Negli ultimi anni, il Partito comunista cinese ha intensificato la pressione militare su Taiwan. Il 17 marzo il ministero della Difesa taiwanese ha segnalato due pattugliamenti pronti al combattimento in un giorno, accusando il regime comunista cinese di cercare pretesti per intimorire l’isola e di minare i legami tra Taipei e Washington. Pechino definisce l’operazione come una risposta alle recenti mosse degli Stati Uniti sull’isola autonoma, rivendicandola come propria. Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha definito le manovre un «serio avvertimento» a Taiwan.
Secondo Taiwan, la Cina ha inviato nove navi militari, due palloni, 54 aerei militari, di cui 42 hanno violato la linea mediana dello Stretto di Taiwan, un confine informale tracciato dagli Usa decenni fa per allentare le tensioni tra Taipei e Pechino. Gli analisti notano che il dispiegamento del 17 marzo è stata la maggiore operazione marittima del regime: «per la prima volta, due pattugliamenti congiunti in un giorno» ha scritto su X K. Tristan Tang, ricercatore del Taiwan’s Research Project on China’s Defense Affairs.
Il Pcc, benché non abbia mai governato Taiwan, la considera parte del proprio territorio e Xi Jinping non esclude l’uso della forza per sottometterla. Gli Stati Uniti, pur essendo formalmente “alleati” di Pechino, con il Taiwan Relations Act chiariscono che il dialogo con la Cina presuppone una soluzione pacifica per Taiwan: «noi ci opponiamo a cambiamenti unilaterali dello statu quo da entrambe le parti» recita il documento statunitense aggiornato «Le divergenze nello Stretto vanno risolte pacificamente, senza coercizione, in modo accettabile per entrambi i lati».