L’aggressiva diplomazia ‘del lupo’ di Pechino sta fallendo

Di Cathy He

Sempre più Paesi chiedono di avviare indagini sulla gestione cinese dell’epidemia, eppure la Cina sta attuando una diplomazia aggressiva, in un periodo in cui il mondo non ha nessuna voglia di chinare la testa.

Nelle ultime settimane, infatti, i diplomatici cinesi hanno risposto animatamente alle critiche sulle forniture mediche difettose, così come a quei Paesi che chiedono maggiore trasparenza sul ruolo di Pechino nella diffusione del virus nel mondo. Ma quest’approccio combattivo – soprannominato la diplomazia del ‘lupo guerriero’ – non sembra aver dato i frutti sperati.

Un numero crescente di Paesi ha infatti convocato gli ambasciatori cinesi per diverse questioni, dalla diffusione di informazioni fuorvianti sulla pandemia, fino alla discriminazione contro gli immigrati africani (alcuni dei quali sono stati infettati dal virus) nella città meridionale di Guangzhou. E molti hanno assunto un atteggiamento più critico nei confronti del regime e stanno riflettendo sulla propria dipendenza industriale dal Dragone, nonché sui rischi per la sicurezza nazionale legati alle aziende tecnologiche cinesi.

Australia

In particolare, nell’ultima settimana i i politici australiani hanno chiesto un’indagine indipendente sulle origini dell’epidemia e questo ha portato alla reazione minacciosa dell’ambasciatore cinese Cheng Jingye. Se l’indagine dovesse procedere, ha infatti affermato Cheng, «la gente comune potrebbe domandarsi: “Perché dovremmo bere vino australiano? Perché mangiare carne di manzo australiana?”».
Una chiara minaccia, che però non ha fatto altro che alimentare l’indignazione della classe politica. Il ministro degli Esteri Marise Payne ha infatti denunciato questo tentativo di «coercizione economica», ribadendo al contempo la necessità di un’inchiesta sull’epidemia.

Intanto, dall’America, Helle Dale, membro veterano della think tank dell’Heritage Foundation, ha commentato che il regime cinese «è riuscito ad ammutolire per decenni gli altri Paesi minacciando ripercussioni economiche». «Ma non credo che funzionerà più», ha aggiunto.

Europa

Quanto all’Europa, anche i parlamentari tedeschi e svedesi, e più recentemente il presidente della Commissione Europea, hanno chiesto un’indagine sull’origine del virus.

Si legge però sul New York Times, che l’Ue avrebbe addolcito una sua relazione sulla disinformazione nel corso della pandemia, in seguito alle pressioni di Pechino; un’affermazione che è stata però smentita dal più importante diplomatico dell’Unione, Josep Borrell. Per Borrell, che pur riconosce che i funzionari cinesi si sono opposti al contenuto, «le revisioni facevano parte del normale processo di redazione» e la sostanza non sarebbe stata modificata.

In ogni caso, la vasta campagna di disinformazione orchestrata dal regime cinese negli ultimi mesi, volta a distogliere l’attenzione dall’insabbiamento dell’epidemia, ha scatenato una reazione avversa nei governi occidentali, spingendo i Paesi a riconsiderare le proprie relazioni con il regime: «La Cina sta diventando più aggressiva, più assertiva, e la sua condotta durante tutta la vicenda Covid-19 lo ha dimostrato», ha dichiarato infatti Tobias Ellwood, membro conservatore del Parlamento britannico, nonché presidente del Comitato di Difesa della Camera dei Comuni. Secondo l’onorevole, la mancanza di trasparenza del regime durante la crisi ha esposto la preoccupante incapacità della Cina di agire apertamente all’interno della comunità internazionale.

Ellwood fa parte di un numero crescente di politici del Partito conservatore che chiedono il riassetto delle relazioni del Regno Unito con il regime, compresa la necessità di impedire al gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei di partecipare alla costruzione del 5G britannico.

All’inizio di aprile, l’allora primo ministro ad interim Dominic Raab ha dichiarato che il Paese non sarebbe più potuto tornare a fare «affari come al solito» con la Cina dopo la crisi: «Dovremo porci le scottanti questioni di come sia nata [l’epidemia, ndt] e di come poteva essere fermata prima».

Stati Uniti

D’altra parte, i diplomatici cinesi e la stampa di regime hanno intensificato le critiche agli Stati Uniti dopo che l’amministrazione di Donald Trump ha chiesto che il regime cinese si assuma le proprie responsabilità per l’insabbiamento del virus.
Il 27 aprile, il presidente Trump ha infatti suggerito che gli Stati Uniti potrebbero richiedere un «sostanzioso» risarcimento al regime cinese per aver provocato la pandemia. In risposta, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Heng Shuang, ha accusato i politici statunitensi di «mentire spudoratamente».

Durante una conferenza stampa del 28 aprile, Geng ha dichiarato: «Consigliamo ai politici americani di riflettere sui loro problemi e di fare del loro meglio per contenere l’epidemia il prima possibile, invece di continuare a usare dei trucchetti per sviare le colpe».

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha bollato le dichiarazioni di Geng come «la classica disinformazione comunista». Dal canto suo, ha sottolineato gli sforzi fatti dal regime cinese per mettere a tacere i medici che hanno tentato di dare l’allarme nelle prime fasi dell’epidemia.

Il 29 aprile, durante un’intervista con l’emittente televisiva Fox, Pompeo ha dichiarato: «Questo è proprio il genere di cose che fanno le istituzioni comuniste. Le conosciamo tutti dall’epoca sovietica. Conosciamo il genere di cose che i partiti comunisti fanno per cercare di gestire le informazioni all’interno del proprio Paese e nel mondo».

 

Articolo in inglese: Beijing’s Aggressive Tactics Amid Pandemic Response Triggers Global Pushback

 
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