Il Pcc è perseguibile per la pandemia

Diversi esperti e studi legali sostengono che il Pcc sia legalmente perseguibile per la sua gestione criminale dell'attuale epidemia

Di Janita Kan

Alcuni mesi prima che il virus del Pcc si trasformasse in una pandemia globale, i medici di Wuhan hanno provato a segnalare le loro preoccupazioni in merito a una ‘misteriosa polmonite’, causata da un virus simile alla Sars. Ma, invece di permettere che il loro allarme raggiungesse la popolazione, le autorità cinesi (direttamente collegate al potere centrale) hanno censurato quell’informazione e accusato quei medici di «diffondere dicerie».

Mano a mano che emergevano sempre più informazioni sul virus, il Partito Comunista Cinese (Pcc) non le ha condivise col resto del mondo, minimizzando la gravità dell’epidemia. Ha trattenuto informazioni chiave, censurato rapporti e reso false dichiarazioni al popolo cinese e alla comunità internazionale.

Quando il regime ha finalmente messo in atto la prima misura di contenimento, il 23 gennaio, chiudendo Wuhan, epicentro del virus, era ormai troppo tardi: il virus si era già diffuso in tutto il Paese, estendendosi alla fine in 185 nazioni e territori di tutto il mondo.

Uno studio attualmente in fase di prestampa, condotto da ricercatori dell’Università di Southhampton, nel Regno Unito, ha scoperto che se le autorità cinesi avessero agito con tre settimane di anticipo, il numero dei casi totali avrebbe potuto essere ridotto del 95 per cento.

La soppressione delle informazioni da parte del Pcc, e la sua cattiva gestione del virus nelle prime fasi cruciali della mortale epidemia, sta avendo conseguenze devastanti sull’umanità e sull’economia di tutto il mondo. Tutto questo sta facendo sorgere domande sulla possibilità di poter ritenere il regime cinese legalmente responsabile per la diffusione del virus in tutto il mondo. E alcuni esperti credono sia possibile.

James Kraska, presidente e professore ‘Charles H. Stockton’ di Diritto marittimo internazionale, presso lo Stockton Center for International Law al Navar College degli Stati Uniti, crede che il regime cinese dovrà assumersi la responsabilità di non aver rispettato i propri doveri sulla base del diritto internazionale.

Secondo la legge della responsabilità dello Stato, spiega Kraska, se un Paese ha l’obbligo legale di fare un qualcosa ma non lo fa, allora può essere ritenuto legalmente responsabile. Ha dichiarato a Epoch Times: «La Repubblica popolare cinese fa parte del trattato sul Regolamento sanitario internazionale, di cui quasi tutti i Paesi del mondo fanno parte. E quel trattato prevede che gli Stati siano molto diretti e cooperativi, che condividano rapidamente informazioni su un’ampia gamma di malattie, comprese le nuove malattie di stampo influenzale, come il coronavirus». E ha aggiunto: «Questo è un dovere legale che gli Stati hanno sottoscritto liberamente, e la Cina, come tutti gli Stati che hanno aderito, ha acconsentito a rispettarlo. Ma sembra che in questo caso la Cina non abbia adempiuto al proprio dovere».

Lo scopo del Regolamento sanitario internazionale (pdf) è quello di «prevenire, proteggere, controllare e fornire una risposta sanitaria pubblica alla diffusione internazionale delle malattie, in modo commisurato e limitato ai rischi per la salute pubblica, e che eviti interferenze inutili col traffico e il commercio internazionale».

La versione rivista del 2005 è un accordo tra 196 Paesi, e richiede alle parti di informare l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) «di tutti gli eventi che potrebbero costituire un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale nel loro territorio».
Richiede inoltre che le parti continuino a informare l’Oms, in «modo tempestivo, con informazioni accurate sulla salute pubblica, e sufficientemente dettagliate a loro disposizione sull’evento notificato». Tra queste sono incluse anche le informazioni sui risultati di laboratorio, fonte e tipologia di rischio, numero dei casi e dei decessi, e condizioni che influenzano la diffusione della malattia nonché le misure sanitarie adottate.

Trattenere le informazioni

Tra la metà di dicembre e quella di gennaio, il regime cinese ha mostrato un atteggiamento volto a nascondere informazioni, e a rendere false dichiarazioni sulla gravità della malattia. Per Kraska, i ritardi nel fornire informazioni all’Oms e quelle false dichiarazioni potrebbero essere legalmente perseguibili ai sensi della legge sulla responsabilità dello Stato.

Secondo il Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, le autorità cinesi hanno iniziato a notare casi diffusi di una polmonite sconosciuta il 21 dicembre. Il regime cinese ha riferito all’Oms della malattia infettiva non identificata il 31 dicembre.

