La Cina sta finalmente stimolando la sua economia?

Di Christopher Balding

Da tempo gli osservatori della Cina si chiedono quando e come Pechino si muoverà per stimolare la sua economia fiacca.

Di recente, Pechino ha presentato una serie di misure volte a stimolare un’economia che fatica a espandersi e che soffre di un enorme debito pubblico. Ma nonostante la pompa magna che circonda l’annuncio, ciò che è degno di nota è l’esiguità dei dettagli.

Nonostante, infatti, i comunicati ufficiali mostrino una robusta crescita dell’economia cinese, intorno al 5% annuo, la realtà sembra molto diversa dalla propaganda di Stato. Il settore immobiliare e quelli legati all’edilizia sono in rapido declino anche se si guarda solo ai dati ufficiali. Le misure incentrate sui consumi sono ufficialmente appena sopra la crescita zero e molti settori, come quello delle vendite di autovetture sul mercato interno, stanno subendo gravi perdite, con le sole vendite all’esportazione a risollevare le prospettive.

Per arrestare il rallentamento non ufficiale, Pechino sta finalmente varando una serie di misure per stimolare l’economia. Ma l’aspetto notevole di queste misure è quanto poco efficaci esse risultino al momento.

Ad esempio, prima della festa del 1° ottobre, Pechino ha annunciato piccoli trasferimenti diretti alle persone molto povere. Tuttavia, non solo le somme di denaro sono esigue, ma sono anche destinate a gruppi molto ristretti di persone e hanno un impatto minimo sull’economia generale. Anche se alcune zone si stanno impegnando in stimoli localizzati, le misure sono davvero mirate e rappresentano importi esigui che difficilmente avranno un impatto significativo, se non quello di aiutare i produttori in difficoltà.

Gran parte delle restanti misure annunciate sembrano più politiche di ripiego e tentativi di tappare buchi piuttosto che stimoli perché l’economia riparta. I tagli ai tassi di interesse per i debitori spaziano dai mutui per le imprese a quelli per le famiglie, con l’obiettivo di portare denaro nelle tasche dei consumatori. Avendo già gestito i tagli ai tassi ipotecari obbligatori un anno fa con scarso impatto, è improbabile che la ripetizione di quest’anno abbia un effetto materiale sull’economia. Inoltre, abbassare i tassi d’interesse quando i contraenti hanno scarso interesse a chiedere un prestito maggiore e si trovano di fronte a un’economia alle prese con una massiccia eccedenza di capacità produttiva farà ben poco per stimolare l’economia, se non alleviare il dolore dei costi d’interesse.

Le altre politiche messe in atto sono chiaramente pensate per tappare i buchi delle finanze cinesi piuttosto che per rilanciare l’economia. Pechino ha recentemente annunciato di voler innalzare l’età pensionabile per sostenere diversi regimi provinciali di previdenza sociale che erano andati in bancarotta e altri che stavano lottando per effettuare i pagamenti. Un’altra iniziativa sarà quella di spendere 142 miliardi di dollari per ricapitalizzare le principali banche statali con l’obiettivo di aumentare i prestiti. Con l’assorbimento di molte banche cinesi di piccole e medie dimensioni in altre più grandi per evitare il collasso e l’abbassamento dei coefficienti di riserva, anche secondo i parametri ufficiali, le banche cinesi sono pericolosamente a corto di capitale. Con un settore bancario che gestisce quasi 55 mila miliardi di euro di attività, una ricapitalizzazione di 129 miliardi di euro non arriva a scalfire la superficie di quanto necessario per sostenere l’intero settore, anche se utilizzata in modo efficiente.

L’attuale serie di misure soffre di una serie di problemi.

In primo luogo, queste manovre, dall’abbassamento dei tassi di interesse all’aumento dei prestiti, ripetono le stesse politiche che hanno causato i problemi della Cina. L’aumento dei prestiti non può risolvere l’eccesso di debito che affligge i consumatori, le amministrazioni locali e le imprese cinesi. È come dare più acqua a un uomo che sta annegando.

In secondo luogo, va notato il fallimento intellettuale dietro queste politiche, come se i funzionari del Partito Comunista Cinese non potessero concepire altre soluzioni. Questa vacuità intellettuale deriva dall’incapacità di concepire uno Stato che non controlli ogni decisione economica da parte di un attore indipendente. I tagli ai tassi di interesse vengono imposti a tutti i mutuatari con stime dettagliate su come verranno spesi i soldi. Tuttavia, essi fanno poco per cambiare come gli attori credono che il sistema funzioni e il loro incentivo ad agire all’interno del sistema. Finché i quadri del Partito rimarranno intrappolati nella loro ristretta concezione di come può funzionare un’economia, ci saranno pochi cambiamenti a lungo termine nell’economia cinese.

In terzo luogo, anche il denaro che viene speso è progettato, prima di tutto, per proteggere la presa del potere del Partito. La ricapitalizzazione delle banche e l’innalzamento dell’età pensionabile sono stati pensati per incrementare le finanze dello Stato, non l’economia. Il Partito può gestire un’economia debole e controllare il popolo, ma non può gestire uno Stato indebolito che non è in grado di controllare il popolo.

Nonostante tutti i titoli dei giornali sullo stimolo cinese, la realtà è che si tratta sempre della stessa cosa: ritardare qualsiasi riforma è un gioco contro il tempo. L’economia cinese è debole e queste misure faranno ben poco per risollevarne le sorti.

 

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente i punti di vista di Epoch Times.

Christopher Balding è stato professore presso la Fulbright University Vietnam e la Hsbc Business School of Peking University Graduate School. È specializzato in economia cinese, mercati finanziari e tecnologia. Membro senior della Henry Jackson Society, ha vissuto in Cina e in Vietnam per più di dieci anni prima di trasferirsi negli Stati Uniti.

Articolo in lingua inglese: Is China Finally Stimulating Its Economy?

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