Un programma di riforme economiche. È il tema al centro della missione del team del Fondo monetario internazionale (Fmi) che si recherà in Libano la prossima settimana, dal 10 al 14 marzo, in un Paese mai ripresosi della crisi finanziaria del 2019, la peggiore della sua storia, e che dalla fine dello scorso novembre vive un fragile cessate-il-fuoco dopo due mesi di guerra al culmine di un lungo periodo di tensione tra Israele e Hezbollah, ulteriore fronte del conflitto nella Striscia di Gaza. Proprio stanotte le Forze di difesa israeliane hanno condotto una serie di raid aerei nel sud del Libano, prendendo di mira — secondo l’esercito — siti militari di Hezbollah.
Da lunedì gli inviati dell’istituto con sede a Washington avranno l’obiettivo di incontrare il governo presieduto da Nawaf Salam e iniziare a lavorare su questioni relative allo sviluppo economico e alla ricostruzione del Paese dei cedri, ha fatto sapere la portavoce dell’Fmi, Julie Kozack, nella prospettiva di un nuovo programma di aiuti.
Nei giorni scorsi, l’Fmi aveva dichiarato di essere aperto a un accordo di prestito con il Libano, a seguito di contatti col ministro delle Finanze, Yassine Jaber, da poco insediatosi assieme all’esecutivo dopo oltre due anni di stallo istituzionale, superato con l’elezione, il 9 gennaio, del presidente della Repubblica, Joseph Aoun.
Lo stesso ministro Jaber ha assicurato che il nuovo governo di Beirut è determinato ad avanzare con le riforme necessarie per migliorare i sistemi finanziari e doganali della nazione, sollecitando l’attuazione delle correzioni necessarie. “La nostra priorità è rafforzare la trasparenza finanziaria, migliorare l’ambiente imprenditoriale e aumentare l’efficienza nella riscossione delle entrate per sostenere l’economia nazionale”, ha affermato Jaber durante una serie di incontri con i direttori delle finanze pubbliche e delle dogane.
Il Libano continua a trovarsi in una profonda crisi economica e finanziaria, aggravata da anni di cattiva gestione, instabilità politica e corruzione. E le operazioni belliche dello scorso autunno hanno aggravato una realtà caratterizzata da livelli di debito aumentati e una popolazione che si trova costretta ad affrontare un’inflazione galoppante, a cui si deve aggiungere l’emergenza per oltre un milione di persone fuggite dal sud del Paese a causa degli attacchi israeliani di cui, secondo l’Onu, circa 100 mila sono a tutt’oggi sfollate. Un fardello insostenibile per un Paese caduto in default nel marzo del 2020, quando Beirut non riuscì a ripagare la tranche da 1,2 miliardi di dollari relativa a un eurobond emesso nel 2010 e che valeva 30 miliardi.
Nel 2021 l’Onu aveva stimato che oltre l’80 per cento della popolazione vivesse in uno stato di povertà multidimensionale, in contesto in cui il deprezzamento della lira libanese ha continuato a erodere i salari. Tra gennaio 2023 e gennaio 2024, l’inflazione ha fatto registrare un tasso del 177,25 per cento su base annua.
Da tempo l’Fmi ha posto condizioni rigide affinché il Libano possa ottenere i fondi necessari per stabilizzare l’economia. Uno dei punti più critici nelle trattative riguarda la crisi dei depositi bancari bloccati. Da anni, migliaia di cittadini e imprese non possono accedere ai propri risparmi, aggravando il deterioramento economico e sociale del Paese. L’organizzazione di Washington ha sollecitato riforme strutturali, raccomandando la creazione di un’autorità indipendente per monitorare la gestione dei fondi pubblici e garantire che il denaro destinato agli aiuti e agli investimenti non si polverizzi tra le pieghe della corruzione.