C’erano prove che mostravano come un laboratorio cinese avesse già mappato la maggior parte del genoma del virus  ̶  un passo fondamentale per contenere l’epidemia e sviluppare un vaccino  ̶  il 27 dicembre. I risultati erano quindi stati successivamente riportati ai funzionari cinesi e all’Accademia delle scienze mediche statale. Anche un laboratorio gestito dal governo ha mappato il genoma il 2 gennaio, ma questa informazione è stata resa pubblica e condivisa con il mondo solo la settimana successiva.

Inoltre, il Pcc, dopo aver finalmente informato l’Oms del virus, ha impiegato quasi altre tre settimane per riconoscere che il virus poteva diffondersi da uomo a uomo. Il 31 dicembre, la Commissione sanitaria municipale di Wuhan ha anche dichiarato falsamente che non c’erano prove di trasmissione da uomo a uomo, e che la malattia non era «prevenibile e controllabile». Questa bugia è stata ripetuta fino al 20 gennaio, quando un importante epidemiologo cinese, Zhong Nanshan, ha riconosciuto che oltre una dozzina di operatori sanitari in prima linea avevano contratto il virus.

Un medico si fa spruzzare un disinfettante da un collega, in una zona di quarantena a Wuhan, epicentro del focolaio del nuovo coronavirus, nella provincia centrale di Hubei in Cina, il 3 febbraio 2020. (STR / AFP via Getty Images)

Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine alla fine di gennaio, ha scoperto che c’erano «prove che fosse avvenuta trasmissione da uomo a uomo a stretto contatto da metà dicembre 2019». Da parte sua, l’Oms ha ripetuto le false dichiarazioni di Pechino in conferenze pubbliche, ma il 14 gennaio ha aggiunto che la malattia poteva diffondersi tra membri della stessa famiglia.

Allo stesso modo, il regime cinese non ha informato tempestivamente l’Oms del fatto che anche gli operatori sanitari stavano contraendo il virus: informazioni che sarebbero state fondamentali per comprendere la trasmissione ospedaliera e il rischio per gli operatori sanitari. Il regime ha annunciato ufficialmente il numero di infezioni tra gli operatori sanitari durante una conferenza stampa (ospitata dall’Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato) solo il 14 febbraio. Un alto funzionario cinese ha dichiarato che 1.716 operatori sanitari avevano contratto il virus, e che sei di loro erano morti.

È stato inoltre dimostrato che il regime cinese stava impedendo ai laboratori di condividere informazioni sul virus. Secondo la rivista finanziaria cinese Caixin, il 1° gennaio la Commissione sanitaria provinciale di Hubei ha ordinato a un laboratorio di interrompere i test, di non pubblicare informazioni relative al virus, e di distruggere i campioni esistenti.

Inoltre, il regime cinese non ha risposto puntualmente alle richieste internazionali di fornire informazioni sul virus e sull’epidemia. Il segretario dei servizi sanitari e dei servizi umani degli Stati Uniti, Alex Azar, ha affermato che già dal 6 gennaio gli Usa avevano cercato di inviare un gruppo di esperti, per studiare la trasmissione e la gravità dell’epidemia. Tuttavia, le ripetute richieste degli Stati Uniti di poter inviare gli esperti, sono rimaste senza risposta per un mese. Solo a fine gennaio il regime cinese ha accettato che l’Oms inviasse un gruppo di specialisti internazionali per studiare il virus. Questo è avvenuto dopo che il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, era tornato da una visita dalla Cina pieno di elogi nei confronti del leader Xi Jinping e degli sforzi di risposta al virus da parte del regime.

Nel frattempo, il regime ha messo a tacere le persone che avevano dato l’allarme sullo scoppio dell’epidemia. Quando diversi medici di Wuhan hanno tentato di avvisare i loro colleghi e l’opinione pubblica in merito a una ‘polmonite dalle cause sconosciute’, poi identificata come virus del Pcc, le autorità hanno cercato in tutti i modi di zittirli, accusandoli di aver diffuso dicerie. Il caso più eclatante è stato quello del dottor Li Wenliang, un oculista morto proprio a causa della malattia, contratta da un suo paziente.

Li Wenliang (Su concessione di Li Wenliang)

Ad ogni modo, Kraska osserva che l’indisponibilità del Pcc a informare la comunità internazionale sul virus dovrebbe essere distinta dalla disinformazione che lo stesso regime cinese ha portato avanti nei confronti dei suoi cittadini; quest’ultima infatti è un’inadempienza dal punto di vista etico e non può essere perseguita ai sensi del diritto internazionale. «Fa parte di quello che fanno le autocrazie perché temono fortemente la società aperta e l’informazione aperta», spiega.

