Il cervello si purifica ogni notte, come aiutarlo a ripulirsi?

di Redazione ETI/Flora Zhao
31 Gennaio 2025 11:14 Aggiornato: 31 Gennaio 2025 12:40

Quando ci si addormenta, il cervello inizia a ripulirsi dai rifiuti. Questo sistema di pulizia del cervello è più attivo durante il sonno profondo. Il cervello produce continuamente diversi rifiuti, e se non vengono eliminati regolarmente, il malessere è garantito: annebbiamento mentale, affaticamento e persino deterioramento cognitivo. Ma è possibile evitare tutto questo ottimizzando l’eliminazione delle scorie durante la notte.

COME SI ELIMINANO LE SCORIE?

Il cervello umano è uno degli organi metabolicamente più attivi; rappresenta infatti circa il 20% del dispendio energetico totale dell’organismo. Questo elevato livello di attività genera una quantità di rifiuti significativi. I sottoprodotti più piccoli, come anidride carbonica, urea e ammoniaca, si diffondono nei capillari e vengono eliminati attraverso il flusso sanguigno. Le proteine neurotossiche più grandi, tra cui la beta-amiloide e la tau, entrambe strettamente legate a diverse malattie neurodegenerative e in particolare al morbo di Alzheimer, non possono essere eliminate solo attraverso il flusso sanguigno a causa delle loro dimensioni.

In passato si riteneva che il cervello non disponesse di un sistema linfatico per la rimozione dei rifiuti e che si affidasse esclusivamente a meccanismi interni per l’eliminazione. Nel 2012, tuttavia, i ricercatori hanno scoperto un meccanismo specializzato all’interno del cervello, simile al sistema linfatico e in grado di rimuovere i prodotti di scarto più grandi dalle profondità dell’organo. Questo sistema è chiamato sistema glinfatico o pseudo-linfatico.

Come il cervello elimina i rifiuti attraverso il sistema glinfatico. Illustration by The Epoch Times

Le arterie cerebrali sono circondate da una struttura simile a una guaina e il liquido cerebrospinale scorre nello spazio tra le arterie e questa guaina. Durante il sonno, i vasi sanguigni del cervello si restringono, aumentando lo spazio tra i vasi stessi e la guaina, il che consente l’ingresso di una maggiore quantità di liquido cerebrospinale. Quando le arterie pulsano, il liquido cerebrospinale viene pompato attraverso il tessuto cerebrale, rimuovendo dagli spazi più profondi tra le cellule i rifiuti, come le proteine beta-amiloide e tau, per poi eliminarli dal cervello.

IL SONNO PROFONDO

«Durante la veglia, i processi di rimozione dei rifiuti nel cervello sono minimi. Si tratta di un processo che avviene soprattutto nelle fasi di sonno profondo», spiega Moira Junge, presidente della Sleep Health Foundation in Australia e professore clinico associato presso la Monash University.

Il sonno si divide in due stati: il sonno con movimento rapido degli occhi (Rem) e il sonno con movimento non rapido degli occhi (Nrem). L’Nrem costituisce il 75% del tempo totale di sonno ed è ulteriormente suddiviso in tre stadi, N1, N2 e N3, ognuno dei quali riflette livelli di sonno progressivamente più profondi. Durante la fase N3, le onde cerebrali sono più lente, spiega la professoressa Junge: «È un sonno così profondo che ci impedisce di essere facilmente disturbati dall’ambiente esterno; per esempio, non si sente il cane abbaiare fuori o non si sente il partner venire a letto».

Durante il sonno, il corpo passa attraverso queste fasi in sequenza, formando un ciclo completo di sonno della durata di circa 90 minuti. Nel corso della notte, una persona sperimenta in genere 4 o 5 cicli di sonno.

Le fasi del sonno. Immagine di The Epoch Times

Il sistema glinfatico diventa più attivo durante il sonno, soprattutto quello profondo, consentendo una più efficace eliminazione delle scorie, spiega Jingduan Yang, psichiatra e fondatore dello Yang Institute of Integrative Medicine in Pennsylvania.

