Per il 75° anniversario della Cina comunista, il leader del Pcc avverte che il «mare è agitato» 

Di Dorothy Li e Frank Fang

Il 1° ottobre la Cina comunista ha celebrato un sobrio 75° anniversario poiché il leader del regime ha esortato la nazione a rimanere «vigile» in un mondo che ha descritto come sempre più turbolento.

Non ci sono state feste né parate militari a Pechino il 1° ottobre. L’unico evento degno di nota è stata una cerimonia di alzabandiera in Piazza Tiananmen, fortemente sorvegliata.

I media statali hanno pubblicato articoli che lodavano quelli che hanno definito i notevoli progressi economici della Cina nei decenni di governo del Partito Comunista Cinese (Pcc), senza fare menzione del diffuso pessimismo sulla situazione economica, della popolazione in declino e dei suoi effetti sulla forza lavoro, né del fatto che il forte controllo di Xi sul Partito potrebbe star fermando la crescita.

In un discorso tenuto alla cena di Stato il giorno della vigilia della festa nazionale, il leader del Pcc Xi Jinping ha detto chiaramente che la nazione deve supportare il regime.
Xi ha anche avvertito che la nazione dev’essere «vigile» in tempi di pace e «pronta ai giorni di pioggia».
«La strada che abbiamo d’avanti non sarà semplice», ha affermato Xi al banchetto del 30 settembre, dinanzi a più di 3000 membri del Partito e delegati stranieri.

Ad Hong Hong, invece, il governo della città ha organizzato più di 400 attività per rafforzare un «senso di patriottismo nella comunità».

Il capo dell’Esecutivo John Lee ha sottolineato che è la prima celebrazione da quando la città ha attuato la nuova legge sulla sicurezza, conosciuta localmente come Articolo 23. Sotto la nuova legge, che è entrata in vigore a fine marzo, reati come tradimento, insurrezione e sabotaggio ora comportano una pena massima dell’ergastolo. Il 19 settembre, un uomo di Hong Kong è stato condannato a 14 mesi di carcere per aver indossato una maglietta con uno slogan di protesta, segnando la prima condanna sotto la nuova legge sulla sicurezza, che ha suscitato critiche da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e di altri governi stranieri.

In un discorso durante la celebrazione a Hong Kong, Lee ha affermato che la città sta attraversando «un periodo critico di trasformazione economica», ma ha aggiunto che le opportunità superano le sfide.

Violazioni dei diritti umani

Mentre il regime cinese celebrava la sua festa nazionale, i dissidenti all’estero hanno richiamato l’attenzione sulla continua repressione delle libertà e sulle violazioni dei diritti umani da parte del Pcc.

Il 30 settembre, più di 50 organizzazioni internazionali hanno emesso una dichiarazione congiunta condannando la repressione transnazionale del regime cinese. L’Hong Kong Democracy Council (Hkdc) con sede a Washington e gli Students for a Free Tibet (Sft) hanno fatto da portavoce della dichiarazione: «Negli ultimi anni, i leader autoritari di tutto il mondo hanno intensificato i loro sforzi per zittire le critiche e intimidire i critici all’estero», si legge nella dichiarazione.

«Queste azioni esecrabili mirano a restringere diritti umani come le libertà di parola e di espressione, anche in Paesi come gli Stati Uniti dove questi diritti sono normalmente tutelati».

I gruppi hanno fatto riferimento a come, durante la visita di Xi a San Francisco lo scorso novembre, i manifestanti pacifici siano stati presi di mira da «gruppi affiliati al Partito Comunista Cinese» attraverso molestie, intimidazioni, sorveglianza e violenza fisica. «Anche il personale consolare cinese è stato visto sul campo» durante la violenza di strada, hanno spiegato, citando un report dell’Hkdc e degli Sft pubblicato a luglio.

«Esortiamo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti a considerare di elevare questo a un incidente diplomatico e il Dipartimento di Giustizia a prendere in considerazione l’ipotesi di presentare accuse federali contro coloro che sono stati responsabili», hanno scritto.

Amnesty International Usa, Freedom House, Human Rights Watch, China Aid Association e Friends of Falun Gong sono stati tra i gruppi che hanno firmato la dichiarazione congiunta.

Il dott. Erkin Ekrem, presidente ad interim del World Uyghur Congress (Wuc) con sede a Monaco, ha dichiarato il 1° ottobre che «rappresenta un momento importante per stare uniti contro» la Cina comunista. «Negli ultimi 75 anni, la Cina ha mantenuto un regime brutale che viola sistematicamente i diritti di milioni di persone, erodendo la nostra identità culturale e religiosa e silenziando il dissenso».

Il Wuc ha esortato Pechino a liberare i milioni di uiguri e di altri gruppi etnici musulmani arbitrariamente detenuti nei campi e a «porre fine alle politiche genocidi» nella regione autonoma dello Xinjiang in Cina.

Aggressione militare

In prima linea nell’aggressione del regime c’è da tempo Taiwan, e Xi ha ribadito le sue ambizioni di conquistare l’isola autogestita.

Durante il suo discorso del 30 settembre, Xi ha sottolineato che le «attività separatistiche per l’indipendenza di Taiwan» devono essere fermate e che il «principio di un’unica Cina» deve essere rispettato.

Il Pcc vede Taiwan come una provincia ribelle che deve essere unita al continente. Ha cercato di legittimare il suo diritto territoriale su Taiwan facendo valere che la Risoluzione 2758 delle Nazioni Unite sostiene il «principio di un’unica Cina» del Pcc, che è diverso dalla «politica di un’unica Cina» adottata dagli Stati Uniti.

In risposta alle dichiarazioni di Xi, il Consiglio per gli Affari Continentali di Taipei, un’agenzia governativa incaricata di gestire le questioni tra le due sponde, ha affermato che Taiwan è un «Paese sovrano».

Il Consiglio ha aggiunto che Pechino «dovrebbe affrontare la realtà che le due sponde dello Stretto di Taiwan non sono subordinate l’una all’altra».

A settembre, il Giappone ha espresso preoccupazioni dopo che una portaerei cinese è entrata nelle sue acque contigue, a seguito di due incursioni territoriali cinesi ad agosto che hanno spinto il Giappone a presentare proteste a Pechino.

Il nuovo primo ministro giapponese, Shigeru Ishiba, ha proposto una versione asiatica dell’alleanza militare della Nato per contrastare l’aumento dell’aggressione militare del regime cinese nella regione indo-pacifica.

Nelle ultime settimane, le Filippine hanno criticato il regime cinese per aver speronato le sue barche e per averle colpite con cannoni ad acqua, oltre a lanciare razzi contro i suoi velivoli. La maggior parte degli incidenti che si sono verificati intorno alla contestata scogliera di Sabina nel Mar Cinese Meridionale.

Il 1° ottobre, il portavoce della Guardia Costiera filippina, Commodoro Jay Tarriela, ha dichiarato che la lotta del suo Paese contro la Cina nel Mar delle Filippine Occidentali, riconosciuto a livello internazionale come parte della zona economica esclusiva di Manila, è più di una questione di sovranità delle Filippine: «Permettere alla Cina di ignorare palesemente l’ordine basato su regole minaccia le fondamenta stesse su cui tutti noi ci basiamo», ha dichiarato Tarriela al National Press Club of Australia, secondo il suo post su X. «Questo potrebbe riportarci a un’epoca in cui la forza predomina, minando le strutture globali che mantengono sotto controllo l’avidità umana, la ferocia e le barbarie».

 

Versione in inglese: CP Leader Warns of ‘Rough Seas’ as Communist China Celebrates 75th Anniversary

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