Hong Kong torna in piazza per difendere libertà e autonomia

Di Frank Fang

Il 24 maggio a Hong Kong l’acre odore dei lacrimogeni è tornato a riempire la città. Sono infatti riprese le proteste, che si erano placate solo a causa dell’emergenza coronavirus.
Secondo le informazioni rilasciate dalla polizia di Hong Kong nella serata di domenica, sarebbero stati arrestati almeno 180 manifestanti nel corso della giornata.

Migliaia di persone sono scese nuovamente in strada, nonostante la pandemia. Manifestano la propria opposizione a una proposta di legge sulla ‘sicurezza nazionale’, presentata questa settimana da Pechino nel Parlamento ‘fantoccio’ del regime cinese, che ha bypassato di fatto il Consiglio legislativo di Hong Kong.

Libertà a rischio a Hong Kong

La mossa di Pechino ha scatenato le critiche della comunità internazionale, secondo cui la legge in questione metterebbe a repentaglio l’autonomia e le libertà di Hong Kong; condizioni che il regime cinese aveva promesso di rispettare quando la Gran Bretagna gli ha conferito la sovranità di Hong Kong nel 1997.

Pechino ha annunciato i dettagli della legge sulla ‘sicurezza nazionale’ venerdì; questa include la possibilità che le forze di sicurezza del regime possano occuparsi direttamente delle questioni a Hong Kong. La legge è stata immediatamente condannata da Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Australia, Canada e Taiwan.

Dopo aver appreso la notizia, gli utenti dei social media di Hong Kong hanno rapidamente indetto una marcia di protesta sull’isola per domenica alle ore 13.00: dalla Baia di Causeway al quartiere di Wan Chai.

I manifestanti non hanno ottenuto l’approvazione della questura per via del regolamento di distanziamento sociale nella città. La normativa vieta gli incontri di più di otto persone e rimarrà in vigore fino ai primi di giugno per prevenire la diffusione del virus del Pcc (Partito Comunista Cinese), comunemente noto come il nuovo coronavirus.

Prima che la marcia avesse inizio, un grande numero di agenti di polizia si sono radunati nella Baia di Causeway; mentre altri agenti effettuavano controlli serrati nella vicina stazione della metropolitana, con tanto di perquisizioni a tappeto.

La polizia ha sparato il primo gas lacrimogeno verso le 13.30 locali, appena fuori dal centro commerciale Hysan Place della Baia di Causeway, nel tentativo di disperdere i manifestanti. Circa 20 minuti dopo è stato effettuato il primo arresto.

manifestante di Hong Kong viene ammanettato
Un manifestante vestito di nero viene ammanettato dalla polizia a Hennessy Road nella Baia di Causeway, Hong Kong, il 24 maggio 2020. (Edizione di Epoch Times a Hong Kong)

La polizia di Hong Kong ha arrestato oltre 7 mila 500 manifestanti dallo scorso giugno, quando sono iniziate le attuali proteste contro il Pcc e in favore della democrazia. Queste ultime sono state catalizzate da un controverso disegno di legge sull’estradizione, a cui il governo cittadino ha poi rinunciato.

Alle 14.30 il governo di Hong Kong ha rilasciato un comunicato in cui affermava che i «rivoltosi» avevano lanciato oggetti contro gli agenti di polizia e bloccato le strade in vari modi. Specificando inoltre che la polizia stava usando «la minima forza necessaria, compresi i gas lacrimogeni» per disperdere i «rivoltosi».

Da quel momento la polizia ha sparato svariati gas lacrimogeni e utilizzato spray al peperoncino. Anche i giornalisti sono stati colpiti. L’edizione di Hong Kong di The Epoch Times ha scritto che i giornalisti sono stati colpiti dallo spray al peperoncino sparato dalla polizia lungo il Canal Road Flyover, un ponte nella Baia di Causeway, verso le 14.45 locali.

Nel frattempo, veicoli blindati e veicoli con cannoni ad acqua hanno raggiunto la Baia di Causeway. E verso le 15.20, il primo cannone ad acqua della polizia ha aperto il ‘fuoco’ contro i manifestanti e i giornalisti che si trovavano sul Canal Road Flyover.