In uno studio sui topi pubblicato su Science, i ricercatori hanno utilizzato dei traccianti per monitorare i cambiamenti nel flusso del liquido cerebrospinale, scoprendo che, durante il sonno, lo spazio interstiziale o intermedio, si espandeva di oltre il 60% e l’afflusso di traccianti aumentava. Il tasso di eliminazione della beta-amiloide da parte del cervello raddoppiava durante il sonno (o sotto anestesia) rispetto allo stato di veglia.

ACCUMULO DI BETA-AMIOLIDE

Purtroppo, oggi si dorme meno che mai. Secondo un sondaggio di Gallup del dicembre 2023, solo il 42% degli americani ritiene di dormire abbastanza. Una persona su cinque dorme meno di 5 ore a notte, rispetto al 3% del 1942. La minore durata del sonno può essere attribuita anche al fatto che le persone vanno a letto più tardi. E oltre ad andare a letto più tardi e a dormire meno, si dorme anche male. Secondo l’American Psychiatric Association, oltre 50 milioni di persone negli Stati Uniti soffrono di disturbi cronici del sonno, come insonnia e apnea notturna. Questi problemi riducono e disturbano direttamente il sonno profondo, accorciando la finestra critica durante la quale il sistema glinfatico lavora al massimo dell’efficienza. E questo, a sua volta, porta a un maggiore accumulo di scorie nel cervello.

Le persone che hanno problemi di sonno, infatti, hanno un carico di amiloide maggiore nelle regioni cerebrali sensibili al morbo di Alzheimer.

Uno studio sull’uomo del 2021 ha rilevato che anche una sola notte di privazione del sonno può compromettere la capacità del cervello di eliminare le scorie durante la giornata successiva.
E un precedente studio clinico ha dimostrato come un sonno regolare riduca le proteine di amiloide-beta, mentre una privazione del sonno contrasta questo effetto. Inoltre, più lunga è la durata del sonno, a condizione che non sia eccessiva, maggiore è la riduzione dei biomarcatori di beta-amiloide.

I SINTOMI DI TOSSICITA’

L’accumulo di scorie nel cervello può portare a diversi sintomi. Ad esempio, se queste scorie non vengono eliminate e continuano ad accumularsi, può diventare difficile mantenere la lucidità mentale, spiega ancora la professoressa Junge. E «il sintomo più comune è il declino delle funzioni cognitive», tra cui la perdita di memoria, la difficoltà di concentrazione e la difficoltà nel gestire compiti complessi, spiega il dottor Yang.

L’accumulo a lungo termine di questi prodotti di scarto può anche influire sull’umore, provocando ansia, depressione o irritabilità.  Il dottor Yang sostiene inoltre che questo accumulo può essere direttamente collegato a diverse malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer o il Parkinson, poiché entrambe sono strettamente associate all’accumulo di proteine beta-amiloidi e tau nel cervello.

Uno studio longitudinale del 2021, con un follow-up medio di 25 anni e che ha coinvolto 7.959 adulti anziani, ha rilevato come i soggetti che dormivano costantemente meno di 6 ore a notte avessero un rischio del 30% più elevato di sviluppare demenza rispetto a chi dormiva 7 ore.
E un altro studio del 2019 che ha seguito oltre 13.000 anziani olandesi per una media di 8 anni, ha dimostrato che il declino della qualità e la riduzione della durata del sonno aumentano il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson nei 6 anni successivi, rispettivamente del 76% e del 72%.

OTTIMIZZARE LA FUNZIONE GLINFATICA

Un dato interessante è che il sonno profondo dura più a lungo durante i primi cicli di sonno (la prima metà della notte), mentre in tutti i cicli successivi si accorcia gradualmente o può non verificarsi affatto.

