La felicità per un filosofo greco

di Redazione ETI/Leo Salvatore
1 Marzo 2025 16:43 Aggiornato: 1 Marzo 2025 16:43

Che cos’è esattamente il piacere? Cosa provoca il dolore e come si può evitarlo?

Eterne domande come queste affascinavano il filosofo greco Epicuro. Mentre i filosofi prima di lui pensavano e parlavano di felicità, Epicuro è stato il primo a definirla esclusivamente in termini di dolore e piacere. Della sua prolifica carriera sono sopravvissute solo tre lettere e due raccolte di citazioni. Tra queste, la Lettera a Meneceo, che contiene consigli senza tempo per una vita semplice e felice.

Ritratto romano di Epicuro, realizzato sulla base di un originale greco perduto. Fine del III secolo – inizio del II secolo a.C. Pubblico dominio.webp

Il giardino di Epicuro

Epicuro (Samo, 341 a.C. – Atene, 270 a.C.), il cui nome significa pressappoco “alleato o soccorritore”, è stato a lungo una figura controversa. I sostenitori della sua filosofia lo hanno definito un genio con intuizioni penetranti sulla natura della felicità, mentre gli oppositori lo hanno accusato di incoraggiare la ricerca di piaceri rovinosi a scapito della moderazione. Questo dibattito è iniziato già durante la sua vita, ma continua ancora oggi.
Samo è un’isola sulla costa occidentale dell’odierna Turchia, ma entrambi i genitori del filosofo erano cittadini ateniesi, il che lo rendeva ateniese di diritto. Trascorse i primi 35 anni studiando, prestando servizio militare e insegnando in varie città della Grecia orientale.

Alla fine Epicuro decise di aprire una scuola appena fuori dalla capitale greca. Comprò una casa con giardino – da cui il nome di “filosofia del giardino” dato all’epicureismo – dove lui e i suoi allievi lavoravano, insegnavano e si riposavano e, cosa insolita per l’epoca, permise a donne e schiavi di partecipare alle attività di studio. Credeva che tutti potessero trarre beneficio dalla pratica della filosofia. Il giardino divenne il simbolo dell’epicureismo, che privilegiava la semplicità, la tranquillità e la comunità sopra ogni altra cosa.

Atarassìa

Il dizionario Merriam-Webster definisce un epicureo «una persona con gusti sensibili e discriminanti, specialmente per quanto riguarda il cibo o il vino». Il presupposto sarebbe che gli epicurei assaporino i piaceri carnali del cibo, delle bevande e del sesso. È questo che predicava davvero Epicuro?
Il filosofo considerava l’atarassia un bene supremo. Il termine significa “serenità imperturbabile del saggio”, quindi per essere felici dobbiamo essere tranquilli e gli epicurei credevano che la tranquillità  fosse la condizione per la felicità. Ma questa tranquillità aveva poco a che fare con i piaceri fisici. Infatti, Epicuro incoraggiava la moderazione nei bisogni del corpo: «Non sono le continue bevute e i bagordi, né la soddisfazione delle passioni, né il godimento del pesce e di altri lussi della tavola dei ricchi, a produrre una vita piacevole».

La moderazione, scriveva, «è una cosa più preziosa della filosofia» è la sorgente di «tutte le altre virtù». Se potessimo chiedere a Epicuro se sia necessario rifiutare completamente i piaceri corporei, lui direbbe di no, perché è l’autocontrollo a doverci guidare.

Nella Lettera a Meneceo, o Lettera sulla felicità, il filosofo definisce la tranquillità come «libertà dal dolore del corpo e dai problemi della mente». Per eliminare il dolore fisico, Epicuro pensava che bisognasse concentrarsi solo sui piaceri essenziali, ad esempio il cibo: «i sapori semplici» saziano la fame con la stessa efficacia di una «dieta lussuosa», che può in realtà causare un disagio maggiore incoraggiando il desiderio di cibo più abbondante e migliore.

Adriaen van Utrecht, Natura morta, 1644, Olio su tela. Rijksmuseum, Amsterdam. Pubblico dominio.webp

Riteneva inoltre che il cibo semplice dia piacere perché soddisfa la fame e assicura la sopravvivenza, e tutto quello che va oltre questa soddisfazione di base non è necessario. Per Epicuro, capire che non ne abbiamo bisogno è il primo passo per eliminare le voglie superflue che rendono la nostra vita più complicata di quanto la felicità richieda: più semplice è, meglio è.

