Perché non creiamo più belle opere d’arte?

12 Marzo 2025 15:47 Aggiornato: 12 Marzo 2025 20:09
L’introduzione dell’arte moderna nella nostra cultura potrebbe essere un “cavallo di Troia” contro l’arte tradizionale? Processione del cavallo di Troia, 1760 circa, di Giovanni Tiepolo. Pubblico dominio

Nell’aprile del 1917, lo scultore sperimentale francese Marcel Duchamp presentò a una mostra d’arte un orinatoio di porcellana, firmandolo “R. Mutt, 1917” e definendolo arte. Era una dichiarazione di guerra contro le idee tradizionali di scultura, forma e bellezza. Duchamp decise semplicemente che l’orinatoio fosse un’opera d’arte, anche se chiaramente non lo era, affermando che anche gli oggetti ordinari potevano essere arte se «elevati alla dignità di opera d’arte dall’atto di scelta dell’artista». Sosteneva, in sostanza, che l’arte è del tutto soggettiva.
Questo è lo stesso uomo che ha deturpato una stampa della Monna Lisa, La Gioconda di Leonardo, disegnandole baffi e barba da cartone animato sul volto e intitolandolo con un gioco di parole volgari.

Questa non è arte. È una presa in giro delle opere artistiche.

La Gioconda è uno dei dipinti più famosi della tradizione occidentale. Per i dadaisti rappresentava lo status quo. Pubblico dominio

ANTI-ARTE

Duchamp apparteneva a un movimento culturale anti-razionale, anti-arte e anti-verità di New York. La sua trovata dell’orinatoio ha dato vita a una sezione newyorkese di una scuola d’arte chiamata “Dada”, precursore del surrealismo. Dada e i movimenti artistici d’avanguardia affini miravano a ridefinire la natura stessa dell’arte, poiché i dadaisti consideravano le idee tradizionali di razionalità, bellezza, proporzione e significato come costrutti borghesi. Esprimevano la loro politica radicale di estrema sinistra e i loro sentimenti antiborghesi creando opere di bruttezza, insensatezza, caos, assurdità e irrazionalità.

Secondo le parole del filosofo marxista francese Michael Löwy «l’irriverenza, la derisione, l’umorismo nero e l’assurdità erano le armi usate da questi giovani artisti per esprimere la loro rabbia e il loro supremo disprezzo per i valori dell’ordine costituito. La lavagna doveva essere ripulita da tutte le convenzioni, le tradizioni e le aspettative borghesi». Una dichiarazione del 1919 del Consiglio Centrale di Berlino di Dada per la Rivoluzione Mondiale dichiara apertamente l’adesione del movimento al comunismo radicale. Il movimento artistico, consapevolmente politico, collegava la bellezza e l’arte classica ai sistemi «oppressivi» del capitalismo.
L’irrazionalismo Dada emerge, almeno in parte, come un pallido fantasma, dalla polvere e dalla devastazione della Prima Guerra Mondiale. La guerra sembrò infrangere definitivamente i sogni e le promesse di una nuova era di pace e benessere fondata sul regno della ragione, come promesso dai filosofi razionalisti del XVIII secolo e dallo spirito progressista dell’inizio del XX secolo. La corrente Dada guardava all’assurdità e al caos della guerra, alla sua immane tragedia, e rispondeva sia con la protesta che con una resa alla carneficina e all’illogicità della guerra.

La curatrice Leah Dickerman scrive nel catalogo della National Gallery: «Per molti intellettuali, la Prima Guerra Mondiale ha causato un crollo della fiducia nella retorica – se non nei principi – della cultura della razionalità che aveva prevalso in Europa a partire dall’Illuminismo».
I dadaisti non sono stati gli unici artisti di tendenza a esprimere la disillusione legata alla guerra. Inorridito dai resoconti delle sofferenze e della desolazione causate da un bombardamento tedesco su Guernica durante la guerra civile spagnola nell’aprile del 1937, Pablo Picasso dipinse una grande, ripugnante e grottesca immagine delle macabre conseguenze del bombardamento. È popolata di forme contorte, linee confuse, corpi sproporzionati e smembrati, crudi volti umani che urlano silenziosamente in agonia. È un’accozzaglia di dolore ritratta in modo crudo e monocromatico. Molti considerano Guernica un capolavoro contro la guerra.