Questo cambiamento riflette, in qualche misura, la priorità data dal cervello ai processi di pulizia e riparazione. «È probabile che il sistema glinfatico lavori di più nella prima metà del sonno perché questo periodo comprende periodi più lunghi di sonno profondo (N3), dove il sistema è più efficiente», spiega Kiminobu Sugaya, professore di medicina presso l’University of Central Florida, «quando la notte avanza e la durata del sonno profondo diminuisce, il sistema può continuare a funzionare, ma probabilmente con minore efficienza. Per ottimizzare l’eliminazione delle scorie cerebrali attraverso il sistema glinfatico, è importante allineare il sonno al ritmo circadiano naturale dell’organismo», spiega il professor Sugaya sottolineando che andare a letto prima favorisce il sonno profondo durante la prima parte della notte.

ANDARE A LETTO TRA LE 22 E LE 23

Le ricerche hanno dimostrato effetti significativi del ritmo circadiano sul sistema glinfatico e sulla distribuzione del liquido cerebrospinale. «L’ora ideale per andare a letto dovrebbe essere in linea con il ritmo circadiano del corpo, in genere tra le 22 e le 23», spiega il dottor Yang, facendo eco al parere del professor Sugaya. Il professore, tuttavia, consapevole come il ritmo della vita moderna renda difficile, per molte persone, andare a letto presto, consiglia di non coricarsi comunque oltre la mezzanotte, perché questo può compromettere le funzioni di “riparazione” e pulizia del cervello.

Secondo il dottor Jonathan Liu, medico e docente di medicina tradizionale cinese presso l’Ontario Public College, il periodo tra le 21 e le 23 corrisponde alla circolazione dell’energia nel corpo. Essere andati a dormire entro questa fascia oraria può quindi permettere di riequilibrare l’energia e di aumenta la produzione di melatonina.

Tuttavia, la professoressa Junge sostiene che alcune persone abbiano modelli di sonno diversi, cone “orologi biologici” ritardati; il che significa che la produzione di melatonina e l’inizio del sonno avvengono più tardi rispetto a quelli delle persone mattiniere, motivo per cui tendono a rimanere svegli fino a tardi, e quindi a svegliarsi più tardi. Per cui, anche se queste persone vanno a letto dopo la mezzanotte, alzarsi dopo le 9 del mattino può comunque garantire un riposo sufficiente.

DORMIRE SU UN LATO

La postura durante il sonno influenza direttamente l’eliminazione delle scorie dal cervello. Il sistema glinfatico funziona in modo più efficiente in posizione laterale rispetto a quando si dorme sulla schiena o sullo stomaco. Il sonno prono (a pancia in giù) compromette il flusso sanguigno cerebrale e aumenta l’attività nervosa simpatica, innescando il rilascio di ormoni dello stress che sopprimono la funzione linfatica. Al contrario, il sonno laterale riduce il tono simpatico, migliorando l’afflusso linfatico.

Alcuni esperti suggeriscono persino che dormire sul lato destro sia più vantaggioso che dormire sul lato sinistro: con il cuore posizionato più in alto, la circolazione sanguigna migliora e il ritorno venoso aumenta, consentendo al cuore di lavorare in modo più efficiente mantenendo bassa l’attività nervosa simpatica.

Uno studio del 2019 ha rilevato che i pazienti affetti da malattie neuro-degenerative, come il decadimento cognitivo lieve, il morbo di Alzheimer, la demenza a corpi di Lewy e il morbo di Parkinson, hanno una probabilità significativamente maggiore di trascorrere oltre 2 ore a notte dormendo sulla schiena. I ricercatori hanno infatti ipotizzato che la forza di gravità influenzi il movimento e la distribuzione del sangue nel cervello, suggerendo che la posizione della testa possa influenzare la capacità del cervello di pulirsi dalle proteine in modo efficiente. Per cui, una pulizia inefficiente dovuta a una cattiva posizione durante il sonno può aggravare le patologie neuro-degenerative.