David Matas, avvocato canadese in precedenza membro della delegazione canadese presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha espresso un’opinione simile a quella di Kraska, affermando che il regime potrebbe anche aver violato le Convenzioni sulle armi biologiche, delle quali è anche parte.

Matas, che è stato anche membro della delegazione canadese alla Conferenza delle Nazioni Unite in un tribunale penale internazionale, dichiara a Epoch Times che la Convenzione non parla solo di armi ma anche di agenti biologici. I Paesi parte della Convenzione sono obbligati a non trattenere agenti biologici se non per scopi pacifici, fa notare.
«Direi che questo insabbiamento e questa repressione sono una forma di ritenzione del virus, che è un agente biologico. E quindi è una violazione della convenzione, almeno dal mio punto di vista», afferma Matas, che nota inoltre come il reprimere le informazioni sul virus non rappresenti uno «scopo pacifico» ai sensi della Convenzione.

Per Matas, al fine di far rispettare la Convenzione, uno Stato membro come gli Stati Uniti potrebbe quindi presentare un reclamo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza dovrebbe quindi indagare in base a questi reclami e produrre un rapporto basato sulla sua indagine. Ha aggiunto che se il Consiglio di sicurezza riterrà responsabile Pechino, potrebbe far innescare una serie di provvedimenti.

Gli Stati Uniti, ad esempio, potrebbero utilizzare il resoconto risultante come base per designare la Cina come «Stato promotore di terrorismo» ai sensi del Foreign Sovereign Immunities Act (Fsca). Ciò consentirebbe quindi alle persone negli Stati Uniti di citare in giudizio il regime per i danni causati, senza affrontare l’ostacolo dell’immunità sovrana, una norma legale che ‘protegge’ i Paesi dall’essere citati in giudizio nei tribunali di altri Paesi. Attualmente, l’Iran, la Corea del Nord, il Sudan e la Siria sono stati identificati come Stati promotori del terrorismo.

Appello ai tribunali statunitensi

Alcuni negli Stati Uniti si sono già rivolti ai tribunali nazionali per fare pressione sul regime cinese, affinché fornisca un resoconto completo delle sue azioni e trovi dei rimedi ai danni e all’angoscia causate dalla pandemia.

Negli Stati Uniti al momento ci sono oltre 116 mila casi confermati, secondo i dati raccolti dalla Johns Hopkins University. Nel frattempo, molti Stati hanno già messo in atto misure di contenimento come la chiusura di servizi non essenziali e scuole, e ordinato alle persone di rimanere a casa. Alcune aziende, inclusi i negozi di alimentari e ristoranti, hanno volontariamente chiuso.

Il The Berman Law Group, in Florida, in collaborazione con i servizi legali Lucas Compton di Washington, ha presentato una class action contro il regime cinese il 12 marzo, sostenendo che l’iniziale insabbiamento di Pechino ha portato alla pandemia mondiale.
La causa sostiene che il Pcc «sapeva che il Covid-19 era pericoloso e in grado di provocare una pandemia, ma ha agito lentamente, mettendo proverbialmente la testa nella sabbia, coprendola per il proprio interesse economico».

«La Cina ha miseramente fallito nel contenere un virus di cui conosceva l’esistenza già a metà dicembre», riferisce a Epoch Times Jeremy Alters, capo stratega e portavoce non legale della causa Berman Law Group. «Non riuscendo a contenere quel virus, hanno scatenato una pandemia globale, che, in gran parte, avrebbe potuto essere contenuta se l’avessero comunicato ai fornitori di servizi sanitari del mondo, alle persone che si occupano del problema, alle persone che avrebbero potuto aiutare già all’inizio di gennaio».

Un ostacolo a questa causa è la dottrina dell’immunità sovrana di cui parlava Matas, in base alla quale un Paese è immune da cause civili o procedimenti penali dinanzi al tribunale di un altro Paese. Vi sono, tuttavia, delle eccezioni stabilite dal Fsca, che consentono a privati negli Stati Uniti di intentare causa a un Paese straniero per le sue azioni in determinate situazioni.

Un operatore sanitario esamina un test tampone di coronavirus presso il Lehman College il 28 marzo 2020 nel Bronx, New York City. (John Moore / Getty Images)

Alters afferma che in passato negli Stati Uniti sono state avviate azioni legali contro Paesi stranieri, tra cui quelle contro Libia, Sudan, Cuba e persino Cina. Fa notare che le due eccezioni della Fsca su cui si baseranno le cause sono le esenzioni per «attività commerciale» e «terrorismo».

«Combatteremo per far pagare la Cina e non c’è nulla che possa impedire di farlo    ̶ continua Alters   ̶ Questo è il modus operandi americano. Questo è quello che facciamo. Quando qualcuno ti fa del male, puoi andare in tribunale per chiedere giustizia. Quando un Paese ti fa un torto così grande, dovresti avere il diritto di fare la stessa cosa».