  • Guarda ‘Il Metodo del Pcc’, il nuovo documentario di Epoch Times sulle proteste di Hong Kong e l’infiltrazione del Pcc fuori dalla Cina:

Le proteste della mattinata

Nella mattinata di domenica hanno inscenato proteste i membri di diversi gruppi. Tra questi i partiti filodemocratici di Hong Kong, la Lega dei socialdemocratici, i neodemocratici, il Partito del lavoro e l’Alleanza di Hong Kong a sostegno dei movimenti patriottici democratici in Cina. Si sono ritrovati all’esterno dell’Hong Kong Liaison Office, l’ufficio di rappresentanza di Pechino nella città.

I gruppi hanno esposto striscioni e cartelli per manifestare la propria opposizione alla legge sulla sicurezza nazionale del Pcc, che romperebbe le promesse fatte dal regime cinese al governo britannico nella storica Dichiarazione congiunta sino-britannica.

protesta fuori dall'ufficio di collegamento di Hong Kong
Membri del partito neo-democratico tengono una protesta fuori dall’ufficio di collegamento di Hong Kong, il 24 maggio 2020. (Filiale di Hong Kong dell’Epoch Times)

I manifestanti hanno riaffermato le ‘cinque richieste’ che portano avanti ormai da molti mesi, tra cui il suffragio universale e un’inchiesta indipendente sui casi di violenza da parte della polizia.

Lee Cheuk-yan, presidente dell’Alleanza di Hong Kong a sostegno dei movimenti patriottici democratici in Cina, ha dichiarato alla stampa locale che, con la proposta di legge sulla sicurezza nazionale, Pechino si «sta scavando la fossa».

Leung Kwok-hung, un ex parlamentare fondatore della Lega dei socialdemocratici, ha sostenuto che la legge toglierà la libertà di parola agli hongkonghesi.

Nel frattempo, oltre 200 parlamentari e politici di 23 Paesi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, dove si afferma che la proposta di legge cinese è una «flagrante violazione della dichiarazione congiunta sino-britannica».

Pechino spinge anche per la legge sull’inno nazionale

Inizialmente la protesta di domenica era stata organizzata in opposizione al tentativo del governo di Hong Kong di approvare una controversa legge sull’inno nazionale cinese, che dovrebbe essere discussa dal Consiglio Legislativo il 27 maggio.

Se approvata, la legge stabilirebbe una multa fino a 50 mila dollari hongkonghesi (5911 euro) e tre anni di reclusione, per chiunque venisse trovato a «cantare l’inno nazionale [cinese] in modo distorto o irrispettoso».

La richiesta di una legge sull’inno nazionale è stata avanzata da Pechino alla fine del 2017; in quel frangente il Comitato permanente del Parlamento ‘fantoccio’ del regime cinese, l’Assemblea nazionale del popolo, ha deciso che bisognava aggiungere questa legge al III Allegato della Legge Fondamentale di Hong Kong.
Una volta che una legge nazionale cinese viene aggiunta al III Allegato della mini costituzione di Hong Kong, il governo di Hong Kong può decidere di ratificarla attraverso il Parlamento (il Consiglio legislativo); oppure il Capo dell’esecutivo della città può aggirare il Parlamento pubblicando un avviso legale sulla gazzetta governativa, il che è sufficiente perché la legge diventi pienamente applicabile.

Avendo optato per la via del Parlamento, la legge sull’inno nazionale della Cina è stata approvata in ‘prima lettura’ dal Consiglio Legislativo già a gennaio del 2019, almeno secondo la stampa statale cinese.

Ma solo quest’anno, a inizio maggio, il Capo dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, ha dichiarato che i parlamentari devono dare la priorità all’approvazione della legge sull’inno nazionale, difendendo la legge come «giusta» durante la sua conferenza stampa settimanale.

Tuttavia, la legge nazionale sull’inno è stata ampiamente criticata dai gruppi per i diritti civili e umani.

Nel marzo del 2019, l’Ong britannica Hong Kong Watch ha pubblicato uno studio; qui si afferma che una simile legge costituirebbe «una terribile violazione della libertà di espressione», anche perché la vaga definizione di «insulto» offerta dalla legge «non è in linea con i principi fondamentali dello stato di diritto».

 

Articolo in inglese: Tear Gas Fired as Hong Kong Protesters Return to Streets Against China’s ‘National Security’ Law

 
Articoli correlati