I dazi del presidente Trump su Canada e Messico sono entrati in vigore, mentre le tariffe statunitensi sulla Cina sono raddoppiate. A partire dal 4 marzo, i beni importati dai vicini nordamericani saranno soggetti a dazi del 25%, ha confermato il presidente. Lo scorso anno, l’economia statunitense ha importato quasi mille miliardi di dollari di beni dai suoi due principali partner commerciali.
Trump ha emanato un ordine esecutivo per modificare l’attuale dazio del 10% alla Cina, portandolo al 20% dal 4 marzo. Questa misura interesserà oltre 400 miliardi di dollari di beni cinesi. Le speranze di una svolta dell’ultimo minuto sono svanite quando il presidente ha confermato alla stampa, durante un evento alla Casa Bianca il 3 marzo: «non c’è più spazio per il Messico o per il Canada».
«Quindi, dovranno subire i dazi» che «entrano in vigore domani», ha poi detto Trump ricordando le vite perse a causa della «grande quantità di fentanyl» affluita negli Stati Uniti: «Arriva dal Canada e dal Messico, e questa è una cosa importante da dire».
In un’intervista con la Cnn il 3 marzo, il ministro del Commercio Howard Lutnick ha plaudito agli sforzi di Canada e Messico nel frenare il flusso di immigrati clandestini, ma ha esortato i due Paesi a fare di più per fermare il traffico di fentanyl verso gli Stati Uniti: «hanno fatto un buon lavoro alla frontiera. Non hanno fatto abbastanza sul fentanyl».
Nel frattempo, l’amministrazione non ha segnalato l’intenzione di approvare ulteriori esenzioni o eccezioni ai nuovi dazi, oltre a quelli già concessi all’industria petrolifera canadese, che sarà soggetta a un dazio ridotto del 10%. Trump ha affermato che i produttori possono evitare il pagamento dei dazi costruendo «le loro fabbriche di automobili e altre cose negli Stati Uniti».
Ha inoltre lasciato intendere che altri dazi sono in arrivo, facendo riferimento al suo piano dei dazi reciproci, una misura ritorsiva che aumenterà i dazi statunitensi per allinearli ai livelli imposti da altri Paesi, ma andrà oltre i semplici dazi sulle importazioni, concentrandosi anche su barriere commerciali di natura regolatoria.
LA REAZIONE DEL CANADA
I funzionari canadesi hanno risposto rapidamente alla notizia. Il ministro degli Esteri canadese Melanie Joly ha confermato che il governo federale è pronto ad avviare dazi di ritorsione, come delineato dal primo ministro Justin Trudeau a febbraio. Il primo pacchetto prevede dazi del 25% su oltre 20 miliardi di dollari di beni statunitensi, tra cui caffè, succo d’arancia e vino. Il secondo round includerà ulteriori dazi su circa 86 miliardi di dollari di prodotti, tra cui automobili, camion, acciaio e alluminio.
«Sappiamo che questa è una minaccia esistenziale per noi e ci sono migliaia di posti di lavoro in Canada a rischio» ha dichiarato la Joly «Se gli Stati Uniti decidessero di lanciare la loro guerra commerciale, saremo pronti. Noi non la stiamo cercando. Noi non lo vogliamo». Il neoeletto premier dell’Ontario Doug Ford ha minacciato di interrompere la fornitura di elettricità dalla sua provincia verso diversi stati americani: «Se vogliono provare ad annientare l’Ontario, farò qualsiasi cosa, incluso tagliare loro l’energia, con un sorriso sul volto» ha dichiarato Ford nella sua prima conferenza stampa dopo la terza vittoria elettorale, «Devono provare dolore. Loro vogliono attaccarci duramente? Noi dobbiamo rispondere il doppio più duramente».
L’Ontario è un importante esportatore di elettricità verso Michigan, Minnesota e New York; rimuoverà gli alcolici statunitensi dagli scaffali e cancellerà tutti i contratti con Starlink di Elon Musk, ha aggiunto Ford. Prima che i dazi di Trump entrassero in vigore, la banca centrale del Canada, le associazioni imprenditoriali e gli economisti bancari avevano avvertito del significativo impatto che queste misure commerciali avrebbero avuto sull’economia canadese.
Tiff Macklem, governatore della Banca del Canada, ha avvertito che il Paese subirà un «cambiamento strutturale» poiché dazi generalizzati «cancellerebbero la crescita» ha dichiarato Macklem in un discorso del 21 febbraio ,«Con le esportazioni verso gli Stati Uniti che rappresentano circa un quarto del nostro reddito nazionale, lo shock si farebbe sentire in tutto il Canada».
LA REAZIONE DEI MERCATI
I mercati finanziari hanno aperto la settimana in forte calo, con le tre principali borse che hanno registrato pesanti vendite. L’indice Dow Jones Industrial Average, composto da titoli blue-chip, è crollato di 649,67 punti, ovvero dell’1,48%, chiudendo a 43.191,24. Il Nasdaq Composite, dominato dai titoli tecnologici, ha perso 497,09 punti, pari al 2,64%, attestandosi a 18.350,19. L’S&P 500 ha ceduto 104,78 punti, ovvero l’1,76%, chiudendo a 5.849,72.
Gli investitori avevano in gran parte ignorato il dibattito sui dazi del presidente, ma ora hanno realizzato che non si trattava solo di una tattica negoziale della presidenza Trump 2.0, ha affermato Chris Zaccarelli, direttore degli investimenti di Northlight Asset Management. «La cautela che abbiamo consigliato per tutto l’anno è stata in gran parte ignorata dal mercato, ma nulla di ciò che sta accadendo oggi è una sorpresa: questi dazi erano stati ampiamente annunciati, ma gli investitori non volevano credere che Trump facesse sul serio, nonostante lo avesse ripetuto più volte» ha dichiarato Zaccarelli.
Secondo lui, il mercato azionario potrebbe subire ulteriori ribassi man mano che gli operatori iniziano a scontare il possibile impatto economico dei dazi. Sebbene i dazi possano non favorire l’economia nella sua struttura attuale, per Mark Malek, direttore degli investimenti di Siebert Financial, la fiducia dei consumatori in calo potrebbe rappresentare un problema ancora maggiore. «Un calo della fiducia porta a una riduzione della spesa, che a sua volta conduce a una crescita del Pil inferiore o negativa» ha affermato Malek, «Ricordiamo che i consumatori fiduciosi consumano, e i consumi trainano la crescita economica».
A confermare questo trend, l’indice di fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan per febbraio e l’indice di fiducia dei consumatori della Conference Board sono scesi ai livelli più bassi rispettivamente dal novembre 2023 e dal giugno 2024. L’ultima previsione del modello GDPNow della Federal Reserve di Atlanta indica che il Pil del primo trimestre registrerà una contrazione del 2,8%. Nonostante il ritorno dei timori di recessione a Wall Street, gli analisti di ITR Economics non ritengono che gli Stati Uniti siano diretti verso una recessione causata dal commercio.
«L’analisi macroeconomica di ITR indica che i dazi non spingeranno gli Stati Uniti in recessione. I dati non supportano questa ipotesi» ha dichiarato la società in una nota di ricerca del 27 febbraio «Il commercio, in proporzione, non rappresenta una fetta così ampia del Pil statunitense e l’economia degli Stati Uniti è la più grande del pianeta».