George Sorial, partner di Lucas Compton, aggiunge che la causa sta unendo le persone nel Paese e sta diventando per questo una causa speciale.
«Quello che stiamo facendo è per conto delle persone negli Stati Uniti che sono state danneggiate   ̶ spiega Sorial   ̶ Siamo tutti allineati insieme e questo è uno sforzo bipartisan».

Le due aziende fanno sapere di aver ricevuto oltre 10 mila richieste di informazioni da parte di persone negli Stati Uniti e da tutto il mondo in merito alla loro class action. Dicono inoltre che alcuni cittadini stranieri stanno chiedendo di aggiungersi alla causa, mentre avvocati e studi legali di tutto il mondo stanno chiedendo se possono avviare simili azioni legali contro il Pcc nei loro Paesi.

Cosa afferma il diritto internazionale

Se si riscontra che il regime cinese ha violato una convenzione internazionale o non ha adempiuto ai propri obblighi ai sensi della legge sulla responsabilità statale, i Paesi possono quindi prendere una serie di provvedimeti o contromisure.

Ai sensi dell’articolo 31 dello Statuto della responsabilità dello Stato, «lo Stato responsabile ha l’obbligo di risarcire completamente il danno causato dall’atto illecito a livello internazionale». Ci sono molte forme di risarcimento per lesioni, ai sensi degli articoli, tra cui restituzione, risarcimento e interessi.

Kraska ritiene improbabile che il regime cinese effettui dei risarcimenti conformemente all’articolo, ma i Paesi danneggiati potrebbero tentare di adire le loro controversie con Pechino dinanzi alla Corte internazionale di giustizia o ad altri tribunali internazionali, come il Tribunale internazionale dell’Aia.
Tuttavia, osserva, il regime non può essere costretto a partecipare a eventuali processi, a causa dei principi di sovranità statale.

Ma questo non significa che i Paesi non abbiano strade a disposizione per ottenere risarcimenti dalla Cina, spiega sempre il professore. I Paesi potrebbero ancora avvalersi di contromisure legali contro il regime cinese. Questo significa che i vari Stati possono sospendere i propri obblighi legali nei confronti del Pcc, in modo da indurlo ad adempiere ai propri obblighi.

«Cioè, non si tratta solo di compiere atti che non siano diplomatici o comunque poco gradevoli. In realtà si tratta proprio di sospendere il diritto internazionale, il che significa che lo Stato danneggiato può fare cose che sarebbero normalmente illegali, come violare la sovranità dello Stato che causa il danno», spiega Kraska.
Tuttavia, fa notare, un’eccezione è rappresentata dall’uso della forza contro il Paese.

Alcune delle contromisure che gli Stati Uniti potrebbero intraprendere contro il regime cinese includono l’interruzione dei pagamenti agli obbligazionisti cinesi, o la sospensione di obblighi legali nell’Organizzazione mondiale del commercio, tutte cose che potrebbero avere un impatto sulla Cina.

Gli Stati Uniti potrebbero anche scegliere di chiudere i loro mercati in Cina e minare l’imponente firewall Internet del regime, per fornire informazioni senza censura al popolo cinese.
Secondo Kraska l’elenco delle potenziali contromisure è illimitato.

A livello nazionale negli Stati Uniti, i legislatori hanno iniziato a esprimere le loro preoccupazioni per la cattiva gestione del virus da parte di Pechino durante le fasi iniziali.

Il repubblicano Jim Banks ha recentemente introdotto alla Camera una risoluzione bipartisan, Hr 907, che condanna il Pcc per aver minimizzato intenzionalmente l’epidemia attraverso la censura e la disinformazione.

Nel frattempo, il senatore Josh Hawley, assieme alla collega repubblicana Elise Stefanik, chiedono anche un’indagine internazionale che riveli come la gestione iniziale del virus da parte del Pcc potrebbe aver messo in pericolo gli Stati Uniti e il resto del mondo.
In un comunicato stampa congiunto, Hawley e Stefanik dichiarano: «È giunto il momento di intraprendere un’indagine internazionale sul ruolo svolto dal loro insabbiamento di questa devastante pandemia […] Il Pcc deve essere ritenuto responsabile per quello che il mondo sta ora soffrendo».

Epoch Times chiama il nuovo coronavirus, che è all’origine della malattia Covid-19, «virus del Partito Comunista Cinese», perché l’occultamento del Partito Comunista Cinese e la sua cattiva gestione hanno permesso al virus di diffondersi in tutta la Cina e creare una pandemia globale.

 

Articolo in inglese: Beijing Could Be Held Legally Responsible for Mishandling CCP Virus Outbreak, Experts Say

Traduzione di Alessandro Starnoni

 
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