Ricevere una diagnosi di Parkinson può evocare scenari angoscianti: la perdita della propria autonomia, la paura di complicazioni gravi, la prospettiva di una mobilità compromessa o di una vita fortemente limitata.
È quanto accaduto a Keith Wilson che, come molti pazienti, ha vissuto un senso di smarrimento al momento della diagnosi. In occasione di un seminario online promosso dal gruppo di ricerca Parkinson’s UK, è emerso che alla base della malattia vi è una carenza di dopamina. Un consulente sanitario ha spiegato come l’adrenalina, per struttura chimica simile alla dopamina, possa temporaneamente stimolarne i livelli, offrendo un sollievo parziale. Questo spunto ha spinto Wilson a cercare modalità alternative per affrontare la propria condizione.
Alla fine del lockdown legato alla pandemia da Covid-19, il viaggio che Wilson ha organizzato con la moglie e i due figli quattordicenni ha segnato un momento di svolta. In una sola settimana, l’esperienza di salire 37 volte sulle montagne russe ha prodotto cambiamenti tangibili: una maggiore loquacità, energia e socievolezza. Alcune di quelle esperienze, ha osservato la moglie, erano virtuali, il che ha portato alla decisione di replicarle a casa. L’acquisto di due visori per la realtà virtuale ha confermato l’intuizione iniziale. Wilson ha descritto come la realtà virtuale abbia favorito un miglioramento dell’equilibrio e un aumento dell’energia, stimolando le aree cerebrali meno attive e contribuendo a compensare la carenza di dopamina.
Tale percorso si inserisce in un filone di ricerca che indaga il ruolo delle attività capaci di stimolare la dopamina nella gestione dei sintomi del Parkinson, offrendo una nuova prospettiva terapeutica. Tradizionalmente considerata una patologia non modificabile, la malattia viene ora affrontata con un approccio proattivo. La dottoressa Sulagna Misra, esperta in medicina integrata, ha definito questa strategia innovativa, osservando che l’integrazione di strumenti non convenzionali — come la realtà virtuale — con le terapie tradizionali può risultare più efficace del solo trattamento farmacologico.
IL LEGAME CON LA DOPAMINA
L’esperienza di Wilson conferma quanto la carenza di dopamina sia un elemento centrale nel Parkinson. La morte dei neuroni che producono dopamina rappresenta una delle cause principali dei sintomi. Questa sostanza è cruciale per la trasmissione dei segnali nervosi che regolano il movimento e altre funzioni corporee. Quando i suoi livelli calano, la comunicazione tra cervello e corpo si interrompe, rendendo i movimenti più lenti e difficili, con conseguenti disturbi come rallentamento motorio, problemi di equilibrio, andatura irregolare e tremori.
La dopamina, tuttavia, non influisce soltanto sul movimento. Interviene anche nella regolazione della motivazione, del piacere e dell’attenzione. Per questo motivo, l’impatto del Parkinson sulla salute mentale è profondo, sebbene spesso sottovalutato rispetto ai sintomi motori. La disfunzione del sistema dopaminergico non solo contribuisce all’insorgenza della malattia, ma ne accelera la progressione. Incrementare i livelli di dopamina e proteggere i neuroni che la producono può dunque rallentare il decorso della patologia e migliorare il controllo dei sintomi.
UN APPROCCIO INTEGRATO
Il miglioramento registrato da Wilson non è frutto di un’unica iniziativa, ma di una combinazione di elementi, tra cui l’esercizio fisico e l’uso di tecnologie immersive. L’attività fisica si conferma uno strumento fondamentale per contrastare il Parkinson senza affidarsi esclusivamente ai farmaci. Uno studio pubblicato nel 2024 su npj Parkinson’s Disease ha dimostrato che sei mesi di esercizio intenso possono aumentare i livelli di dopamina nei pazienti nelle fasi iniziali, con effetti positivi sul sistema nervoso.
Attività ad alta intensità, come quella delle montagne russe, stimolano la produzione di adrenalina, un ormone che può temporaneamente sopperire alla carenza di dopamina, generando una percezione di lucidità e benessere. Wilson ha inserito l’attività fisica nella propria quotidianità, affrontando nel 2024 sfide impegnative come un giro in bicicletta attorno al golfo di Zuiderzee in Olanda, la scalata della Haute Route nelle Alpi e un’escursione sul West Highland Way in Scozia.
L’attività cardiovascolare, infatti, stimola la produzione del fattore neurotrofico derivato dal cervello, favorendo la rigenerazione neuronale, mentre l’allenamento di forza aiuta a mantenere la massa muscolare e contrastare rigidità e debolezza. Entrambe le pratiche migliorano la mobilità e la flessibilità, con effetti benefici sui sintomi sia motori che non motori, grazie alla loro capacità di promuovere la crescita di nuovi neuroni e vasi sanguigni.
La realtà virtuale ha ulteriormente potenziato questi effetti, trasformando l’esercizio fisico in un’esperienza più coinvolgente. Camminare su un tapis roulant può diventare, grazie alla realtà virtuale, una passeggiata su una spiaggia. Simulando ostacoli reali, come oggetti da scavalcare, la realtà virtuale allena equilibrio e coordinazione in un contesto sicuro, contribuendo a ridurre il rischio di cadute. Questi strumenti, tuttavia, non sostituiscono le terapie tradizionali, ma le integrano. L’introduzione dell’intelligenza artificiale nella realtà virtuale consente di monitorare i progressi in tempo reale e adattare i programmi di allenamento, favorendo la neuroplasticità e migliorando le funzioni motorie e cognitive. I feedback immediati aiutano i pazienti a correggere i movimenti, rafforzando nuovi circuiti neurali.
Anche l’alimentazione gioca un ruolo determinante. Le fluttuazioni della glicemia possono favorire la formazione di composti tossici che accelerano la degenerazione neuronale. Ridurre l’assunzione di zuccheri e carboidrati raffinati a favore di proteine e grassi sani contribuisce a stabilizzare la glicemia. Un supporto aggiuntivo proviene dalla tirosina, un aminoacido presente in alimenti come carne bovina, pollame, salmone, uova, mandorle e semi di sesamo. Questa sostanza viene convertita in L-dopa, precursore della dopamina, sostenendo così i suoi livelli.
Infine, il sonno riveste un’importanza essenziale. La tossicità è un fattore cruciale nel Parkinson e il riposo notturno rappresenta il momento in cui il cervello può avviare i processi di disintossicazione e rigenerazione. Mantenere orari regolari e, se possibile, svegliarsi senza l’uso della sveglia favorisce tale processo. L’identificazione e la rimozione di fonti tossiche ambientali, come metalli pesanti o muffe, possono inoltre apportare benefici significativi.
LA FORZA DELLA VOLONTÀ
Affrontare il Parkinson richiede un coinvolgimento totale, una mobilitazione di tutte le risorse disponibili. «Sebbene motivare i pazienti a un approccio attivo possa risultare difficile, una malattia così complessa necessita di strategie integrate» conclude la dottoressa Misra. Vivere con il Parkinson, indipendentemente dalla predisposizione genetica, è possibile. Ma tutto parte dalla volontà di prendersi cura di sé.
Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.