Questo perché l’associazione tra disturbi del sonno e neuro-degenerazione può essere bidirezionale, in quanto i disturbi del sonno possono alternativamente causare o derivare da processi neuro-degenerativi nel cervello. D’altra parte, la presenza di disturbi clinici del sonno è stata a sua volta collegata a un aumento del rischio di future malattie neuro-degenerative; un recente studio, ad esempio, ha rilevato che i pazienti con insonnia primaria da giovani adulti hanno un rischio maggiore di sviluppare demenza rispetto a quelli non affetti da insonnia primaria.

ESERCIZIO FISICO, RESPIRAZIONE E MEDITAZIONE

La capacità del cuore di pompare il sangue e la pulsazione delle arterie cerebrali sono strettamente legate all’efficienza del sistema glinfatico. Più il cuore pompa sangue a ogni battito e più forti sono le pulsazioni delle arterie, più il liquido cerebrospinale fluisce nel tessuto cerebrale per espellere le scorie.

Tuttavia, alcune patologie cardiovascolari possono compromettere queste funzioni. Ad esempio, è stato dimostrato che l’ipertensione ostacola la funzione glinfatica. Sebbene infatti l’ipertensione non modifichi il diametro delle arterie, altera le pulsazioni delle pareti arteriose, influenzando il flusso del liquido cerebrospinale.

L’esercizio fisico migliora inoltre la funzione cardiopolmonare e aiuta a regolare la pressione sanguigna. Utilizzando la risonanza magnetica in tempo reale, i ricercatori hanno infatti scoperto che la respirazione influenza in modo significativo l’efficienza del flusso del liquido cerebrospinale.

Durante il sonno, la respirazione guida il flusso del liquido cerebrospinale attraverso il sistema glinfatico. La respirazione superficiale riduce la pressione nel torace, diminuendo indirettamente la pressione nel cranio. Per cui, l’aumento della capacità polmonare attraverso un regolare esercizio fisico e le tecniche di respirazione profonda, possono migliorare la respirazione durante il sonno.

Un altro modo efficace per migliorare la funzione glinfatica e sostenere la salute del cervello è la meditazione, come spiega la professoressa Junge: «è dimostrato che la meditazione può aiutare a dormire». Uno studio del 2022 ha poi rilevato che la meditazione mindfulness ha migliorato significativamente sia la durata che la qualità del sonno in 106 adulti anziani con insonnia.
Lo stress innesca il rilascio di noradrenalina, un ormone che aumenta la vigilanza e inibisce la secrezione del liquor e restringe lo spazio tra le cellule cerebrali, limitando il flusso del liquor e compromettendo la funzione glinfatica. Uno studio prospettico randomizzato ha rilevato che dopo 14 settimane di pratica di meditazione, i livelli di noradrenalina nel sangue dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca congestizia sono diminuiti di circa il 43%.

È stato anche dimostrato che la meditazione aumenta il flusso di sangue al cervello. Uno studio del 2022 ha rilevato che dopo 8 settimane di programma di riduzione dello stress basato sulla mindfulness, un gruppo di anziani, con età media di 79 anni, ha registrato un aumento significativo del flusso sanguigno cerebrale in diverse regioni del cervello, anche a riposo. I loro cervelli hanno anche mostrato cambiamenti positivi nelle funzioni di attenzione e memoria.

«Il cervello consuma molta energia e, durante il sonno, l’energia e il metabolismo diminuiscono; quindi, possiamo destinare più energia al sistema glinfatico», ha spiegato il dottor Sugaya, sottolineando che questo è il motivo per cui, durante la notte, abbiamo un “lavaggio” migliore. Ha anche osservato che durante il sonno, poiché i neuroni non sono molto impegnati, lo spazio tra loro si espande. Questi fattori collaborano in modo ottimale per eliminare le scorie.

Le persone sono abituate ad anteporre il lavoro, il divertimento o gli obiettivi di fitness a un sonno adeguato, aggiunge il dottor Junge, ma «non è mai troppo tardi per rendere il sonno una priorità».

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