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George Foreman è morto venerdì (21 marzo) all’età di 76 anni, lo ha riferito la sua famiglia: «Un umanitarista, un olimpionico e due volte campione del mondo dei pesi massimi, profondamente rispettato – una forza del bene, un uomo di disciplina, esempio di determinazione nonché protettore della sua eredità, combattendo instancabilmente per preservare il suo buon nome, per la sua famiglia».
Un pugile dal fare intimidatorio e potente che perse il suo primo titolo contro Muhammad Ali nel famoso “The Rumble in the Jungle” del 1974, “Big George” era una figura ormai cresciuta quando mise KO Michael Moorer per il suo secondo titolo due decenni dopo.
Il ritorno di Foreman e la fortuna che fece vendendo griglie elettriche per cucinare senza grassi lo resero un’icona di miglioramento personale e successo per la generazione del Baby Boom.
Poco dopo la sua nascita a Marshall, Texas, il 10 gennaio 1949, la sua famiglia si trasferì a Houston dove lui e i suoi sei fratelli furono cresciuti dalla madre single. Crescendo povero nel Sud americano segregato, Foreman abbandonò la scuola media inferiore e usò la sua stazza e i suoi pugni per rapine di strada.
Il Job Corps, parte delle riforme “Great Society” del presidente Lyndon B. Johnson, «mi ha salvato dalla miseria», scrisse Foreman in seguito. Attraverso il programma, il sedicenne Foreman si trasferì dal Texas e fu incoraggiato a canalizzare la sua rabbia e la sua crescente stazza nella boxe. Da lì la storia di successi che tutti conosciamo.