva sbagliato la data in cui erano stati commessi i reati, e noi ce n’eravamo accorti». «Credo che un’altra mia iniziativa – ha aggiunto – sarebbe stata impropria e frettolosa nei confronti della Corte di Appello, e che il non aver rilevato queste anomalie avrebbe dimostrato una carenza d’attenzione».
«La Cpi si è in seguito riunita apposta per cambiare mezza struttura del primo atto sulla base del quale avrei dovuto emettere il provvedimento. Ha cercato di cambiarlo perché si era accorta che aveva fatto un pasticcio frettoloso. Hanno sbagliato un atto così solenne. È mia intenzione – ha evidenziato – chiedere alla Cpi giustificazione circa le incongruenze di cui è stato mio dovere riferire».
«Il ruolo del ministro della Giustizia – ha rimarcato poi Nordio – non è semplicemente quello di un organo di transito delle richieste, non è un passacarte, ma è un organo politico, che deve meditare queste richieste in funzione di un eventuale contatto con gli altri ministeri e con altre istituzioni» e in questo caso «c’era necessità». In ultimo, una stoccata alla magistratura: «Mi ha deluso l’atteggiamento di una certa parte della magistratura, che si è permessa di sindacare l’operato del ministero senza aver letto le carte. Cosa che può essere perdonata ai politici ma non a chi per mestiere le carte le dovrebbe leggere».
«Con questa parte della magistratura, se questo è il loro modo di intervenire in modo imprudente, sciatto, questo rende il dialogo molto molto molto difficile», ha proseguito. «Se questo è un sistema per farci credere che le nostre riforme devono essere rallentate…», ha concluso.
«Merita di essere preliminarmente precisato e sottolineato che il cittadino libico noto come Almasri non è mai stato un interlocutore del governo per vicende che attengono alla gestione ed al contrasto del complesso fenomeno migratorio», ha detto nella sua informativa il ministro dell’Interno Piantedosi. «Smentisco nella maniera più categorica che nelle ore in cui è stata gestita la vicenda, il governo abbia ricevuto alcun atto o comunicazione che possa essere anche solo lontanamente considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia, o al ricatto da parte di chiunque, come è stato adombrato in alcuni momenti del dibattito pubblico sviluppatosi in questi giorni. La scelta delle modalità di rimpatrio, in linea con quanto avvenuto in numerosi analoghi casi, anche in anni precedenti e con governi diversi dall’attuale, è andata di pari passo con la valutazione effettuata per l’espulsione di Almasri. In buona sostanza – ha spiegato il titolare del Viminale -, si è reso necessario agire rapidamente proprio per i profili di pericolosità riconducibili al soggetto e per i rischi che la sua permanenza in Italia avrebbe comportato, soprattutto con riguardo a valutazioni concernenti la sicurezza dei cittadini italiani e degli interessi del nostro Paese all’estero, in scenari di rilevante valore strategico ma, al contempo, di enormi complessità e delicatezza».
«La predisposizione dell’aereo, già dalla mattina, rientra in quegli scenari preventivi che vengono immaginati per ogni evenienza, anche il trasferimento in un altro carcere», ha continuato. «Ribadisco, pertanto, che, una volta venuta meno (su disposizione della Corte d’Appello di Roma) la condizione di restrizione della libertà personale, l’espulsione, che la legge attribuisce al ministro dell’Interno, è stata da me individuata quale misura in quel momento più appropriata per salvaguardare, insieme, la sicurezza dello Stato e la tutela dell’ordine pubblico», ha concluso.
«Questa è una giornata triste per la democrazia. Oggi, in quest’Aula, doveva esserci Giorgia Meloni. Meloni, ancora una volta, manca di rispetto a quest’Aula e a questo Paese», ha detto la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, intervenendo nell’Aula della Camera nel corso della discussione sull’informativa. «La verità è che vi vergognate di quello che fate, per questo mentite», ha proseguito Schlein, che si è poi rivolta direttamente al ministro della Giustizia: «Questo attacco alla magistratura è fumo negli occhi per coprire questa scelta politica». Oggi «c’è una grande assenza, quella del presidente Meloni, che scappa davanti al Parlamento ed agli italiani: è un atto di grande viltà istituzionale», ha detto il presidente del Movimento cinque stelle, Giuseppe Conte, intervenendo in Aula. «Oggi, ministro Nordio, Lei è stato scandaloso: Lei è stato il giudice assolutore di Almasri. Se fossimo in un’aula di giurisprudenza, Lei si dovrebbe vergognare». Giorgia Meloni «scappa e scappa. Dovrebbe essere la presidente del Consiglio, è la presidente del ‘coniglio’», ha concluso Conte.
«Abbiamo ascoltato un ministro dell’Interno imbarazzato»: se infatti le «Forze dell’ordine hanno fatto un grande lavoro» arrestando «un criminale, poi la politica lo libera», ha detto il leader di Italia viva, Matteo Renzi, in Aula al Senato. Rivolgendosi poi al ministro Nordio e citando Manzoni ha aggiunto: «Che voglia che me ne faccia del suo latinorum». Infatti, «avete rimandato in Libia con un volo di Stato e col tricolore» un «torturatore», ha proseguito l’ex premier. «Giorgia Meloni ha fatto la scelta meno dannosa, quella seggiola vuota è la cosa più intelligente che Giorgia Meloni potesse fare oggi« perché ad «Atreju nel dicembre 2024 ha definito i trafficanti di uomini i nuovi mafiosi. Aveva il boss dei boss e lo ha rilasciato», Meloni «ha scarcerato il mafioso numero uno riportandolo a torturare i bambini», ha attaccato ancora Renzi. Giorgia Meloni «vorrebbe fare la fatina» de Le avventure di Pinocchio, ma «in realtà è l’omino di burro» cioè «forte coi deboli e deboli coi forti», ha proseguito il leader Iv dando a Nordio e Piantedosi del «Gatto e la Volpe». Se la premier avesse avuto «coraggio, sarebbe venuta qui e avrebbe detto che c’è un interesse nazionale in Libia: ha tre lettere e si chiama Eni», ma «la vile presidente Consiglio è scappata perché non ha alcun tipo di coraggio. Scappa e si affida al gatto e la volpe», ha concluso Renzi.
«Dobbiamo dire ai cittadini che siamo davanti ad una generale sagra dell’ipocrisia», ha premesso il leader di Azione, Carlo Calenda, in Aula al Senato. «Tutti i governi hanno avuto a che fare con i tagliagole libici», anche «Minniti, che era ministro di un governo del Partito democratico», ha aggiunto per poi rivolgersi al ministro Nordio: «Nessuno dei fatti che lei ha rivelato inficiavano quel mandato». La dignità dello Stato è «stata svilita perché le istituzioni si sono contraddette e non hanno rispettato un mandato della Corte penale internazionale». Calenda, rivolgendosi alla maggioranza di governo, ha quindi concluso: «Non è vero che siete orgogliosi di fare ciò che per la patria è giusto. Siete talmente poco orgogliosi che non riuscite neanche a rivendicarlo».