La piramide alimentare va ribaltata

di Redazione ETI/Sheramy Tsai
11 Aprile 2025 9:31 Aggiornato: 11 Aprile 2025 9:31

Uno studio sottoposta a revisione paritaria pubblicato sulla rivista Nutrients, sottoposto a revisione paritaria, contesta la validità della tradizionale dieta ricca di carboidrati. Secondo gli autori, non solo tale approccio non ha protetto la salute pubblica, ma potrebbe aver contribuito all’aumento dei casi di obesità e diabete di tipo 2. In risposta, viene proposta una nuova piramide alimentare a basso contenuto di carboidrati, pensata per la maggioranza degli adulti che presentano segni di disfunzione metabolica. Il modello privilegia proteine, latticini interi e grassi salutari, mettendo in discussione decenni e decenni di linee guida, e riaccendendo il dibattito sul ruolo dei grassi nelle patologie croniche.

RIPENSARE LA PIRAMIDE

La piramide alimentare introdotta nel 1992 dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti collocava i cereali alla base, seguiti da frutta e verdura, con grassi e oli relegati al vertice. Anche dopo l’introduzione, nel 2011, del modello MyPlate, che suddivide un piatto in cinque gruppi alimentari – frutta, verdura, cereali, proteine e latticini – l’impostazione centrata sui cereali ha continuato a influenzare la comunicazione istituzionale.

Secondo gli autori dell’articolo, quel modello è ormai obsoleto e potenzialmente dannoso. I 24 firmatari – tra cui medici, dietisti e studiosi del metabolismo – sottolineano come trascuri le evidenze sempre più numerose che collegano l’alto consumo di carboidrati allo sviluppo di obesità, diabete e altre patologie croniche.

Il nuovo schema alimentare proposto si fonda su alimenti a basso contenuto di carboidrati: alla base figurano carne, uova, latticini interi e oli ritenuti sani, mentre al centro trovano posto verdure non amidacee e frutti poveri di zuccheri. Al vertice sono invece ammessi, in quantità limitata, ortaggi amidacei, frutti dolci e frutta secca. Vengono esclusi completamente cereali, riso, legumi e zuccheri aggiunti.

Il modello, definito nell’articolo come “a basso contenuto di carboidrati” e “chetogenico”, prevede un apporto quotidiano di carboidrati compreso tra 20 e 50 grammi, inducendo uno stato di chetosi, in cui l’organismo utilizza i grassi come fonte principale di energia. Secondo Alex Leaf, nutrizionista e coautore, è tuttavia fondamentale distinguere tra carboidrati raffinati e integrali, questi ultimi considerati benefici per la salute. Le attuali linee guida, che raccomandano “almeno la metà” dei cereali consumati sia integrale, non offrirebbero indicazioni sufficientemente chiare.

L’impostazione proposta punta a rispecchiare la condizione metabolica della popolazione americana, dove una larga maggioranza presenta segni di squilibrio. Secondo la dottoressa Nina Teicholz, prima autrice dell’articolo, l’88% degli adulti statunitensi mostra segni di disfunzione metabolica. A suo giudizio, la piramide in uso si basa su presupposti scientifici deboli e non ha mai dimostrato, nei trial clinici, di prevenire le malattie croniche. La nuova piramide, al contrario, si allinea meglio alle evidenze attuali e ai bisogni reali della popolazione.

RADICI STORICHE DEL MODELLO

Per i sostenitori, il basso contenuto di carboidrati non rappresenta un’innovazione, ma un ritorno a pratiche terapeutiche consolidate nella storia della medicina. Il dottor Anthony Chaffee, medico esperto di nutrizione, ricorda che già dal tardo Settecento le diete chetogeniche venivano impiegate con successo per il trattamento non farmacologico di epilessia e diabete.

Uno studio del 2005 dell’Institute of Medicine ha confermato che non esiste un fabbisogno minimo di carboidrati, purché l’assunzione di proteine e grassi sia adeguata. Il dottor Chaffee cita inoltre il modello alimentare delle popolazioni artiche durante l’ultima era glaciale, basato su carne e pesce, privo di carboidrati vegetali, ma comunque in grado di sostenere una salute ottimale per generazioni.

IL VALORE TERAPEUTICO DI RIDURRE I CARBOIDRATI

Secondo gli autori dell’articolo, migliaia di studi clinici dimostrano che una dieta povera di carboidrati e ricca di grassi migliora la sensibilità insulinica, consente l’inversione del diabete di tipo 2 e riduce il ricorso ai farmaci.

