La deflazione è in continuo aumento in Cina. Le numerose fabbriche di Pechino continuano a produrre più beni di quanti i consumatori interni o esteri ne richiedano. Le aziende stanno tagliando i prezzi per smaltire la merce che ormai riempie i magazzini, andando però a pesare fortemente sui ricavi.
Questa pressione dura da così tanto che ormai ci si aspetta dei cali dei prezzi costantemente, tuttavia è un atteggiamento che, in realtà, rischia di portare più problemi che altro.
I dati parlano chiaro, e non sono per nulla incoraggianti. I prezzi al consumo non sono calati, sostenuti dagli aumenti nei servizi, ma la crescita è appena percettibile. Secondo i dati del ministero delle Statistiche di Pechino, a febbraio i prezzi al consumo erano quasi fermi rispetto all’anno prima. A livello di produzione, i beni appena usciti dalle fabbriche – definiti dal ministero «prezzi alla porta» – a marzo erano più bassi del 2,5% rispetto a un anno fa, in forte calo da ottobre 2022.
Il deflattore del Pil cinese, l’indicatore più completo dei prezzi nell’economia, è in ormai calo da sei trimestri consecutivi. Ci sono diversi motivi per questo. Prima di tutto c’è stato un netto rallentamento delle esportazioni negli ultimi due anni. Molto si è detto sui dazi introdotti dal presidente Trump, destinati a pesare fortemente su questa crisi economica, ma essi rappresentano solo una parte del problema.
L’amministrazione Biden, sebbene abbia criticato i dazi di Trump del 2018 e 2019, li ha comunque mantenuti una volta al potere, aggiungendo inoltre un dazio del 100% su veicoli elettrici, componenti e batterie cinesi. Anche l’Unione Europea ha imposto dazi sui veicoli elettrici cinesi. Ma il calo delle esportazioni non è solo colpa delle misure occidentali: le politiche zero-Covid di Pechino, che hanno ostacolato produzione e consegne per anni dopo la pandemia, hanno spinto gli acquirenti stranieri a spostare le filiere produttive lontano dalla Cina.
Recentemente, Pechino ha registrato un picco nella domanda di esportazioni, e alcuni media hanno interpretato questo fatto come un segnale di ripresa, ma è una mera illusione. Gli acquirenti stranieri, prevedendo un aumento dei costi dei prodotti cinesi a causa dei dazi di Trump, stanno anticipando gli acquisti per fare scorte di merci a prezzi più bassi prima che i dazi entrino in vigore. Al di là di questi effetti immediati, i dazi costringeranno diverse aziende a spostarsi lontano dalla Cina, frenando ulteriormente la crescita delle esportazioni rispetto al passato.
Oltre al rallentamento delle esportazioni, anche la scarsa domanda interna contribuisce alla pressione deflazionistica. La crisi immobiliare cinese, che si protrae da anni, ne è un esempio lampante. I fallimenti finanziari di diversi imprenditori immobiliari hanno rallentato il settore edilizio, fondamentale per l’economia cinese, portando a impoverire milioni di famiglie.
Per rimettersi in piedi, i cinesi, a prescindere dal loro reddito, risparmiano anziché spendere, lasciando i prodotti delle fabbriche ad accumularsi sugli scaffali.
Come se non bastasse, nel 2023 Pechino ha adottato delle politiche sbagliate che hanno peggiorato la situazione. Per compensare la debole crescita delle esportazioni, le autorità hanno deciso di stimolare la domanda interna investendo fondi pubblici in settori specifici, considerati un occhiello al futuro: tecnologia, veicoli elettrici, biomedicale e simili.
Ma questo ha solo aumentato la produzione di beni che, al momento, né i consumatori interni né quelli stranieri richiedono. Poiché gran parte di questa nuova capacità produttiva sta ancora entrando in funzione, i prossimi trimestri vedranno probabilmente un’ulteriore pressione deflazionistica, con molti imprenditori e gestori che cercheranno di vendere le scorte in eccesso.
C’è anche un altro grosso problema in questa faccenda. Se acquirenti, interni ed esteri, iniziano a considerare stabile il calo dei prezzi all’ingrosso, allora cominceranno a ritardare gli acquisti, così da aggiudicarsi delle merci a prezzi ancora più bassi in futuro. Questi ritardi accentueranno la scarsa domanda, esercitando un’ulteriore pressione al ribasso sui prezzi e creando un effetto domino disastroso. È già successo in Giappone negli anni ’90, rendendo la risalita economica molto difficile. Pechino ha già abbastanza problemi a rimettere in carreggiata la sua economia, e una deflazione del genere, è l’ultima cosa di cui ha bisogno.
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