Il 7 aprile, il presidente Donald Trump ha minacciato di imporre un ulteriore dazio del 50 per cento contro la Cina, qualora Pechino non ritirasse le misure di ritorsione sui prodotti statunitensi. In un post pubblicato sul suo profilo Truth, Trump ha concesso tempo fino all’8 aprile al regime comunista cinese per fare marcia indietro. In caso contrario, i nuovi dazi entreranno in vigore il 9 aprile.
L’avvertimento arriva in risposta all’annuncio di Pechino, che la settimana precedente aveva comunicato l’introduzione di dazi di ritorsione del 34 per cento, insieme ad altre restrizioni commerciali, come reazione ai dazi reciproci annunciati dall’amministrazione Trump il 2 aprile.
Trump ha duramente condannato la risposta cinese, affermando che i nuovi dazi si aggiungono a una lunga lista di pratiche scorrette già in atto: «Dazi da record, barriere non tariffarie, sovvenzioni illegali alle imprese e una manipolazione valutaria massiccia e prolungata». Ha ribadito che ogni Paese che risponderà con ritorsioni contro gli Stati Uniti «si troverà ad affrontare dazi nuovi e sensibilmente più alti rispetto a quelli inizialmente previsti».
Il presidente ha inoltre dichiarato che ogni trattativa commerciale con Pechino verrà interrotta se il regime cinese non annullerà le nuove misure. Durante una conferenza stampa il 7 aprile, Trump ha sottolineato che gli Stati Uniti hanno «un’unica occasione» per correggere gli squilibri commerciali con la Cina che si trascinano da decenni, aggiungendo che difficilmente un futuro presidente adotterà misure altrettanto incisive, e spiegando che il debito pubblico statunitense, oggi superiore ai 36 mila miliardi di dollari, è in buona parte conseguenza delle politiche permissive delle precedenti amministrazioni di fronte a rapporti commerciali svantaggiosi.
Trump sostiene da tempo che altri Paesi abbiano tratto indebiti vantaggi dagli Stati Uniti attraverso pratiche commerciali scorrette, e che una nuova politica sia essenziale per riequilibrare la situazione. I funzionari dell’amministrazione hanno affermato che il disavanzo commerciale dello scorso anno, pari a milleduecento miliardi di dollari, dimostra l’urgenza di una riforma profonda, in cui i dazi svolgono un ruolo centrale.
Il 2 aprile, Trump ha proclamato un’emergenza economica e annunciato un dazio di base del 10 per cento su quasi tutte le importazioni. Contestualmente, ha introdotto dazi più alti — pari a circa il 50 per cento dei dazi e delle barriere commerciali imposte agli Stati Uniti da ciascun Paese — contro circa 60 nazioni ritenute dall’amministrazione le più inique nei rapporti con Washington. In cima alla lista figura la Cina, seguita da Vietnam (46 per cento), Giappone (24 per cento) e Europa (20 per cento).
I dazi reciproci del 34 per cento applicati alla Cina mirano a contrastare la manipolazione valutaria, i sussidi industriali e altre pratiche commerciali scorrette, e si sommano a quelli del 20 per cento già in vigore sulle importazioni cinesi. Il tasso complessivo arriva così al 54 per cento, interessando un volume annuo commerciale pari a quasi 600 miliardi di dollari.
In risposta, Pechino ha adottato una serie di contromisure, tra cui un inasprimento dei controlli sulle esportazioni di alcune categorie di terre rare e l’inserimento di nuove aziende statunitensi nella cosiddetta lista nera dei “soggetti inaffidabili” per il Partito comunista cinese.
Nel fine settimana, il ministero degli Esteri cinese non ha dimostrato la minima intenzione di mediare con l’Amministrazione americana, dichiarando che Pechino è pronta ad «aprire ancor di più le proprie porte» ai partner commerciali internazionali, lasciando intendere la volontà di diversificare i rapporti economici, snobbando così gli Stati Uniti.
Trump, tuttavia, ha minimizzato la capacità del regime cinese di rispondere efficacemente, la cui economia – già mal ridotta per conto suo – sta subendo pesanti conseguenze a causa dei dazi già in essere.
Durante la presentazione del 2 aprile, Trump ha mostrato una tabella con l’elenco dei Paesi che impongono barriere agli Stati Uniti. La Cina era la prima, col 67 per cento di valore totale di dazi, barriere doganali e manipolazioni valutarie a danno delle importazioni Usa. «Noi rispondiamo con un dazio reciproco ridotto al 34 per cento – ha poi osservato Trump – Per cui li facciamo pagare meno! Come si può essere contrari?!».
Partendo dalla stima del dazio che eliminerebbe il disavanzo — che con la Cina, nel 2024, ha raggiunto i 295,4 miliardi di dollari — l’amministrazione Trump spiega di aver ricostruito l’effetto complessivo delle barriere cinesi, per applicare quindi dazi reciproci a dei tassi in grado di ristabilire un equilibrio commerciale.