Il rilancio del nucleare è un tema molto discusso al governo, tra rischi derivanti, impatto ambientale e benefici. Dopo l’incidente di Chernobyl del 1987, le centrali nucleari in Italia sono state gradualmente dismesse, fino alla loro completa chiusura, nel 1990. L’incidente, che ebbe ripercussioni anche su altre nazioni vicine, fu causato dalla negligenza degli operatori oltre che da una progettazione inadeguata del reattore RBMK-1000.
Le nuove tecnologie nucleari tuttavia, sono molto diverse da quelle di 40 anni fa, soprattutto in termini di sicurezza, e sono utilizzate da molti Paesi europei e non: «Sono assolutamente convinto che l’Italia non possa più tenersi fuori dal club dei grandi Paesi che hanno anche il nucleare nel loro mix energetico: Stati Uniti, Cina, Giappone, Russia e Francia». Ha dichiarato il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini.
I RISCHI DEL NUCLEARE
Ma qual è il reale rischio che questa tecnologia comporta? Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, l’energia nucleare ha uno dei tassi di mortalità per terawattora più bassi tra le fonti energetiche, ovvero 0,04 morti/TWh, rispetto al carbone con i suoi 24,6 e il petrolio con 18,4. In base a questi dati quindi, se il nucleare è ben gestito, è meno pericoloso di altre fonti in termini di impatto immediato sulla salute umana.
Ma se il nucleare con le tecnologie attuali non è intrinsecamente pericoloso, i rischi di incidenti rari ma gravi e la gestione scorie sono temi che richiedono una gestione impeccabile. La sicurezza nucleare è regolata dall’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, che impone requisiti rigorosi per la progettazione, il funzionamento dei reattori e la risposta agli incidenti. I reattori di terza generazione sono dotati di sistemi passivi di raffreddamento e contenimento per ridurre i rischi al minimo. In Francia (che produce il 70% di energia dal nucleare) l’Autorité de Sûreté Nucléaire effettua rigidi controlli, e dichiara un tasso di incidenti gravi prossimo allo zero da vari decenni.
Per quanto riguarda lo smaltimento delle scorie, circa 30 mila metri cubi di rifiuti radioattivi sono stoccati in 23 depositi temporanei in Italia, che non sono adeguati per la sicurezza a lungo termine, tuttavia il governo Meloni punta alla realizzazione di un Deposito nazionale entro il 2039, secondo il ministro Pichetto Fratin. Sogin Spa, la società pubblica italiana responsabile dello smantellamento delle centrali nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi, ha confermato che circa 1.680 tonnellate di combustibile nucleare esausto sono state spedite negli anni passati in Francia e Regno Unito per il ritrattamento, con il rientro in patria fissato per quest’anno.
I REFERENDUM
Ma il governo è in grado di riportare il nucleare In Italia, considerato l’esito dei due referendum del 1987 e del 2011? Entrambi erano referendum abrogativi, cioè consentono ai cittadini di cancellare specifiche norme o leggi mediante voto popolare. Il primo referendum ha visto l’approvazione di tre quesiti abrogativi: il primo ha eliminato compensazioni economiche ai comuni per ospitare le centrali nucleari, il secondo ha tolto all’Enel il potere di scegliere i siti senza consultazione locale, e il terzo ha abrograto l’autorità del Cipe (il vecchio Comitato interministeriale della programmazione economica, oggi Cipess) di decidere la costruzione di centrali nucleari in caso di inerzia (cioè mancanza di azione o ritardo nel decidere) delle Regioni. Il referendum del 2011, durante il governo Berlusconi, ha abrogato invece la definizione di un programma per la localizzazione, costruzione ed esercizio di impianti nucleari.
Alla luce di questi fatti, quindi, non è mai stata abrogata una legge che autorizzasse esplicitamente a fare centrali nucleari, ma sono state cancellate solo delle norme procedurali che ne facilitavano la realizzazione.