Farmaci contro Adhd e pressione

di Redazione ETI/George Citroner
15 Aprile 2025 18:48 Aggiornato: 15 Aprile 2025 18:48

L’uso di farmaci per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) è in continuo aumento, in particolare dopo la pandemia di Covid-19. Le prescrizioni, sia di stimolanti che di non stimolanti, sono cresciute in modo significativo, spingendo la comunità scientifica a riesaminare con maggiore attenzione i profili di sicurezza di questi trattamenti. Studi recenti confermano che tutti i principali farmaci utilizzati possono determinare lievi aumenti della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Un effetto che, secondo gli esperti, va valutato tenendo conto dei benefici clinici che tali terapie offrono.

EFFETTI SU PRESSIONE E FREQUENZA CARDIACA

Un’ampia meta-analisi pubblicata su The Lancet Psychiatry ha esaminato i dati di oltre 22.000 pazienti, raccolti da 102 studi clinici, rilevando che i farmaci per l’Adhd influenzano il sistema cardiovascolare, con variazioni generalmente contenute ma significative. Sia i farmaci stimolanti, come le anfetamine, sia quelli non stimolanti, come atomoxetina, metilfenidato e viloxazina, producono effetti misurabili sulla pressione e sulla frequenza cardiaca.

Questi ultimi rientrano nella categoria degli inibitori selettivi della ricaptazione della norepinefrina, sostanze che aumentano la disponibilità di norepinefrina e serotonina nel cervello, migliorando concentrazione e funzioni cognitive. L’incremento di norepinefrina, tuttavia, può attivare il sistema nervoso simpatico e causare un lieve aumento della pressione arteriosa.

Nel dettaglio, tra bambini e adolescenti, l’atomoxetina ha determinato un incremento medio della pressione sistolica di 1,07 mmHg, mentre il metilfenidato ha registrato un aumento di 1,81 mmHg. Negli adulti, i valori si sono rivelati leggermente superiori: da 1,66 mmHg con il metilfenidato a 2,30 mmHg con le anfetamine. Si tratta di variazioni non allarmanti per soggetti con pressione nella norma, ma che potrebbero rappresentare un ulteriore fattore di rischio per chi soffre già di ipertensione.

Diverso il comportamento della guanfacina, farmaco non stimolante utilizzato anche per il trattamento dell’ipertensione, che ha mostrato un effetto ipotensivo. Nei bambini si è osservata una riduzione media della pressione sistolica di 2,83 mmHg, mentre negli adulti la diminuzione ha raggiunto i 10,10 mmHg. A differenza di altri trattamenti, la guanfacina non incrementa i livelli di norepinefrina, ma ne simula l’azione legandosi ai relativi recettori, inducendo un rilassamento vascolare che migliora l’attenzione e riduce la pressione.

Gli autori dello studio raccomandano un monitoraggio regolare della pressione e della frequenza cardiaca per tutti i pazienti in cura farmacologica per l’Adhd, a prescindere dalla tipologia del farmaco utilizzato. «I farmaci possono avere effetti collaterali — spiega Cathryn A. Galanter, docente di psichiatria e direttrice della divisione di psichiatria infantile e adolescenziale presso Stony Brook Medicine — I più comuni sono la riduzione dell’appetito e difficoltà nel sonno. Per questo è essenziale monitorare l’alimentazione, l’altezza e il peso dei pazienti».

Nonostante l’efficacia documentata, gli esperti ricordano che la terapia farmacologica non rappresenta l’unica opzione. Una corretta gestione dell’Adhd richiede innanzitutto una valutazione approfondita, che tenga conto delle informazioni fornite da familiari, insegnanti e dallo stesso paziente. In molti casi, specialmente nei bambini in età prescolare o laddove si preferisca evitare i farmaci, la terapia comportamentale può rappresentare una valida alternativa o un primo passo terapeutico.

EQUILIBRIO TRA FARMACI E STRATEGIE COMPORTAMENTALI

Un approccio efficace all’Adhd richiede l’integrazione tra trattamento farmacologico, interventi comportamentali, supporto familiare e modifiche dello stile di vita. «Serve un approccio diversificato, perché non esiste una soluzione valida per tutti», spiega Sanam Hafeez, neuropsicologa e direttrice del centro Comprehend the Mind di New York. I farmaci stimolanti come il metilfenidato migliorano spesso la concentrazione, il controllo degli impulsi e la capacità organizzativa. Tuttavia, per chi desidera evitare i medicinali o manifesta effetti collaterali, esistono alternative con efficacia dimostrata.

Tra le opzioni non farmacologiche rientrano la terapia cognitivo-comportamentale, il coaching, le routine strutturate, la mindfulness e l’attività fisica. «La terapia cognitivo-comportamentale è tra le più solide: aiuta a sviluppare strategie di coping, migliorare la gestione del tempo e ridurre i comportamenti impulsivi» spiega la dottoressa Hafeez.

La psicoterapeuta Kirsten Tretbar, combina la terapia cognitivo-comportamentale con quella narrativa, che incoraggia i pazienti a reinterpretare le proprie esperienze valorizzando punti di forza e qualità individuali. «Con la terapia cognitivo-comportamentale lavoriamo per modificare schemi mentali disfunzionali — ha spiegato — Con quella narrativa, riformuliamo le esperienze in una luce più costruttiva». La dottoressa Tretbar sostiene che l’Adhd possa essere considerato una risorsa: «Non è solo una difficoltà, ma anche un potenziale. Molti dei miei pazienti sono persone brillanti, con una mente capace di iperconcentrazione, come un pilota che isola tutto tranne la pista».

Nei bambini sotto i sei anni, la terapia comportamentale viene spesso preferita ai farmaci, mentre nei più grandi si tende a combinare entrambe le strategie. Gli effetti collaterali meno frequenti dei farmaci includono cambiamenti dell’umore, rallentamento della crescita e, più raramente, sintomi cardiaci come palpitazioni o svenimenti.

RISVEGLIARE IL CERVELLO CON ADHD

Chi convive con l’Adhd sperimenta spesso difficoltà nelle routine mattutine, a causa di una scarsa autoregolazione. Il cervello con Adhd si sveglia come se fosse ancora immerso nel sonno. Questa lentezza iniziale può portare a conflitti o comportamenti di attivazione forzata. Non è l’ideale, ma è il modo in cui il cervello cerca di stimolarsi. Alcuni, cercano stimoli attraverso attività ad alto rischio, come salti in bicicletta o arrampicate, che danno una scarica immediata al cervello.

Riconoscere la condizione rappresenta il primo passo per affrontarla con consapevolezza. «Darle un nome significa iniziare a gestirla», ha concluso la dottoressa Tretbar. Quando tutta la famiglia comprende il funzionamento dell’Adhd, diventa possibile trasformare le difficoltà in opportunità di crescita.

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.

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