La Cina indaga il proprietario di Calvin Klein per un boicottaggio dei prodotti dello Xinjiang

Di Dorothy Li

Il 24 settembre Pechino ha annunciato di aver avviato un’indagine nei confronti di Pvh Group – colosso statunitense della vendita al dettaglio che gestisce marchi come Calvin Klein e Tommy Hilfiger – per presunte «misure discriminatorie» relative a prodotti provenienti dallo Xinjiang.

Il Ministero del Commercio cinese ha dichiarato che l’esame dell’azienda con sede a New York è conforme al meccanismo di funzionamento della «lista degli enti inaffidabili». Questa lista di restrizioni commerciali cinesi è stata istituita subito dopo che Washington ha inserito il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei in una lista nera nel 2019.

Una volta che un’azienda o un individuo straniero viene aggiunto alla lista «inaffidabile», gli sarà vietato partecipare ad attività di importazione ed esportazione e investire in Cina. Il Partito Comunista Cinese (Pcc) ha già utilizzato questa lista per limitare l’accesso delle aziende americane della Difesa al mercato cinese a causa della vendita di armi a Taiwan.

In una dichiarazione online, il Ministero del Commercio cinese ha accusato il Gruppo Pvh di «violare i normali principi commerciali del mercato» per aver «ingiustamente boicottato» il cotone e altri prodotti provenienti dalla regione nord-occidentale dello Xinjiang. Il boicottaggio manca di una «base fattuale» e «danneggia gravemente» i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi, secondo il Ministero.

In una dichiarazione separata, il Ministero ha chiesto al Gruppo Pvh di fornire documentazione e prove scritte per dimostrare se siano state attuate «misure discriminatorie» nei confronti dei prodotti dello Xinjiang negli ultimi tre anni. Ha fissato un termine di 30 giorni, a partire dal giorno dell’annuncio, affinché il Gruppo Pvh ottemperi a questa richiesta.

In risposta, il Gruppo Pvh ha dichiarato di essere in contatto con il Ministero e che risponderà «in conformità con le normative vigenti».

«Come politica aziendale, Pvh rispetta rigorosamente tutte le leggi e i regolamenti pertinenti in tutti i Paesi e le regioni in cui opera», ha dichiarato l’azienda in un comunicato inviato via e-mail a Epoch Times. «Al momento non abbiamo ulteriori commenti».

Pechino ha annunciato l’indagine un giorno dopo che l’amministrazione Biden ha presentato un’iniziativa per vietare la vendita di software e hardware sviluppati da «Paesi a rischio» – in particolare la Cina comunista – a causa dell’utilizzo degli stessi in veicoli venduti negli Stati Uniti e quindi per via di problemi di sicurezza.

Nel 2021, gli Stati Uniti hanno bandito tutto il cotone e i pomodori provenienti dallo Xinjiang, per via dell’uso del lavoro forzato. Nello stesso anno, il presidente Joe Biden ha firmato la legge sulla prevenzione del lavoro forzato degli uiguri, che vieta l’importazione di prodotti dallo Xinjiang a meno che gli esportatori dimostrino che i loro prodotti non sono stati realizzati con il lavoro forzato.

Sia l’amministrazione Biden che quella Trump hanno stabilito che nello Xinjiang si stava verificando un «genocidio», citando come prova la carcerazione da parte del Pcc di oltre 1 milione di musulmani uiguri in una rete capillare di campi di internamento.

I sopravvissuti ai campi hanno dichiarato di essere stati sottoposti a lavori forzati, sterilizzazioni e aborti forzati, torture e altri abusi. L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 2022 ha riscontrato che gli abusi di Pechino nei confronti degli uiguri potrebbero equivalere a «crimini contro l’umanità».

Pechino ha negato queste accuse e ha fatto pressione su aziende e personaggi pubblici per difendere le sue politiche sullo Xinjiang.

Negli ultimi anni, diverse aziende straniere si sono trovate coinvolte in un’ondata di indignazione nazionalista – amplificata da Pechino e dai media statali – dopo aver espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani da parte del Pcc e aver rifiutato di acquistare prodotti dalla regione.

Nel 2021, in seguito alle crescenti pressioni online alimentate dai nazionalisti, oltre 30 celebrità cinesi hanno tagliato i ponti con marchi stranieri di abbigliamento e calzature, facendo perdere a diversi marchi statunitensi, come Tommy Hilfiger e Calvin Klein, i loro ambasciatori del marchio.

 

Articolo in lingua inglese: China to Investigate Calvin Klein Owner for Alleged Boycott of Xinjiang Products

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