Organizzazioni come l’American Diabetes Association, Diabetes Canada e l’European Association for the Study of Diabetes riconoscono l’efficacia di queste diete nel trattamento del diabete. Anche l’American Heart Association ha rilevato che, rispetto a diete con moderato contenuto di carboidrati, quelle molto povere riducono i livelli di A1c, favoriscono la perdita di peso e limitano il bisogno di farmaci. L’A1c è un indicatore chiave per il monitoraggio della glicemia negli ultimi due-tre mesi.

Ridurre i carboidrati induce la chetosi, migliora il senso di sazietà e può comportare una riduzione spontanea dell’apporto calorico. Gli autori affermano che questo tipo di alimentazione fornisce tutti i nutrienti essenziali in forme più biodisponibili rispetto ai cereali fortificati, e che il corpo può sintetizzare il glucosio necessario attraverso la gluconeogenesi. Secondo l’articolo, chi soffre di patologie croniche risulta spesso intollerante ai carboidrati e, come nel caso di chi evita il glutine, dovrebbe limitarli per ragioni cliniche.

ADATTA A TUTTI?

Pur riconoscendo la solidità delle basi scientifiche della dieta a basso contenuto di carboidrati, alcuni esperti ne mettono in dubbio la validità come modello universale. Marion Nestle, professoressa emerita di nutrizione alla New York University, sottolinea che molte diete diverse possono promuovere la salute, purché siano equilibrate e composte da alimenti poco processati. Anna Herby, dietista del Physicians Committee for Responsible Medicine, esprime perplessità sull’assenza di fibre nella nuova piramide, considerate fondamentali per la digestione, il controllo del peso e della glicemia.

Sebbene la dieta possa risultare efficace nel trattamento del diabete di tipo 2, alcuni esperti ritengono che il miglioramento sia legato alla perdita di peso più che alla sola riduzione dei carboidrati. Alex Leaf, coautore, invita a privilegiare soluzioni sostenibili nel lungo periodo.

Nestle solleva infine considerazioni ambientali, evidenziando che gli alimenti di origine animale, in particolare il bestiame bovino, sono tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra. Gli autori dell’articolo rispondono che non è necessario un consumo eccessivo di carne rossa e propongono l’agricoltura rigenerativa per ridurre l’impatto ambientale. Secondo l’agenzia per la Protezione Ambientale americana, il contributo del bestiame alle emissioni statunitensi è pari al 3,9%, ma la stima resta oggetto di dibattito.

CAMBIERANNO LE LINEE GUIDA?

Nonostante l’accumulo di prove, non è chiaro se le linee guida statunitensi cambieranno rotta. Il testo preliminare del Comitato Consultivo per le Linee Guida Alimentari — un gruppo di esperti indipendenti negli Stati Uniti incaricato di fornire raccomandazioni scientifiche per l’aggiornamento delle linee guida alimentari — atteso per dicembre 2025, sembra favorire legumi, fagioli e frutti di mare come fonti proteiche, collocando carne rossa, pollame e uova a livelli inferiori. I latticini magri sono raccomandati, mentre manca una presa di posizione chiara sui cibi ultraprocessati, nonostante il loro legame con obesità, diabete e patologie cardiovascolari.

I sostenitori della dieta a basso contenuto di carboidrati criticano l’impostazione del Comitato Consultivo per le Linee Guida Alimentari, giudicandola superata. I detrattori, invece, ne difendono l’aderenza alle migliori evidenze disponibili. Nestle precisa che il modello proposto è adatto a chi presenta malattie metaboliche, ma non rappresenta una soluzione universale. Ridurre i carboidrati ad alto indice glicemico è senz’altro utile per questa fascia della popolazione. La dottoressa Teicholz replica citando uno studio dell’Università della Carolina del Nord, secondo cui quasi nove americani su dieci mostrano segni di disfunzione metabolica. In tale contesto, la nuova piramide dovrebbe essere adottata come linea guida federale. Il dottor Chaffee aggiunge che l’assenza di interessi economici legati a diete povere di carboidrati penalizza la loro diffusione. In Australia, le diete chetogeniche sono già riconosciute come “miglior pratica” per la gestione del diabete di tipo 2.

Con Robert F. Kennedy Jr. a capo della revisione federale per il 2025, l’esito resta incerto. L’aumento delle patologie croniche impone però un riesame delle basi stesse della nutrizione. Indipendentemente da eventuali cambiamenti normativi, la piramide a basso contenuto di carboidrati ha riaperto un confronto cruciale su cosa mangiare e perché.

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.

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