La “Fabbrica del mondo” sta chiudendo

di Redazione ETI/Lily Zhou
25 Aprile 2025 8:34 Aggiornato: 25 Aprile 2025 11:41

Gli esportatori cinesi stanno cercando disperatamente acquirenti interni. Molti hanno improvvisato sui social cinesi delle dirette streaming per tentare di smerciare in qualche modo i prodotti che erano destinati ai clienti stranieri e che ora stanno a prendere polvere nei magazzini. Alcune fabbriche hanno rallentato o sospeso la produzione.

Diversi colossi dell’e-commerce vogliono aiutare gli esportatori a riorientarsi verso il mercato interno, ma tutti gli esperti ritengono che i consumatori cinesi non possano colmare il vuoto lasciato dalle esportazioni. «Se la guerra commerciale continua, i danni all’economia cinese saranno ben maggiori rispetto a quelli causati all’economia americana» ci ha detto Wang He, esperto analista di affari cinesi.

IL CROLLO DELLE SPEDIZIONI

Ma Linhai, proprietario del marchio di moda Geling, ha pubblicato una diretta sui Douyin (la versione cinese di TikTok), in cui ha ripreso il deposito di container di Shenzhen. L’imprenditore ha mostrato che i 10 container dell’azienda di abbigliamento erano bloccati, con costi di stoccaggio per l’azienda di migliaia di yuan al giorno. Ora sta cercando di (s)vendere la merce con sconti dell’80%. Un altro esempio è quello dell’e-commerce Xiaohongshu, in cui decine di venditori sono andati in diretta mostrando i loro prodotti destinati agli Stati Uniti, ormai invendibili a causa dei dazi, dove si trovano sconti del 90 percento.

Nel frattempo, la società di consulenza marittima Drewry segnala aumenti delle cancellazioni per le rotte transpacifiche e transatlantiche, oltre che delle rotte per l’Asia e l’Europa, e prevede un ulteriore aumento delle cancellazioni: «La cancellazione delle prenotazioni continua a salire. E diverse navi potrebbero partire scariche dai porti cinesi fino a maggio». Anche Huatai Futures ha riferito che otto navi container, inizialmente dirette negli Stati Uniti, hanno dovuto cambiare rotta verso l’Europa.

Il calo delle spedizioni rappresenta un’allarmante cartina di tornasole per l’economia cinese, a conferma della sua forte dipendenza dalle esportazioni.

LA PRODUZIONE IN CRISI

Alcuni operai cinesi, attraverso i social, si sono lamentati della loro attuale situazione lavorativa, pubblicando gli avvisi delle aziende per cui lavorano. In una lettera diffusa online, i dipendenti di una fabbrica di abbigliamento sono stati “invitati” a prendere due settimane di congedo a salario minimo, in attesa di riprendere il lavoro non appena ci saranno nuovi ordini. La stessa sorte è toccata ai lavoratori di un’azienda di elettronica, con un congedo fissato fino al 10 maggio.

Il responsabile di un’azienda tessile cinese, che ha scelto di mantenere l’anonimato per ovvi motivi di sicurezza personale, ci ha detto che la sua fabbrica ha perso circa la metà degli ordini e che gli stipendi dei dipendenti sono stati dimezzati. La fonte ha anche confermato quello spesso ha denunciato l’amministrazione Trump, ovvero che la maggior parte dei prodotti della sua azienda veniva esportata negli Stati Uniti facendo prima tappa in Vietnam. Questa fabbrica esportava anche in Giappone, Unione Europea e Sudamerica, ma «con l’economia mondiale in crisi, nessuno compra più nulla», e molte altre fabbriche si trovano nella stessa situazione «se non guadagniamo prima o poi dovremo chiudere» ha concluso la nostra fonte.

Diversi colossi cinesi del commercio hanno annunciato un serie di iniziative per supportare gli esportatori. JD.com intende stanziare almeno 200 miliardi di yuan (circa 25 miliardi e 400 mila euro) per acquistare merci dagli esportatori. Freshippo, azienda di Alibaba, ha introdotto un cosiddetto “canale verde” sulla propria piattaforma, per consentire agli esportatori di vendere più facilmente nel mercato interno.

Ma per gli analisti, se da un lato l’alta qualità dei prodotti per l’esportazione è troppo costosa per il consumatore medio cinese, dall’altro, l’abbattersi di questo tsunami di prodotti a prezzi stracciati sul mercato interno cinese, innescherà una spirale di prezzi al ribasso che causerà l’uscita dal mercato di un numero enorme di imprese.

La Cina, insomma, sta imboccando la stessa strada di desertificazione industriale in cui la cosiddetta “globalizzazione” ha spinto tutte le economie occidentali, da ventitré anni a questa parte. Ovvero da quando alla dittatura comunista cinese è stato concesso di entrare a far parte dell’Organizzazione mondiale del Commercio.

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