La bruttezza di Guernica riflette la bruttezza della guerra. E alcuni critici d’arte lo usano come spiegazione e giustificazione per la ripugnante arte moderna di cui siamo circondati. È vero – come dicono i dadaisti e Picasso – che l’arte tende a essere specchio alla società. L’arte non può non essere influenzata dalla filosofia, dalla politica, dalla storia e dalla religione: se la nostra arte è brutta, è sintomo di una malattia culturale più profonda.

L’arte classica raffigura eventi storici di vasta portata con un occhio attento all’umanità e alla dignità di tutte le persone coinvolte. La battaglia di Alessandro a Issus, 1529, di Albrecht Altdorfer. Alte Pinakothek, Monaco di Baviera. Pubblico dominio

I movimenti politici e l’angoscia contro la guerra possono motivare la bruttezza della maggior parte dell’arte moderna. Ma sotto la superficie ribollente della politica radicale, movimenti artistici come il Dadaismo presentano profondità più torbide: danno espressione visiva a una filosofia postmoderna del nulla, del non essere, dell’insensatezza della vita. La scomposizione delle figure umane di Picasso esprime la disgregazione del significato e dell’ordine che l’uomo moderno ha vissuto nel rifiutare i concetti tradizionali di verità.
L’arte classica è ordine e luce, è comprensibile, bella e armoniosa perché è così che l’umanità vedeva il mondo un tempo. Mentre l’arte moderna nasce da uno spirito disilluso e dallo scetticismo nei confronti del mondo. Il poeta Matthew Arnold articola questa idea in una poesia che segna l’inizio della modernità:

Il mondo, che sembra
giacere davanti a noi come una terra di sogni,
così vario, così bello, così nuovo,
in realtà non ha né gioia, né amore, né luce,
né certezza, né pace, né aiuto per il dolore.
E noi siamo qui come in una pianura oscura
spazzata da confusi allarmi di lotta e di fuga,
dove eserciti ignoranti si scontrano di notte.

Così come l’armonia, l’ordine e il significato sono gradualmente scomparsi dalle arti visive nel XX secolo, lasciando il posto a forme astratte e non identificabili e a esplosioni di colore, anche la poesia si è gradualmente smembrata e trasformata in un linguaggio frammentato e senza senso. Il dadaista Hugo Ball scrisse una poesia composta interamente di suoni confusi e senza senso. Questa è la logica conclusione del pessimismo espresso da Matthew Arnold: il pessimismo di un mondo che ha perso la fiducia nel significato oggettivo.
L’arte moderna riflette una cultura che rifiuta le idee oggettive di bellezza e significato e, in questo senso, è “veritiera”, possiamo dire che è almeno sincera, o forse addirittura giustificata: un artista dovrebbe dire la verità sul suo tempo. Ma è questo l’unico scopo dell’arte?

LO SCOPO PIÙ PROFONDO DELL’ARTE

L’artista deve solo dire la verità del momento? L’arte è solo un commento sociale e un riflesso degli atteggiamenti, delle filosofie e degli eventi storici prevalenti? La tradizione occidentale indicherebbe il contrario. I pensatori, a partire da Aristotele, credevano che l’arte potesse e dovesse esprimere qualcosa di atemporale e trascendente, non legato a nessuna epoca o cultura particolare.