La paura della morte

Una mente turbata richiede invece un atteggiamento leggermente diverso. Come la maggior parte dei filosofi antichi, Epicuro credeva che la mente potesse calmarsi filosofando. Per lui la filosofia era soprattutto uno strumento per comprendere i fenomeni naturali, dalla generazione delle piante al movimento delle stelle. Più in generale, però, la filosofia significava semplicemente l’esercizio attento della ragione nel porre e nel rispondere alle “grandi domande” della vita.
La ragione ci permette di vagliare le opinioni errate e di effettuare le nostre scelte su basi più solide, per questo Epicuro la riteneva indispensabile per vivere una buona vita. L’effetto positivo della ragione si rivela in maniera più evidente nell’affrontare quella che è considerata una paura universale: la morte. La paura della morte, spiega a Meneceo, è la causa principale dell’ansia e la maggior parte delle persone «rifugge la morte come il più grande dei mali» o «la desidera come una tregua dai mali della vita». Tuttavia, egli dice al suo studente che questi atteggiamenti sono controproducenti: «Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi».

Per porre rimedio a questa ansia, Epicuro opta per un’alternativa radicale: dobbiamo «abituarci a credere che la morte non sia nulla per noi. Infatti, tutto il bene e il male consistono in sensazioni, ma la morte è privazione di sensazioni». Egli equipara la morte alla fine di ogni sensazione, che implica la fine di ogni dolore. Accettare questa idea rende «piacevole la mortalità della vita, non perché le aggiunga un arco di tempo infinito, ma perché le toglie il desiderio di immortalità».

L’amicizia

Meneceo era contemporaneo di Epicuro, ma di lui non sappiamo altro. Probabilmente era più giovane del filosofo e probabilmente gli chiese consiglio in diverse occasioni, come suggerisce il tono amichevole della lettera. Ma il loro scambio epistolare rivela un principio epicureo fondamentale.

Sebbene in questa lettera non menzioni direttamente l’amicizia, Epicuro in altri scritti chiarisce che la ritiene necessaria per la felicità. In uno dei frammenti  arrivati fino a noi si legge: «L’uomo nobile si occupa principalmente della saggezza e dell’amicizia: di queste, la prima è un bene mortale, la seconda un bene immortale». Non è chiaro perché pensasse che l’amicizia fosse un «bene immortale», ma di certo la considerava una delle cose più importanti della vita.

Mettendo in pratica i suoi principi, Epicuro scrive a Meneceo per dissipare le preoccupazioni dell’amico. Vuole offrire un consiglio a un amico in difficoltà, perché è questo che fanno i veri amici: ci ricordano il nostro impegno sulla virtù, se ci troviamo in situazioni che rischiano di metterla a repentaglio.

Gli amici ci aiutano anche a usare la ragione, ci offrono nuove prospettive, mettono in discussione le nostre opinioni con onestà e rispetto, in modo che possiamo imparare e ricambiare allo stesso modo. Epicuro fondò la sua scuola perché gli insegnanti trasmettessero la loro saggezza e gli studenti potessero riflettere e, attraverso la ragione, riuscire a evidenziare eventuali errori: un luogo in cui insegnanti e studenti vivessero, imparassero e lavorassero in spirito di amicizia.

Proprio come recita in uno dei suoi aforismi più poetici: «L’amicizia trascorre per la terra annunziando a tutti noi di destarci per darci gioia l’un con l’altro», è quel tipo di legame umano speciale che trasforma le nozioni astratte in realtà.

Hanna Hirsch-Pauli, Gli amici di Ellen Key, 1900-1907 circa. Pubblico dominio.webp

Questa filosofia appaga?

L’enfasi di Epicuro sul piacere moderato e sull’assenza di dolore però sembra incompleta: vogliamo sì evitare il dolore e trovare il piacere, ma desideriamo anche uno scopo e un significato, che spesso implicano una lotta. Epicuro potrebbe aver pensato che l’impegno verso gli amici e la famiglia si occupi anche di questo bisogno, ma i suoi scritti ci lasciano desiderosi di spiegazioni. L’assenza di dolore e l’applicazione coerente della filosofia sono davvero sufficienti per vivere una buona vita?
Ne fanno parte, ma la felicità sembra richiedere qualcosa di più del benessere e della semplicità.
Viktor Frankl, lo psicoanalista sopravvissuto all’Olocausto, parlando ai suoi amici nel campo di concentramento disse: «La vita umana, in qualsiasi circostanza, non cessa mai di avere un significato… l’infinito significato della vita include la sofferenza e il morire, la privazione e la morte». La condizione vissuta da Frankl è stata orribile, tuttavia le sue parole ci ricordano che la vita sostenuta da uno scopo, nonostante il dolore e le difficoltà continue, potrebbe essere migliore e più significativa dell’esistenza priva di dolore che Epicuro si sforzava di coltivare.

Che avesse ragione o meno, i suggerimenti di Epicuro hanno dato conforto a milioni di persone. In un’epoca senza amici, caratterizzata da consumi eccessivi e da un’ansia costante, il consiglio del filosofo del giardino di trovare l’appagamento nella semplicità e nei legami autentici è un’affermazione radicale, ma che vale la pena di prendere in considerazione nella nostra ricerca di una vita migliore e più tranquilla.

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