La (fallimentare) realtà della Nuova Via della Seta cinese

di Antonio Graceffo per ET USA
9 Febbraio 2025 21:59 Aggiornato: 9 Febbraio 2025 22:07

Originariamente concepita come la punta di diamante del disegno di potere planetario del leader cinese Xi Jinping, la Nuova via della seta, tra ritardi, cancellazioni e un numero crescente di progetti incompiuti sta perdendo slancio.

Verso la fine del 2024, il Brasile è diventata l’ultima grande economia a rifiutarla, dopo che India e Italia ne avevano preso le distanze. Benché il presidente Luiz Inacio Lula da Silva non abbia tagliato i legami con Pechino, ha deciso che per il Brasile sia meglio mantenere un impegno bilaterale invece che unirsi formalmente alla Nuova via della Seta. Una decisione che riflette il crescente scetticismo sui benefici a lungo termine di questa iniziativa.

La Nuova via della Seta è stata lanciata con grande clamore nel 2013, attirando 150 Paesi al suo seguito. Tuttavia, da allora si è sviluppato un rifiuto generale a causa di promesse non mantenute, intrighi finanziari, e diverse accuse di fare diplomazia con la “trappola del debito” e ai fini dell’espansionismo geopolitico cinese. Di conseguenza, diverse nazioni stanno rivalutando la propria partecipazione, con due delle più grandi economie Brics, India e Brasile, che hanno optato per l’uscita. La credibilità della Nuova via della Seta si sta erodendo, infliggendo un nuovo colpo alle ambizioni del Partito comunista cinese di rimodellare il commercio globale attraverso la diplomazia infrastrutturale.

Lungi dall’essere un momento di svolta planetario, infatti, è un progetto caratterizzato da ritardi, inefficienze e fallimenti. Il corridoio economico Cina-Pakistan, originariamente pensato per essere il gioiello della corona della Nuova via della Seta, esemplifica questi problemi, con il porto di Gwadar che rimane non funzionante a causa di una scarsa pianificazione, corruzione e attacchi da parte di gruppi di insorti. Nel frattempo, progetti infrastrutturali di importanza chiave come l’autostrada Karachi-Lahore e la modernizzazione della ferrovia ML-1 da Karachi a Peshawar, rimangono incompiuti o bloccati, poiché Pechino si rifiuta di finanziarli senza che il Pakistan si faccia carico di un debito insostenibile. Con i 69 miliardi di dollari che già deve alla Cina, il Pakistan ora vive un peggioramento degli squilibri commerciali, instabilità finanziaria e rischi per la sicurezza, anziché la prosperità economica inizialmente promessa dalla Nuova via della Seta.

Oltre a questo , altri progetti della Nuova via della Seta hanno portato pochi benefici, spesso lasciando i Paesi partecipanti in una situazione peggiore di prima. La ferrovia ad alta velocità dell’Indonesia rimane incompleta e la “Strada ferrata verso il nulla” del Kenya è diventata solo un costo. Gli investimenti della Cina in porti come Hambantota in Sri Lanka, Gwadar in Pakistan e Payra in Bangladesh danno priorità agli interessi strategici di Pechino rispetto alla crescita economica locale.
Hambantota è uno degli esempi più noti: nonostante gli avvertimenti sulla limitata redditività economica, lo Sri Lanka ha voluto prendere in prestito oltre 1 miliardo di dollari dalla Cina per finanziare il progetto. Quando il porto non è riuscito a generare entrate per il rimborso del debito, nel 2017 il governo è stato costretto ad affittarlo a una società statale cinese per 99 anni, rinunciando di fatto al controllo su un asset marittimo vitale.

Nemmeno la Nuova via della Seta nel sud-est asiatico è riuscita a mantenere le promesse, con oltre 50 miliardi di dollari in progetti infrastrutturali rimasti incompiuti. Un rapporto del Lowy Institute rivela che, mentre la Cina è il più grande finanziatore infrastrutturale della regione, solo il 35 percento dei suoi progetti è stato completato, rispetto al 64 percento del Giappone e al 53 percento della Banca asiatica di sviluppo.
Il Laos, attratto dalle promesse di sviluppo, per finanziare la ferrovia Boten-Vientiane ha contratto un debito enorme: 6 miliardi di dollari; poi ha subito una grave crisi finanziaria, che ha portato la Cina ad assumere il controllo del 90 percento della sua rete elettrica nazionale nel 2020. Per molte nazioni intrappolate nella Nuova via della Seta, questi prestiti infrastrutturali sono strumenti che Pechino usa per renderle economicamente dipendenti e politicamente vulnerabili al Pcc.

