Spesso si vedono gruppi di adolescenti fianco a fianco, ognuno assorto nel proprio smartphone anziché dialogare, o un giovane isolato nella folla, intento a scorrere contenuti per ore. Un sondaggio Gallup rivela che oltre la metà degli adolescenti dedica almeno quattro ore giornaliere ai social media, ossia quasi tre mesi all’anno. A questo ritmo un quarto della loro vita trascorre trascinandosi tra like e post. Le ricerche indicano servono circa 200 ore per consoliderebbe un’amicizia profonda; a questo ritmo, si avrebbe un nuovo amico intimo ogni 40 giorni. Ma i social media soddisfano davvero il bisogno di connessione o offrono soltanto un’illusione di legame?
Nel 1971 premio Nobel ed economista Herbert Simon, introdusse il concetto di “economia dell’attenzione”, per indicare come, in un’epoca di sovraccarico informativo, il tempo e l’attenzione siano le risorse più preziose. Un antico proverbio cinese ricorda: «Un pollice di tempo vale un pollice d’oro, ma un pollice d’oro non può comprare un pollice di tempo». Se il tempo è più prezioso dell’oro, come dovrebbero utilizzarlo gli adolescenti?
IL PARADOSSO DELL’INVESTIMENTO AMICALE
Le interazioni digitali non sostituiscono i benefici delle conversazioni dirette; i dati mostrano che i giovani non percepiscono i social media come un vero sostituto delle relazioni. Il professor Jeffrey Hall dell’Università del Kansas paragona la navigazione sui social a un’osservazione passiva di sconosciuti: solo il 3,5 % del tempo viene speso in commenti e conversazioni, il resto è scorrimento di profili. Così nasce il paradosso dell’investimento amicale: l’illusione di gestire molte relazioni con poco impegno. L’economista Umair Haque parla di “inflazione relazionale”, in cui ogni interazione perde valore man mano che aumentano.
Bernard Crespi, biologo evolutivo alla Simon Fraser University, spiega che i sistemi di risonanza emotiva, attivati nel contatto visivo, non si attivano online. L’effetto dei neuroni specchio, fondamentali per l’empatia, è attenuato nel virtuale, dove mancano segnali come il linguaggio del corpo e lo sguardo diretto, riducendo l’efficacia delle interazioni nel soddisfare i bisogni sociali.
AL SERVIZIO DI UNO SGUARDO ILLUSORIO
Uno studio pubblicato su BMC Psychiatry evidenzia come i social amplifichino percezioni distorte di sé in assenza di segnali corporei e spaziali. Un’adolescente può trascorrere ore a preparare e ritoccare un selfie, attendendo con ansia i “mi piace” e interpretando la loro assenza come rifiuto, mentre il confronto con immagini ritoccate altrui erode l’autostima. Nancy Yang, prima autrice dello studio, definisce queste modalità come “anomalia evolutiva”: a differenza dei millenni di conversazioni faccia a faccia, la “social imagination” richiede di prevedere lo sguardo virtuale di un pubblico invisibile. Il “contatto visivo illusorio” spinge i giovani a esibirsi per un’audience immaginaria, rendendoli nodi isolati nella rete, lontani dagli altri e anche da sé stessi.
Il biologo Crespi osserva che, in quanto specie intensamente sociale, l’uomo è evoluto per cogliere opportunità e minacce nel gruppo; chi possiede un sé fragile è più vulnerabile alle insidie del virtuale, cercando nei social un’identità artificiale. «Non c’è dubbio che questo influenzi la mente in via di sviluppo». La ricercatrice Yang paragona l’uso dei social media al mangiare popcorn per placare la fame: può ingannare, ma non nutre; più si consumano interazioni digitali, più cresce il desiderio, mentre la fame sociale persiste.
L’ECONOMIA EMOTIVA DEI SOCIAL MEDIA
L’adolescenza si caratterizza per l’ipersensibilità al rifiuto e all’approvazione dei pari. Una ricerca 2024 dell’Università di Amsterdam mostra che i giovani sono più sensibili degli adulti ai feedback dei “mi piace”, adeguando i post in base alle reazioni ricevute e subendo cali di umore più marcati quando i like diminuiscono. Uno studio longitudinale su Frontiers in Digital Health rivela che lo stress non deriva tanto dall’“intrappolamento” in chat sempre attive, quanto dalla delusione per l’assenza di risposta: la mancata interazione genera conflitti nei mesi successivi, mentre l’obbligo di rispondere non produce tensione analoga. Le foto e i video, veri “depositi emozionali”, richiedono “dividendi” in like; la loro mancanza scatena frustrazione, non per l’impegno, ma per le aspettative inascoltate.
UN ESPERIMENTO SENZA CONTROLLO
«I social media sono un grande esperimento senza gruppo di controllo», nota il biologo Crespi, evidenziando la difficoltà di misurare il loro impatto. Pur riconoscendone l’utilità, la ricercatrice Nancy Yang raccomanda un uso moderato: «Uscite e toccate l’erba», sollecita, ricordando che le competenze sociali si affinano solo nel contatto reale. Conversare di persona, come imparare a ballare, richiede pratica: guardare tutorial non basta. La connessione autentica esige presenza e interazione che nessuna piattaforma digitale può replicare completamente.
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