Il regime cinese è tra i maggiori responsabili di atti persecutori al mondo, secondo gli ultimi dati dell’organizzazione per i diritti umani Freedom House. L’organizzazione no profit, con sede a Washington, ha documentato 160 episodi di persecuzione e repressione a livello internazionale da parte di 23 governi e regimi nei confronti di 34 Paesi nel 2024. I metodi impiegati vanno dagli assassinii ai rapimenti, dalle aggressioni alle detenzioni e alle deportazioni illegali.
Pechino è tra i principali responsabili insieme a Uganda, Cambogia, Russia e Iran. I principali bersagli sono attivisti politici in esilio, giornalisti, ex membri dei regimi e di minoranze etniche o religiose. Lo studio ha registrato 1219 casi di persecuzione fisica tra il 2014 e il 2024. Il Pcc in testa alla classifica, con 272 episodi, ovvero il 22% dei casi.
«Queste forme di persecuzione sono una minaccia per la democrazia, la libertà e la sicurezza in tutto il mondo» ha affermato Yana Gorokhovskaia, direttrice del team ricerca e analisi di Freedom House. Secondo Lai Rongwei, presidente della Taiwan Inspirational Association, un’associazione no profit e filodemocratica, l’analisi è «reale e attendibile», ha inoltre aggiunto che «dato che Taiwan è nelle fauci della Cina, i vari mezzi di infiltrazione di Pechino stanno prendendo sempre più il controllo e la situazione peggiora sempre di più». E nel 2019-20, dopo la violenta repressione del movimento filodemocratico di Hong Kong e le proteste contro la legge sull’estradizione, molti cittadini si sono rifugiati a Taiwan per sfuggire alla persecuzione del Pcc: «Durante gli eventi organizzati da alcune associazioni di Hong Kong a Taiwan e le commemorazioni del massacro di Tiananmen, arrivano spesso a creare problemi molti gruppi filo-cinesi sostenuti da Pechino».
Il presidente della Taiwan Inspirational Association spiega che la sua associazione osserva da tempo il Pcc fare uso di metodi sia formali che non per attuare la repressione all’estero. «I metodi formali prevedono l’uso di mezzi diplomatici ed economici, come sanzioni commerciali e aiuti finanziari per costringere gli altri Paesi ad allinearsi alla posizione della Cina». E il regime utilizza anche mezzi tecnologici per prendere di mira i dissidenti all’estero, ad esempio monitorandone le attività online, hackerandneo i telefoni e inviando agenti cinesi a dare la caccia ai cosiddetti “nemici all’estero”.
«Impiegano anche agenti locali, come spie e informatori all’interno di gruppi che promuovono la Cina, nelle società di vari Paesi. Gli agenti locali spesso sono anche dei soggetti faziosi, corrotti da Pechino da lungo tempo» ha detto. «Queste persone mirano a rafforzare l’influenza del Pcc a livello locale e spesso molestano e minacciano chi ritengono ostile alla Cina. Molte persone, dai politici ai civili, sono state molestate da questi individui». Nel 2022 si è scoperto che il Pcc ha creato diverse stazioni di polizia segrete in Occidente per attuare una repressione su scala globale contro dissidenti, attivisti per i diritti umani e minoranze religiose. «Per mettere in atto i propri piani, la Cina adotta ogni mezzo possibile, incluso l’uso di agenzie di sicurezza nazionale e di intelligence» spiega infatti Yeau-Tran Lee, professore alla National Chengchi University di Taiwan, «il Pcc comanda un numero enorme di agenti di intelligence e sicurezza. Dopo la repressione del movimento filodemocratico di Hong Kong nel 2019, un gran numero di agenti è stato trasferito all’estero, intensificando la persecuzione del regime in altri Paesi».
Tutto questo produce anche un effetto a catena: mettendo a tacere cinesi all’estero e stranieri che sono contrari alle atrocità commesse dal Partito comunista cinese, si crea una forma di autocensura per cui le persone diventano restie a denunciare i crimini del regime cinese.