Hong Kong, la legge di Pechino sulla sicurezza nazionale è un attacco ai diritti umani

La nuova legge sulla sicurezza nazionale imposta dal regime cinese su Hong Kong frantuma le libertà della città, la sua autonomia, e l’indipendenza del suo sistema giudiziario: vogliono rendere Hong Kong un’altra città cinese, ha spiegato al programma di Epoch Times ‘American Thought leaders’ l’attivista per i diritti umani Benedict Rogers, di Hong Kong Watch.

È un «attacco totale a Hong Kong», afferma Rogers.

La legge, approvata dal Congresso Nazionale del Popolo cinese in tempi insolitamente rapidi e in modalità segreta, va a criminalizzare la sovversione del potere statale, la secessione, il terrorismo e la collusione con le forze straniere, con condanne fino all’ergastolo. Il problema però, spiega Rogers, è l’ampia interpretazione che il regime cinese darà a questi reati.

La definizione di terrorismo del regime potrebbe verosimilmente includere anche i manifestanti pacifici. «La definizione di sovversione include realmente qualsiasi forma di dissenso o critica del regime», ha aggiunto.

Mentre la ‘collusione con forze straniere’ potrebbe includere anche le semplici comunicazioni con giornalisti, attivisti e funzionari governativi stranieri.

La legge consente a Pechino di intervenire nel processo giudiziario di Hong Kong tramite la creazione di un comitato di sicurezza nazionale e di un ufficio di sicurezza nazionale che rispondono a Pechino. Alcuni processi potranno così svolgersi a porte chiuse, e i trasgressori potrebbero essere estradati in Cina per essere processati.

«Questa è la peggiore legge che credo di aver mai visto in molti anni di lavoro sui diritti umani. E supera le nostre peggiori paure», ha aggiunto Rogers.

L’incomprensibile astensione dell’Italia sulla mozione britannica a difesa di Hong Kong

Per le ragioni sopraesposte, davanti a una chiara violazione di un trattato internazionale, e davanti a diritti fondamentali minacciati, il 3 luglio il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu a Ginevra si è riunito per votare una mozione presentata dal Regno Unito, per la difesa dei diritti umani a Hong Kong. Tra i membri dell’Unione Europea, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Germania, Lettonia, Lituania, Lussenburgo, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia e Svezia, hanno votato a favore della mozione.

In tale occasione però, l’Italia si è astenuta; a questo riguardo il senatore Lucio Malan è intervenuto con parole abbastanza dure, pubblicate sul suo sito web: «Astenersi su violazioni così evidenti dei diritti umani, della libertà di manifestare, e di accordi internazionali è una scelta di campo vergognosa. Tra chi manifesta per la libertà e chi li aggredisce e li arresta non ci si può astenere. Tra il regime Partito Comunista Cinese e la libertà il governo italiano ha scelto l’ignavia. In pratica ha deciso di stare con il Pcc che si vuole lasciare libero di agire contro la libertà, non più solo in Cina, ma ora anche a Hong Kong, senza disturbarlo neppure con proteste formali. Una umiliante ignavia per l’Italia, la cui Costituzione è fondata sulla libertà».

Anche il deputato Lega Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera, in un’intervista dell’8 luglio a Radio Radicale ha espresso il suo disappunto: «A Hong Kong sta morendo la democrazia essendo stato violato, cancellato, un accordo internazionale, nel silenzio del nostro governo italiano, quale era l’accordo congiunto sino-britannico del 1984. È una vergogna, noi abbiamo chiesto con forza come Lega, un’audizione sul collocamento geopolitico del nostro Paese, in particolare sul tema del rispetto dei diritti umani della Cina, ma il ministro degli Esteri [Luigi Di Maio] per ora non ci ha ancora degnato della presenza».

Proprio nella giornata di giovedì, secondo quanto riportato da Repubblica, dovrebbe essere discussa alla Camera una risoluzione dii maggioranza su Hong Kong sulla quale sta lavorando la deputata del Pd (Commissione Esteri) Lia Quartapelle. Quindi, non è ancora detto che quella del 3 luglio al Consiglio dei diritti umani dell’Onu sia la parola definitiva del governo italiano su Hong Kong.

Il potere extraterritoriale della nuova legge

Da quando è stata approvata la legge, gli hongkonghesi hanno comunicato a Rogers che ora è troppo pericoloso per loro contattarlo. Molti cittadini di Hong Kong si sono affrettati a cancellare i loro account sui social media. Joshua Wong, il volto chiave del ‘movimento degli ombrelli’ nel 2014, così come gli attivisti filodemocratici Nathan Law e Agnes Chow, hanno annunciato il loro ritiro dal gruppo pro-democrazia Demosisto, che avevano fondato insieme.

