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X Agosto
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla arde e cade,
perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!
Ogni estate, lo sciame meteorico delle Perseidi illumina il cielo notturno con una delle più spettacolari piogge di meteoriti dell’anno. Raggiunge il suo picco verso la metà agosto, in concomitanza con la festa di San Lorenzo, il giorno 10. La leggenda popolare vuole che le Perseidi, o stelle cadenti, siano le “lacrime di San Lorenzo”, il santo martire della prima Chiesa cristiana.
Martirizzato per la sua fede nel 258 d.C., Lorenzo era uno dei sette diaconi di Roma durante il governo dell’imperatore Valeriano, che emanò un editto secondo cui tutti i vescovi, i sacerdoti e i diaconi dovevano essere messi a morte. Lorenzo era stato incaricato di occuparsi dei beni materiali della Chiesa, ma quando seppe che sarebbe stato arrestato, donò denaro e beni ai poveri.
Quando il prefetto di Roma chiese al diacono di portargli il tesoro, Lorenzo riunì i poveri, i malati e gli orfani della città e li presentò al prefetto, dicendo: «Questi sono i tesori della Chiesa». Il prefetto lo condannò quindi a una morte lenta, ordinando che fosse bruciato vivo su una graticola.
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Stelle cadenti
Il 10 agosto di 1600 anni dopo, un’altra morte avvenuta nella notte ispirò i versi di una poesia, facendo eco alla leggenda popolare delle “lacrime di San Lorenzo”. In questa poesia, pubblicata il 9 agosto 1896, il poeta Giovanni Pascoli esordisce rivolgendosi al Santo e affermando di sapere perché tante stelle cadano dal cielo.
Il Pascoli scrive:
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla arde e cade,
perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
In tono quasi sommesso, l’autore rivela di non essere nuovo alla sofferenza. Quando aveva solo 12 anni, nel 1867, il padre fu assassinato il giorno della festa di San Lorenzo, mentre tornava a casa da un mercato a Cesena. I versi ci offrono uno spaccato del dolore infinito del Pascoli per questa morte insensata, che il poeta proietta su un piano cosmico, riconducendolo però allo stesso tempo nell’ambito più limitato del regno terreno. La morte del padre assume la grandezza del San Lorenzo celebrato e pianto dal cielo, ma è anche nell’immagine dell’umile morte di una rondine.
Rondine nidificante
Questi tre eventi assumono un significato ancora maggiore se accomunati alla morte di Cristo. Il martire morto per la fede, la rondine che porta il cibo al nido e il padre che muore portando doni alle figlie: ognuno di loro rivolge lo sguardo al cielo, non potendo più occuparsi di chi sta sulla Terra.
La similitudine a cui Pascoli ricorre nel descrivere la rondine come in croce, che tende/quel verme a quel cielo lontano, la accomuna alla morte dell’uomo del tutto innocente. Ogni essere nel poema viene ucciso nell’atto di dare, ma i viaggi della rondine e del padre del poeta restano incompiuti: essi offrono i loro doni al cielo lontano, mentre la casa e il nido vicini cadono nell’ombra.
Pascoli usa la parola “nido” sia per la dimora dell’uccello che per quella dell’uomo, per rappresentare la sicurezza e il calore avvolgente della famiglia e della casa: come in un cerchio completo, il nido è una dimora perfetta e duratura. Quando, in età avanzata, si trasferì con le due sorelle in una nuova casa, Pascoli disse che avrebbe costruito per loro un “nido”, un riparo dalle sofferenze che avevano conosciuto nell’infanzia: sarebbe stata la protezione per la famiglia contro ogni possibile intrusione dal mondo esterno.
L’ordine dal caos
Con l’ultima strofa, il Pascoli chiude il cerchio tornando alla riflessione sull’universo e le stelle. Dopo essersi soffermato sui fatti terreni, torna all’universale, trovando un nuovo senso in quella notte di stelle cadenti, e un ordine in eventi altrimenti incomprensibili e disordinati. Mentre il nido familiare può essere distrutto, crea metaforicamente un nuovo nido – il cerchio – dal gesto che ha fatto a pezzi il nido materiale.
Testimone delle atrocità dell’uomo sulla Terra, il Cielo si estende dall’alto dei mondi/sereni, infinito, immortale. In contrasto con la vasta distesa celeste di pace ed eternità, la Terra appare simile a un atomo opaco del Male, e le atrocità narrate nel poema si spostano d’un tratto su un palcoscenico minuscolo. La loro gravità è immutata, ma la forza della loro malvagità è travolta dal cielo che piange per l’ingiustizia del mondo: d’un pianto di stelle lo inondi/quest’atomo opaco del Male!
Versi che riecheggiano il diluvio biblico ordinato da Dio, quando vide la malvagità dell’uomo, per riportare il mondo allo stato precedente alla creazione. Il diluvio di stelle ci riporta all’inizio del poema con la prima immagine del gran pianto nella notte di San Lorenzo.
Nell’ultima strofa, al Pascoli si rivela che sebbene il male del mondo abbia distrutto quelle particolari vite, non è il vincitore finale: l’ultima parola spetta alla giustizia celeste. Sebbene gli orrori narrati nella poesia non vengano cancellati dalla memoria o dalla realtà, la prospettiva si sposta, per poterli guardare attraverso la lente dell’eternità e per mostrare ai lettori che sia la Natura che il Cielo partecipano al dolore causato da queste ingiustizie.