Covid-19, la brutta crisi degli aeroporti e di chi ci lavora

Di Alessandro Starnoni

Un tuffo nel passato di ben 25 anni: questi gli effetti disastrosi della crisi Covid-19 sul settore aeroportuale; un comparto che, negli ultimi anni prima dell’uragano, era invece in continua espansione. E questo crollo del traffico aereo implica ovviamente ingenti perdite economiche per le compagnie di volo in primis, nonché la precarizzazione di tantissimi posti di lavoro collegati al settore del trasporto aereo.

La crisi degli aeroporti

Secondo Assaeroporti, infatti, il virus ha fatto tornare il traffico aereo ai livelli del 1995 e non si intravede ancora una via d’uscita, perlomeno nel breve periodo, e vaccino permettendo. Come aveva fatto notare nei mesi scorsi la Iata (International Air Transport Association), l’ostacolo più importante alla ripartenza era rappresentato dalla mancanza di fiducia del consumatore; una turbolenza che sembrava quasi passata ad agosto, ma che si è ripresentata in tutta la sua imprevedibilità in concomitanza con la seconda ondata, in aggiunta alle nuove misure di restrizione o lockdown.

Per questo, le stime sulla ripresa non sono molto confortanti. Per Aci Europe (che è tra le più ottimiste) perché il sistema aeroportuale italiano ritorni al volume di traffico dell’era pre-Covid ci vorranno almeno altri 4-5 anni. E la perdita prevista per il 2020 di 2 miliardi di euro nel fatturato ne è la conferma.

In effetti a oggi i dati parlano da soli e il crollo nei numeri continua inesorabile per gli aeroporti italiani: a ottobre hanno viaggiato il 74,8 per cento dei passeggeri in meno rispetto allo stesso mese del 2019. Ma il dato più eclatante è quello che registra la curva in discesa da inizio pandemia: nel periodo che va da marzo a ottobre, riporta l’ufficio stampa di Assaeroporti, si è assistito a una perdita di 117 milioni di passeggeri (- 82 per cento rispetto allo stesso periodo nel 2019).

Nel dettaglio, la perdita da marzo a ottobre rispetto allo stesso periodo del 2019 è del 68 per cento dei passeggeri in meno per i voli nazionali, dell’87 per cento per i voli europei, e addirittura del 93 per cento per i voli extra-Ue a seguito della chiusura delle frontiere. Ma i dati, secondo l’ufficio stampa di Assaeroporti, sono «probabilmente destinati a peggiorare nei prossimi mesi a causa del lockdown e delle limitazioni agli spostamenti tra Stati».

Le stime per la chiusura dell’anno sono rimaste le stesse del mese di settembre, e dovrebbero rimanere tali da qui al 31 dicembre: la perdita complessiva dei passeggeri ammonta a 135 milioni (-70 per cento), con 58 milioni di passeggeri che hanno viaggiato nell’anno 2020 a fronte dei 193 milioni che avevano viaggiato nel 2019.

Dai servizi aeroportuali alle compagnie aeree: chi sono i più colpiti dalla crisi

Sono 10 mila le casse integrazione richieste solamente dai gestori degli aeroporti, dal momento che, come sottolinea il presidente di Assaeroporti Fabrizio Palenzona in un comunicato, «senza immediati interventi di sostegno diretto sono a rischio migliaia di posti di lavoro […] Senza aeroporti il Paese si ferma».

L’impatto economico del brusco calo del traffico aereo si ripercuote soprattutto e inevitabilmente su tutti i lavoratori impegnati nei servizi aeroportuali: dalla sicurezza, al catering e ai negozi, fino a tutti i dipendenti delle società che appaltano i servizi ceduti dai gestori aeroportuali per l’handling di terra.

Un operaio dell’Aeroporto di Firenze, che ha voluto restare anonimo, riferisce a Epoch Times: «Noi operai, circa 70 su 900 dipendenti presenti in Aeroporto abbiamo un contratto a tempo indeterminato a 8 mesi, gli altri 4 mesi sono eventualmente a discrezione dell’azienda nel caso avesse bisogno».

«Quest’anno vista la situazione emergenziale in atto, l’azienda non può prorogarci nei 4 mesi a casa in quanto in Cigs. Nei 4 mesi che staremo a casa, non potremo godere di alcun ammortizzatore sociale (cigs, naspi, ecc.) nulla di nulla. Chiediamo un intervento il prima possibile sia comunale, regionale e nazionale sia per noi circa 70 operai che per tutti gli operai che lavorano presso gli aeroporti nazionali».
«Per concludere, la Cigs presso gli aeroporti di Firenze e Pisa (gestiti da un’unica azienda) scadrà a fine marzo 2021, se non ci sarà una ripresa, saremo quasi sicuramente licenziati. Che cosa faremo senza lavoro?».

In mezzo a tutti i dipendenti aeroportuali, c’è anche la categoria degli stagionali (ben 400 mila in tutto il Paese), che fino all’era pre-covid costituiva un ampio bacino di risorse impiegate dai gestori, dalle società appaltanti e dalle compagnie aeree. Le ultime indennità onnicomprensive sono appena arrivate con il decreto Ristori, ma ci sono ancora diversi stagionali aeroportuali che rimangono tagliati fuori dalle misure di sostegno economico. Ad ogni modo, sebbene anche i soldi di agosto siano arrivati, a tali lavoratori rimangono ancora 2 mesi (almeno) non coperti.

E proprio le compagnie aeree sono ovviamente le grandi aziende più danneggiate economicamente dalla crisi del Covid-19. Dalle ultime dichiarazioni, l’organizzazione internazionale delle compagnie aeree prevede che solo la diffusione del vaccino, la cui distribuzione è prevista per la seconda metà del 2021, riuscirà a porre fine alle ingenti perdite economiche subite finora: nel 2020 si registra un -60,9 per cento dei ricavi (fatturato) nel complesso a livello globale rispetto al 2019.

Grafico andamento fatturato delle compagnie aeree
Andamento negli anni del fatturato complessivo delle compagnie aeree a livello globale (fonte dei dati Iata.org)

Secondo la Iata infatti, «il sostegno governativo o i progressi nell’uso dei test per accelerare l’apertura del mercato saranno fondamentali per la sopravvivenza delle compagnie aeree in molte regioni nei prossimi 6-9 mesi».

 
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