Nuova stangata sulle emissioni di CO₂

di Redazione ETI/Owen Evans
15 Aprile 2025 12:43 Aggiornato: 15 Aprile 2025 12:43

L’11 aprile l’International Maritime Organization ha approvato un nuovo regolamento che obbligherà le compagnie di navigazione a pagare una tassa per ogni tonnellata di gas serra prodotta. Le norme, che entreranno in vigore nel 2027, imporranno limiti obbligatori alle emissioni e un prezzo globale sull’anidride carbonica per le navi oltre le 5 mila tonnellate di stazza lorda.

Dal 2028, le navi che supereranno una soglia prestabilita pagheranno 380 dollari per ogni tonnellata di CO₂ equivalente in eccesso e 100 dollari aggiuntivi sopra un limite più severo. Le imbarcazioni che rispetteranno i parametri previsti, potranno invece beneficiare di incentivi e di una riduzione dei costi di adeguamento, favorendo così il ricorso a tecnologie a basse emissioni.

«Si tratta di un altro passo significativo negli sforzi per contrastare i cambiamenti climatici e per modernizzare il settore della navigazione», ha dichiarato il segretario generale dell’International Maritime Organization, Arsenio Dominguez.

Plauso anche dall’International Chamber of Shipping, l’associazione che rappresenta circa l’80% della flotta mercantile mondiale, da tempo favorevole all’introduzione di un prezzo unico sul carbonio a livello internazionale. «Il settore navale è oggi in prima linea nel tentativo di decarbonizzarsi per affrontare la crisi climatica», ha osservato il segretario generale Guy Platten.

Il problema, tuttavia, non si risolve con una tassa. Secondo il governo britannico, infatti, il 75% delle imbarcazioni utilizza ancora olio combustibile pesante, economico e ad alta densità energetica. Ma i biocarburanti — tra cui metano, metanolo e oli combustibili vegetali — indicati come alternativa più sostenibile, presentano però criticità ambientali non trascurabili. Secondo l’organizzazione europea Transport & Environment, il sistema potrebbe generare 10 miliardi di dollari annui entro il 2035, ma rischia di incentivare i biocarburanti di prima generazione, come l’olio di palma e di soia, con danni ambientali, come la deforestazione.

«In mancanza di regole rigorose sulla sostenibilità, i biocarburanti più dannosi rischiano di imporsi sul mercato, perché più economici e conformi alle nuove norme», ha avvertito T&E. Secondo uno studio, per soddisfare la futura domanda di biocarburanti dell’industria navale, sarebbero necessari fino a 35 milioni di ettari di terreni agricoli entro il 2030, una superficie pari a quella della Germania. Molti operatori del settore sostengono di voler puntare su biocarburanti di scarto — oli da cucina esausti, grassi animali e residui agricoli — ma, secondo T&E, la loro disponibilità coprirebbe solo una minima parte del fabbisogno previsto.

Il nuovo regolamento è stato approvato da 63 Paesi, tra cui Cina, Brasile, Sudafrica e diversi Stati europei. Assente invece dagli accordi ufficiali gli Stati Uniti che non hanno partecipato ai negoziati, ribadendo la priorità degli interessi nazionali sull’ideologia green.

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