Ma l’articolo 38 stabilisce che la legge sulla sicurezza nazionale non si applica solamente alle violazioni commesse a Hong Kong, ma anche «al di fuori della Regione da una persona che non è residente permanente nella Regione». Questo significa tecnicamente che la legge si applica anche ai non hongkonghesi al di fuori dei confini di Hong Kong.

«Quello che io faccio a Londra, criticando il regime, e quello che voi fate a Washington, e questa stessa conversazione che stiamo avendo ora potrebbe in teoria essere un reato penale secondo questa legge», ha spiegato Rogers.

La minaccia alla libertà religiosa

La legge potrebbe anche mettere in pericolo i fedeli religiosi di Hong Kong, continua Rogers, considerando le persecuzioni religiose su larga scala in corso in Cina, tra cui quelle ai danni di tibetani, uiguri, cristiani indipendenti e praticanti del Falun Gong. Ci sono stati molti casi di arresti di credenti religiosi accusati di «sovversione del potere dello Stato», che è anche uno dei reati elencati nella legge sulla sicurezza nazionale.

Alcuni leader religiosi di Hong Kong, come il cardinale Joseph Zen, hanno criticato apertamente la soppressione della libertà religiosa da parte del regime cinese. Rogers si chiede quindi: «Quanto tempo ci vorrà prima che anche loro finiscano nello stesso modo in cui son finiti tanti vescovi e cardinali cattolici o il clero nella Cina continentale? Ovvero in prigione, agli arresti domiciliari o addirittura in pericolo di vita?»

La città-Stato di Hong Kong è stata anche finora l’unico posto ‘in Cina’ dove i praticanti della disciplina spirituale del Falun Gong hanno potuto praticare liberamente la loro fede; senza dover convivere con la paura di essere imprigionati, torturati o di essere sottoposti a terribili sessioni di lavaggio del cervello (questa disciplina di meditazione è brutalmente perseguitata in Cina dal 1999).

Così Rogers ha espresso il suo pensiero verso questi pacifici meditatori: «Immagino che i praticanti del Falun Gong a Hong Kong si sentano molto preoccupati».

Pechino non deve farla franca

Rogers ha sostenuto la necessità di un triplice approccio da parte della comunità internazionale per resistere all’invasione del regime cinese a Hong Kong. In primo luogo, i Paesi dovrebbero imporre sanzioni «contro gli individui e le entità che fanno parte del regime del Partito Comunista Cinese a Pechino e i suoi delegati a Hong Kong, che sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e che sono responsabili di questa legge».

Negli Stati Uniti, il Congresso ha approvato delle leggi che impongono sanzioni ai funzionari cinesi che attuano la legge sulla sicurezza, così come alle banche e alle aziende che fanno affari con loro.

La seconda proposta di Rogers è che le Nazioni Unite scelgano un inviato speciale o un relatore speciale per i diritti umani a Hong Kong per monitorare e riferire sulla situazione. In molti hanno criticato l’influenza eccessiva del regime cinese sulle Nazioni Unite e considerano queste ultime quindi inefficaci nel limitare le violazioni dei diritti umani in Cina. Ma per Rogers è importante che i Paesi continuino a impegnarsi con l’Onu per «respingere l’influenza della Cina e reindirizzare l’Onu verso quello che dovrebbe essere».

In terzo luogo, «la comunità internazionale dovrebbe stabilire insieme un pacchetto che funzioni da scialuppa di salvataggio». Da quando è stata approvata la legge, Taiwan ha aperto un nuovo ufficio per aiutare gli hongkonghesi in cerca di asilo, e il governo britannico ha aperto un percorso di cittadinanza per i residenti di Hong Kong che hanno lo status di British National (Overseas). Si stima che 3 milioni di hongkonghesi, circa il 40 per cento della popolazione della città, possiedano i requisiti necessari per usufruirne.

Negli Stati Uniti, un gruppo bipartitico di senatori ha introdotto l’Hong Kong Safe Harbor Act per gli hongkonghesi a rischio di persecuzione.
Resta da vedere quanti cittadini sceglieranno di fuggire. Alcuni, come l’importante attivista filodemocratico Nathan Law, se ne sono già andati.

«Ho sempre considerato Hong Kong come una forza in prima linea nella lotta per la libertà contro l’autoritarismo –  spiega Rogers – se al regime è permesso di farla franca senza essere punito, non si fermerà a Hong Kong. Taiwan sarà la prossima».

«E in realtà anche le nostre società saranno altrettanto minacciate».

 

Articolo in inglese: Beijing’s National Security Law Is an ‘All-Out Assault on Hong Kong,’ Says Human Rights Activist

 

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