Oltre alla diplomazia del debito, la strategia economica di Pechino prevede anche lo scarico della produzione in eccesso nelle nazioni partner della Nuova via della Seta e l’inondazione dei mercati, come Cambogia, Nepal e Birmania (o Myanmar) con beni cinesi a basso costo. Questa pratica indebolisce le industrie locali, soffoca l’innovazione interna e crea una dipendenza economica di lungo termine.

Ancora più preoccupante, è come molti investimenti della Nuova Via della Seta abbiamo potenzialmente un duplice uso, cioè consentono al regime cinese di convertire le infrastrutture civili in militari, espandendo la propria presenza strategica nell’Oceano Indiano e anche oltre: porti e ferrovie costruiti sotto le mentite spoglie dell’uso commerciale, potrebbero fungere da hub logistici militari. E questo solleva gravi preoccupazioni per la sicurezza delle nazioni ospitanti.

Per le nazioni intrappolate nella rete di Pechino, il costo dell’“amicizia” del Pcc va ben oltre il debito finanziario: erode la sovranità, limita le scelte politiche e aggrava la dipendenza economica.
Le esperienze di Sri Lanka, Pakistan e Laos sono un severo monito su quanto il fascino degli investimenti cinesi spesso abbia un prezzo elevato. Invece di promuovere lo sviluppo, la Nuova Via della Seta lascia i Paesi gravati da un debito insostenibile, progetti incompiuti o inservibili e una maggiore vulnerabilità all’influenza del Pcc.

Mentre il Pcc continua a pubblicizzare la Nuova Via della Seta come un successo, la realtà dice una storia diversa. Nel 2023, 19 Paesi, tra cui Turchia e Kenya, hanno azzerato ogni accordo; mentre la Russia, che non aveva accordi nel 2022, ha firmato un solo accordo. Nel 2024, diversi altri Paesi avevano annullato o interrotto la Nuova Via della Seta, anche se gli investimenti in uscita complessivi della Cina sono aumentati del 10 percento. Ma questa cifra include tutti gli investimenti in uscita, non solo la Nuova Via della Seta; quindi non è indicativa del fatto che questa iniziativa stia prosperando. Gran parte di questo aumento è infatti attribuibile a investimenti estranei alla Nuova Via della Seta, come acquisizioni in settori ad alta tecnologia, altri accordi energetici, e iniezioni di capitale in imprese statali che operano all’estero.
Inoltre, l’elevata inflazione mondiale nel 2024 ha gonfiato le cifre degli investimenti, facendo sembrare che la Cina stesse espandendo i propri impegni all’estero quando, in realtà, l’aumento dei costi per materiali, manodopera ed energia ha semplicemente fatto aumentare gli importi.

Invece di generare una crescita vera, Pechino potrà senz’altro iniettare nuovi capitali per prevenire inadempienze, ristrutturare propri crediti o mantenere i propri punti d’appoggio in aree chiave, mentre i progetti infrastrutturali o si bloccano o producono reddito. Lungi dal segnalare il successo, quindi, i crescenti investimenti in uscita della Cina potrebbero riflettere il crescente onere finanziario nella sua lotta per sostenere la Nuova Via della Seta. Che non si sta più espandendo, anzi: si sta ritirando silenziosamente. Mentre sempre più nazioni ne riconoscono i rischi, e cercano di liberarsi dalla morsa del Pcc.

 

Antonio Graceffo, PhD, è un analista economico esperto di Cina che ha trascorso più di 20 anni in Asia; laureato alla Shanghai University of Sport, ha conseguito un MBA alla Shanghai Jiaotong University e ha studiato Sicurezza nazionale all’American Military University.

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