Gli artisti del Rinascimento guardavano agli antichi greci e alla loro fede nella realtà oggettiva, nella verità e nello scopo. La scuola di Atene, 1509-1511 circa, di Raffaello. Palazzo Apostolico, Città del Vaticano, Italia. Pubblico dominio

Nella Parte IV della Poetica, Aristotele insegna che l’arte è un’imitazione della realtà che ci aiuta a comprenderla più profondamente. Vediamo verità universali e immutabili attraverso la rappresentazione di qualcosa di particolare. In Solo chi ama canta: Arte e contemplazione, il filosofo tedesco Josef Pieper dà voce a questa concezione millenaria dell’arte: «Chiunque può meditare sulle azioni e sugli avvenimenti umani e così guardare nelle profondità insondabili del destino e della Storia; chiunque può farsi assorbire dalla contemplazione di una rosa o di un volto umano e così toccare il mistero della creazione; tutti, quindi, partecipano alla ricerca che ha agitato le menti dei grandi filosofi fin dall’inizio’. Un’altra forma di questa attività la vediamo nella creazione dell’artista, che non mira tanto a presentare copie della realtà, quanto piuttosto a rendere visibili e tangibili nella parola, nel suono, nel colore e nella pietra le essenze archetipiche di tutte le cose così come ha avuto il privilegio di percepirle».

Qualcuno potrebbe obiettare che Guernica ritrae una realtà universale: la bruttezza della guerra. Questo è vero fino a un certo punto. Ma la guerra è l’aspetto più profondo e immutabile della realtà?

Simmetria, bellezza e idealismo si fondono in questa rappresentazione di Napoleone. Il re di Spagna commissionò Napoleone che attraversa le Alpi, 1801, dipinto da Jacques Louis David. Museo del Castello di Malmaison, Rueil-Malmaison, Francia. Pubblico dominio
Anche se le battaglie costano vite umane, l’arte che le rappresenta non deve necessariamente essere ripugnante o pacchiana. Battaglia di Chio, 1848, di Ivan Aivazovsky. Galleria nazionale d’arte Aivazovsky, Feodosia, Crimea. Pubblico dominio

Ricordiamo che nel mondo ci sono sempre state le guerre (anche se non quella post-industriale particolarmente disumanizzante dipinta da Picasso), eppure le rappresentazioni artistiche classiche non erano sgradevoli come Guernica di Picasso. Forse perché, in passato, gli artisti riuscivano a vedere un certo significato e uno scopo anche in grandi catastrofi e sofferenze, come la guerra. Nell’Eneide di Virglio, l’immagine di Enea in fuga dalla città di Troia in fiamme, di un uomo che a causa della guerra perde la moglie, perde tutto, è tragica, ma non è assurda o meramente caotica. Il Poeta ha visto oltre l’oscuro e brutale aspetto esteriore della scena una verità più profonda e stabile.
In Iris Exiled, Dennis Quinn dice di Virgilio: «Questa non è però la visione tragica; non c’è l’idea di un destino maligno, ma, al contrario, l’idea di un destino benigno. … Può darsi che le cose peggiori – la perdita delle cose migliori, la perdita di tutto – avvengano per il meglio. Se Troia non fosse caduta, non ci sarebbe stata Roma». Una visione del mondo che riesce a trovare un senso anche nella sofferenza si rifletterà in un’arte composta con armonia, proporzione, ordine, simmetria, cioè bellezza, indipendentemente dal soggetto.

Allora, qual è l’immagine più vera del mondo? Guernica o L’Eneide? Non è facile rispondere a questa domanda. Forse entrambi contengono elementi di verità. Ma la loro visione finale della realtà sembra quasi agli opposti. In definitiva, il mondo è «una pianura oscura/ spazzata da confusi allarmi di lotta» o come ha scritto Dante nel Paradiso, qualcosa che

 Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna

Secondo Arnold, viviamo in una sorta di incubo oscuro, con solo luci occasionali e semi-illusorie, come stelle cadenti. Secondo Dante, invece, i Cieli e la Terra sono pieni di luce e le ombre che vediamo sono il risultato naturale della squisita luminosità dell’essere.

Il grande poeta latino Virgilio, con l’Eneide affiancato dalle muse Clio (Storia) e Melpomene (Tragedia). Il mosaico del III secolo d.C. è stato scoperto a Sousse, in Tunisia. Museo del Bardo di Tunisi, Tunisia. Pubblico dominio

di Walker Larson

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