Quando questa settimana Trump ha annunciato 90 giorni di tempo per negoziare sui dazi imposti, i mercati finanziari e il mondo pare abbiano tirato un sospiro di sollievo. Molti vedono i dazi come il male, ma la realtà è diversa. Adam Smith immaginava Scozia e Portogallo scambiarsi lana e vino, per un guadagno reciproco, e ancora oggi tanti economisti si ispirano a questa idea per sottolineare i benefici del commercio internazionale.
Ma il commercio moderno è ben diverso dal Seicento scozzese. Ai tempi di Smith, la Scozia non poteva produrre vino per via del clima freddo e umido. In quel momento storico, ogni Paese aveva una sorta di monopolio su ciò che produceva, in modo simile agli attuali produttori di petrolio. Oggi, invece, il commercio vive di sinergie. Quando le industrie di un settore si uniscono in un’area come la finanza a New York e Londra o la tecnologia nella Silicon Valley, diventano più forti e competitive sui mercati internazionali. Lo stesso vale per i beni esportati. La Cina ha sviluppato un sistema di fabbriche e fornitori che domina la produzione mondiale, ma questo primato non è intoccabile.
Il commercio moderno sfugge alle idee di Smith anche per un altro motivo: il denaro viaggia ovunque, i lavoratori no. Oggi un’azienda può investire in un robot che produce lo stesso, allo stesso costo, negli Stati Uniti, in Cina, in Africa o in Europa. Questo cambia tutto. Anche i dazi funzionano diversamente: quando i Paesi collaborano, dei dazi bassi arricchiscono tutti; ma in uno scontro commerciale, alzarli troppo può causare grosse perdite. Per gli Stati Uniti, affrontare un rivale economico come la Cina, che gioca sporco a livello commerciale, è un’azione che può portare i suoi frutti.
Nel 2014, l’economista Ralph Ossa, esponente dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, ha dimostrato che gli Stati Uniti possono trarre vantaggio da dazi ben più alti del 2,5%, addirittura fino al 60%, a seconda dei prodotti e dei Paesi rivali. Questa è la chiave per capire l’attuale strategia di Trump. Facendo accordi di libero scambio con Paesi come Vietnam, India, Messico, Canada, Europa e Giappone, e imponendo dei pesanti dazi alla Cina, gli Stati Uniti e i loro alleati prosperano, mentre Pechino perde colpi.
Il commercio internazionale è molto complesso. Pensare che ogni dazio imposto sia un errore è un’illusione smentita dai fatti. Uno studio del National Bureau of Economic Research ha scoperto che, durante il primo mandato di Trump, il 90% del crollo delle esportazioni americane verso la Cina non veniva da normali dinamiche di mercato, ma piuttosto da normative o divieti cinesi emanati dietro le quinte. Una democrazia forte si nutre di un dibattito aperto, mette in discussione i leader e usa i fatti per negoziare con la Cina e altri Paesi. I dazi, quindi, non sono necessariamente un errore.
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