Il regime cinese non ferma il prelievo forzato di organi

Il governo cinese afferma che dal 2015 i trapianti in Cina non sono più effettuati col prelievo forzato di organi da prigionieri, ma utilizzando esclusivamente donatori volontari, morti per cause naturali, come succede in altri Paesi. Queste dichiarazioni sono state prese per buone da istituzioni internazionali, come l’Organizzazione mondiale della Sanità e la Società dei trapianti.
Ma diversi osservatori del sistema dei trapianti attuato in Cina ormai da anni – cioè del prelievo forzato da persone non consenzienti – fanno notare come questa presunta riforma sia solo fumo negli occhi, per nascondere la realtà. Infatti, in un nuovo rapporto, il China Organ Harvest Research Center (Centro di ricerca sul prelievo di organi in Cina, con sede a New York) documenta ampiamente che il prelievo dai prigionieri di coscienza è tuttora pratica diffusa nelle strutture ospedaliere cinesi.

Considerato infatti che il numero dei trapianti continua a essere superiore a quello delle donazioni legali, che gli organi umani per gli stranieri sono sempre disponibili «a richiesta», e vista inoltre l’assenza totale di controllo, il Centro di ricerca dubita che la pretesa riforma attuata dal regime cinese sia reale. A riguardo, cita un documentario diffuso in Corea del Sud a novembre 2017, secondo cui i trapianti sono effettuati sempre su larga scala, tanto da non poter essere ritenuti frutto di donazioni. Inoltre, alcuni giornalisti sotto copertura hanno filmato di nascosto un’infermiera, che confessava che il Dipartimento internazionale dei trapianti, il giorno prima, aveva effettuato tre espianti di fegato e quattro di rene (cifre che fanno pensare a un volume di interventi superiore a duemila ogni anno). È stato anche confermato che i tempi di attesa per i pazienti sono pochi giorni, o qualche settimana al massimo.

Altro dato che il Centro di ricerca ha rilevato, è la serie di telefonate ricevute dagli ospedali tra luglio 2016 e giugno 2017, in cui il personale ospedaliero dichiarava di avere a disposizione organi per i trapianti indicando una disponibilità generalizzata, cosa ovviamente del tutto impossibile in un sistema basato su donatori consenzienti.
Arthur Caplan, professore di bioetica dell’Università di New York, nell’introduzione dell rapporto ha scritto: «La Cina, come dimostrato in modo eccellente, approfondito e ben documentato in questa relazione, continua a permettere che siano violate le leggi sui diritti umani, e a farsi beffe dell’etica nei confronti dei suoi cittadini, permettendo che si uccida per avere degli organi per i trapianti». Ha aggiunto inoltre: «Il rapporto deve essere esaminato sia dalla comunità dei medici dei trapianti che dai governanti di tutto il mondo. Devono stabilire e ribadire chiaramente che se la Cina mantiene la politica di “uccidere per gli organi e altre parti del corpo”, non dovrà più partecipare alle attività internazionali di trapianti e ricerche cliniche, né alle riunioni di medici, qualunque siano le competenze in materia che possiede».

Ma l’Associazione dei trapianti non è propensa a seguire queste ultime indicazioni. Durante la recente riunione biennale infatti, la presidente uscente dell’organizzazione Nancy Ascher, ha interrotto Li Huige, medico coautore del rapporto, mentre faceva una domanda a un funzionario cinese, continuando a difendere ostinatamente le affermazioni del regime comunista cinese sulla presunta riforma del sistema dei trapianti.

L’avvocato canadese David Matas, specializzato in diritti umani e precursore nelle indagini sugli abusi e sull’illegalità dei trapianti in Cina, si è dichiarato «deluso dal nuovo rapporto, che conferma quanto già aveva constatato, cioè che la Cina non è cambiata. Anzi, ha accresciuto la sua capacità di mentire».
L’avvocato Matas si è unito all’invito di Arthur Caplan sui provvedimenti da assumere: «Dobbiamo escluderli fino a quando non saranno completamente trasparenti e disposti a cooperare con indagini esterne. Per quelli che lavorano nel settore dei trapianti: non collaborate con i medici cinesi».

David Li, coautore del rapporto, ha dichiarato: «Le università mediche e le imprese (tra cui le società farmaceutiche e i fabbricanti di apparecchiature) dovranno riconsiderare la collaborazione e gli scambi commerciali con le organizzazioni dei trapianti cinesi, alla luce delle prove di abusi continui e generalizzati in tutto il sistema dei trapianti in Cina».
In un’altra recente relazione dell’Organizzazione mondiale che indaga sulla persecuzione del Falun Gong, si smentiscono le dichiarazioni del portavoce cinese sul tema dei trapianti, Huang Jiefu, rilasciate nel maggio scorso a Ginevra, nel corso dell’Assemblea mondiale sulla salute.
L’Organizzazione si occupa della violazione dei diritti dell’Uomo nei confronti dei praticanti del Falun Gong, antica disciplina spirituale cinese, che da circa vent’anni subiscono violenze, arresti, torture e uccisioni in massa. Infatti, dalle ricerche svolte, è emerso che lo stesso Huang Jiefu è «sospettato di essere uno dei principali autori del genocidio perpetrato dal Partito Comunista Cinese, tramite il prelievo forzato di organi dai praticanti del Falun Gong ancora vivi». Di conseguenza, Huang sarebbe da considerare come «un presunto criminale in attesa di giudizio», non un portavoce cinese degno della fiducia degli organismi medici internazionali.

 

Articolo in
inglese

: China’s Claims of Organ Reform Are Rebutted by New Research

 

 
Articoli correlati