Cina, il nuovo stimolo è ancora insufficiente a rilanciare l’economia cinese. Pechino disperata

Di Milton Ezrati

A settembre Pechino ha compiuto un gesto drammatico, ammettendo implicitamente che il pacchetto di stimoli di maggio non è riuscito ad aiutare l’economia cinese assediata. E quindi ha portato avanti misure di stimolo monetario e fiscale ben oltre quanto fatto in passato. Queste misure potrebbero aiutare Pechino a raggiungere l’obiettivo di crescita reale del 5% per il 2024, ma non sono in grado di ridare slancio all’economia cinese.

Sul fronte fiscale, Pechino prevede di emettere circa 2.000 miliardi di yuan (258 miliardi e 610 milioni di euro) di debito sovrano aggiuntivo. Ha stanziato metà di questo importo per aiutare i governi locali, già pesantemente indebitati, a far fronte alla situazione. L’altra metà sarà destinata a una serie di programmi di sostegno per individui e famiglie.

Parte del programma offrirà quello che Pechino chiama «assegno di sussistenza» ai poveri, apparentemente per celebrare il 75° anniversario del governo comunista, il 1° ottobre. Senza dubbio, i beneficiari spenderanno rapidamente questi soldi e daranno un impulso immediato all’attività economica. Questa misura, tuttavia, potrà avere un effetto solo a breve termine.

Pechino offrirà anche un assegno mensile di 800 yuan (circa 104 euro) per ogni bambino nelle famiglie con due o più figli. Questa misura avrà un effetto più duraturo sull’attività economica, anche se oggi in Cina ci sono poche famiglie di questo tipo. Senza dubbio, questa misura mira anche a incoraggiare le nascite e quindi a contrastare la pressione demografica imposta all’economia da anni di bassi tassi di fertilità, anche se ci vorranno 15-20 anni prima che un eventuale aumento delle nascite oggi possa influenzare la forza lavoro cinese.

Separatamente, la città di Shanghai offrirà 500 milioni di yuan (circa 65 milioni di euro) in buoni da utilizzare per la ristorazione e il divertimento. Costituendo meno dell’1,0% del prodotto interno lordo di Shanghai, questa misura difficilmente avrà un grande effetto. Pechino ha anche stanziato mille miliardi di yuan (circa 129 miliardi di euro) per ricapitalizzare sei grandi banche, chiaramente nel tentativo di rimediare ai danni causati dai fallimenti provocati dalla crisi immobiliare.

Sul fronte monetario, il governatore della Banca Popolare Cinese (Pboc) Pan Gongsheng ha delineato diverse misure. La banca centrale ridurrà il tasso sulle operazioni di prestito a medio termine di un anno dall’attuale 2,3% al 2,0%. Ridurrà inoltre il principale strumento di politica monetaria della banca, il tasso di acquisto a sette giorni, dall’1,7% all’1,5%. Queste modifiche sembrano minime se paragonate all’ultima mossa della Federal Reserve negli Stati Uniti, che ha tagliato il suo principale tasso di prestito di mezzo punto percentuale, ma per gli standard delle misure passate della Pboc, i recenti tagli sembrano davvero molto audaci.

Per stimolare ulteriormente i prestiti e presumibilmente l’attività economica, la Pboc ridurrà la quantità di contanti che le banche devono tenere in riserva a fronte dei loro portafogli di depositi e prestiti. Per risollevare il mercato azionario cinese in caduta, la Pboc renderà disponibili 500 miliardi di yuan (circa 65 miliardi di euro) per i prestiti a fondi di investimento, broker e assicurazioni. E metterà a disposizione altri 300 miliardi di yuan (39 miliardi di euro) per finanziare i riacquisti di azioni da parte delle società quotate.

La speranza della banca è senza dubbio che un mercato azionario in crescita possa compensare parte della ricchezza delle famiglie persa a causa della crisi immobiliare e del suo effetto negativo sul valore degli immobili. Per aiutare direttamente il settore immobiliare, la Pboc ridurrà i tassi da pagare sui mutui esistenti, tenendo conto che i cinesi non hanno la possibilità di rifinanziare i loro mutui. Per incrementare l’acquisto di case, la banca ha previsto anche una riduzione dell’acconto richiesto per le seconde case, che passerà dall’attuale 25% al 15%.

L’elenco delle misure, sia fiscali che monetarie, è lungo e sembra impressionante, ma è probabile che non sia sufficiente. Più che di misure per rendere il credito più economico e abbondante o per aiutare alcuni dei gruppi demografici più bisognosi della società, Pechino ha bisogno infatti di ripristinare la fiducia tra i consumatori cinesi. Deve anche incoraggiare le imprese private, che si stima rappresentino circa il 60% dell’economia e l’80% della nuova occupazione urbana.

I consumatori cinesi non sono disposti a spendere. Secondo l’ultima misurazione, l’indice di fiducia dei consumatori del Paese è sceso di circa il 3% rispetto alla primavera scorsa e di quasi il 30% rispetto al 2022. In una certa misura, questo triste stato di cose riflette gli effetti persistenti delle misure zero-Covid che hanno bloccato l’attività economica e interrotto l’occupazione e le buste paga molto tempo dopo la fine della pandemia. Ma ancora di più è l’effetto della crisi immobiliare sui valori degli immobili. Nessuna ripresa del mercato azionario può rimediare a questo fardello. La casa di una famiglia in Cina costituisce la maggior parte del suo patrimonio netto e i prezzi degli immobili sono scesi di oltre il 12% dal 2021, quando è scoppiata la crisi immobiliare.

Allo stesso tempo, i proprietari e i dirigenti delle imprese private hanno rallentato la spesa in conto capitale per l’espansione, l’ammodernamento e le assunzioni, riducendola a un importo trascurabile. La formazione di capitale fisso è addirittura diminuita nell’ultimo anno. Abituati alla rapida crescita degli anni precedenti, i proprietari di aziende private cinesi sono rimasti scioccati dal rallentamento degli ultimi due anni. Ricordano anche come, non molti anni fa, il leader cinese Xi Jinping abbia rimproverato alle imprese private di preoccuparsi più dei profitti che dell’agenda del Partito Comunista. Negli ultimi tempi Xi ha cambiato tono, ma i ricordi hanno una lunga durata e hanno lasciato dubbi sull’atteggiamento di Pechino negli anni futuri.

Finché Pechino non troverà un modo per ripristinare la fiducia in questi due settori cruciali dell’economia nazionale, la crescita continuerà a stentare. Non è certo che la Cina riuscirà a raggiungere l’obiettivo del 5% di crescita reale per il 2024. Se Pechino riuscirà a fare un annuncio positivo su questo fronte, sarà più probabilmente frutto di un gioco di prestigio statistico che di una vera attività economica. Pechino ha accennato a ulteriori stimoli in arrivo. Forse queste prossime azioni potranno risolvere il problema della fiducia. Senza un aiuto su questo fronte, l’economia continuerà a indebolirsi.

 

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente i punti di vista di Epoch Times.

Milton Ezrati è un redattore collaboratore di The National Interest, un affiliato del Center for the Study of Human Capital dell’Università di Buffalo (Suny), e capo economista di Vested, una società di comunicazione con sede a New York. Prima di entrare in Vested, è stato capo stratega di mercato ed economista per Lord, Abbett & Co. Scrive spesso per il City Journal sul blog di Forbes. Il suo ultimo libro è Thirty Tomorrows: The Next Three Decades of Globalization, Demographics, and How We Will Live.

Articolo in lingua inglese: Beijing Must Be Desperate: New Stimulus Still Falls Short of Reviving China’s Economy

 
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